Il libro è una raccolta di novelle di ambientazione veneziana scritte dal noto architetto Camillo Boito, fratello del più conosciuto poeta e musicista Arrigo, tra il 1876 e il 1891. Ad aprire l’opera è Il maestro di setticlavio in cui in un’atmosfera in bilico tra sacro, ironico e macabro si dipana la storia di un anziano uomo di musica che dirige il coro della Basilica di San Marco.
Il maestro di setticlavio, composto sul finire dell’Ottocento e apparso per la prima volta nel dicembre del 1891 in “Nuova Antologia” è il libro coronamento della carriera di Boito nonché il suo ultimo scritto di narrativa letteraria in cui rivela l’identità dei personaggi reali trasfigurati e chiarisce il significato dei riferimenti musicali.
In un’atmosfera in bilico tra sacro, ironico e macabro, i personaggi (Annibale Chisiola, anziano uomo di musica che dirige il coro della Basilica di San Marco; la sua fedele e modesta nipote Nene; Mirate, ex barcaiolo strozzino e dongiovanni ma anche tenore dalla voce potente da cui la giovane è bramata; infine, l’allievo dell’anziano Chisiola, Luigi Zen, maestro di musica e convinto sostenitore del metodo di lettura musicale del setticlavio) si muovono sulla scena di una Venezia contraddittoria – gremita e chiassosa per la festa del Redentore, ma anche silenziosa e lugubre, dove le luci fioche lanciano sui suoi ciottoli lunghe e spettrali ombre.
In una sorta di spettacolo in maschera – per dirla con Giorgio Bassani, che curò l’introduzione al Maestro di setticlavio del 1945 – “si svolge […] quello che potremmo definire l’amara commedia delle illusioni fallite. E rappresentata non già da piacevoli marionette di cartapesta, ma da persone vive di tutta un’umana complessità di sentimenti”.
La novella Il maestro di setticlavio di questa raccolta, è il capolavoro letterario del celebre architetto e teorico del restauro Camillo Boito (1836-1914), squisito narratore per divertissement. In una Venezia ben diversa da quella ritratta in Senso, va in scena la drammatica conclusione della parabola umana e artistica del musicista Luigi Zen, intrecciata alla tragica storia d’amore di Nene, un racconto sonoro, estrema celebrazione del relativo e del transitorio, con cui lo scrittore dà corpo al ricordo dei suoi anni veneziani, della sua giovinezza, montando una sorta di melodramma autobiografico o, per meglio dire, una storia melodrammatica racchiusa in una scatola autobiografica. Ecco un passaggio sul setticlavio.
... pel metodo di legger musica. Aveva da essere il setticlavio, non altro che il setticlavio. E se qualcuno gli faceva osservare che oramai tutti leggevano col metodo comune, egli, fremendo di bile, tuonava: “Non è possibile. Asini hanno da essere senza il setticlavio. Il setticlavio è il vangelo della musica: la sola vera credenza”. Quando poi uno gli domandava che cosa fosse il famoso metodo, egli, assumendo un'aria soddisfatta e mettendosi a sedere, principiava: “In quattro parole te lo spiego, perché la cosa è lucente come il sole. Dimmi, quale è la tonica nella chiave di Do?”.
“Il Do”.
“Bene. E il Mi che cosa è?”.
“La terza”.
“E il Si?”.
“La settima”.
“Ora senti, dal Do al Mi che salto si fa?”.
“Di terza maggiore”.
“Dunque quando dici Do Mi dici e canti una terza maggiore”.
“Sicuro”.
“Quando canti Si Do che intervallo fai?”.
“Di mezzo tono”.
“Dunque quando dici Si Do come Mi Fa dici e canti un mezzo tono”.
“Certamente”.
“Adesso rispondi. Se nel tuo maledetto sistema di lettura, che chiamano comune, canti, per esempio, in chiave di Re, il Do Mi che cosa diventa?”.
“Una terza minore”.
“E il Mi Fa o il Si Do?”.
“Un tono intiero d'intervallo”.
“Oh, vedi, vedi che miserabile, che infame confusione. Si legge una cosa e si canta l'altra. Non c'è più regola, non si capisce più nulla”.
“E come ci si rimedia?”.
“Nel modo più semplice di questo mondo. Chiama sempre Do la tonica, sempre Mi la terza, sempre
Si la settima e così via tutte le altre note della scala in qualunque tono tu debba cantare, e l'imbroglio sparisce, e gl'intervalli corrispondono sempre agli stessi nomi delle medesime note”.
“Ma gli accidenti?”.
“Gli accidenti sono accidenti, e si vedono scritti chiari e tondi quali eccezioni alla regola. Il proverbio dice appunto, che le eccezioni confermano la regola”.
“Ma bisogna dunque imparare a leggere in tutte le chiavi?”.
“Certo, e non sai leggere tu in due? E non ci sono degli strumenti, che obbligano a leggere in tre?
La voce umana è sì o no il più nobile degli strumenti?”.
“È il più nobile, senza dubbio”.
“Ergo dev'essere il più difficile. I pigri vadano al diavolo”.
“Scusi, maestro, ma le modulazioni, i cambiamenti di tono, che non si trovano scritti in testa al pezzo?”.
“Te li trovi da te, in nome del cielo, con un poco di pazienza, con un tantino di pratica d'armonia.
Poi ti senti solido, ti senti incrollabile come il campanile di San Marco”.
E il vecchio lungo, entusiasmato, schizzava scintille dagli occhi, e solfeggiava tuonando:
“Do Re, Do Mi, Do Fa, Do Sol, Do La, Do Si, Do Do”.
Meno narrativi in senso stretto e più sperimentali sono invece Il colore a Venezia e Quattr’ore al lido, apparsi per la prima volta con il titolo di “Storielle veneziane” in “Nuova Antologia” rispettivamente nel 1876 e nel 1883. I due racconti, infatti, si impongono al lettore come pagine di divagazione e osservazione artistica che, seppur trovino espressione nella parola scritta, possono essere colte nella loro vera essenza solo se accostate a un’immagine, a colori, sfumature, gradienti, contrasti di luci e ombre.
Uno stile narrativo più classico è quello che, invece, caratterizza Il demonio muto, racconto che Boito scrive nel 1883, insieme a Vade retro Satana, Macchia grigia e Santuario, e caratterizza una stagione dedicata all’occulto e al demoniaco.
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