Torna in scena al Teatro dell'Opera Costanzi La Cenerentola di Rossini, nella versione di grande successo della stagione 2016 con la regia di Emma Dante. Dall’8 al 13 giugno 2019.
Ispirata alle arti e all’immaginario che gravitano attorno al Pop Surrealism, dai cartoon ai tatuaggi, la Cenerentola di Emma Dante è una figura fragile le cui vicende familiari, un po’ grottesche e rocambolesche, raccontate dalla musica di Rossini dal ritmo serrato, diventano lo spunto per una riflessione sulla figura femminile. Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, scene di Carmine Maringola, costumi di Vanessa Sannino, luci di Cristian Zucaro e i movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco. Nel ruolo della protagonista Teresa Iervolino; con lei René Barbera (don Ramiro), Vito Priante (Dandini), Carlo Lepore (don Magnifico).
“La famiglia della Cenerentola è sicuramente grottesca, sui generis - spiega la regista. Non ci sono dei veri legami famigliari. Lei, Cenerentola-Angelina, è un’estranea sia per il patrigno, Don Magnifico, che per le sorellastre, Clorinda e Tisbe; e loro tengono a ribadire, tutte le volte, che lei non deve chiamarle sorelle. Quindi è una sorta di famiglia imposta, né Cenerentola sente famigliare queste tre figure. Sono degli estranei che vivono nella stessa casa. Inoltre le sorellastre litigano sempre tra loro, e sono sempre in atteggiamento di grande rivalità. Il padre vuole assolutamente accasarle per averne un vantaggio personale ed economico. Insomma è una famiglia abbastanza problematica. In più questi legami non sono di sangue perché, appunto, Cenerentola è figlia di un’altra madre. Ma soprattutto è una famiglia che all’interno nasconde una grande violenza, una grande prevaricazione sulla persona più debole che è lei, derubata di tutti i suoi averi e messa in un angolo a far da serva. C’è una prevaricazione molto forte, una grande cattiveria e perfidia. […] C’è una condizione di degrado della donna. Non so se Rossini e il librettista volessero esprimere anche questo. Sicuramente noi che riprendiamo oggi l’opera dobbiamo assolutamente fare i conti con la condizione di questa donna che viene comunque maltrattata, vessata, privata di tutti i suoi diritti, e soprattutto costretta a vivere in una condizione di grande disagio e alienazione. Per cui certamente può essere molto attuale, nel senso della povertà della donna e dell’impossibilità di poter esprimere la propria libertà. Cenerentola non è libera, è vittima di violenze domestiche e non riesce a liberarsene, tant'è che è necessario l’intervento di una specie di magia. Quindi c’è un riscatto. Ed è un riscatto sociale che ci riguarda.”
Al pari del più popolare Barbiere di Siviglia, La Cenerentola, su libretto di Jacopo Ferretti il cui titolo originale completo è “La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo”, rappresenta la massima espressione del genio rossiniano nonché del teatro musicale di tutti i tempi. L'opera fu realizzata in soli 24 giorni secondo la proverbiale velocità del maestro appena venticinquenne da un soggetto tratto in parte dalla celebre fiaba di Charles Perrault. Il debutto avvenne al teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1817 dove conseguì un riscontro che, seppur non disastroso come per il "Barbiere" dell’anno prima, non fu certo esaltante. Ciò non dispiacque al suo autore che secondo le cronache dell’epoca ne preconizzò l’imperituro trionfo. Dopo poche recite, infatti l'opera divenne popolarissima e fu ripresa in Italia e all'estero.
Ispirata alle arti e all’immaginario che gravitano attorno al Pop Surrealism, dai cartoon ai tatuaggi, la Cenerentola di Emma Dante è una figura fragile le cui vicende familiari, un po’ grottesche e rocambolesche, raccontate dalla musica di Rossini dal ritmo serrato, diventano lo spunto per una riflessione sulla figura femminile. Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, scene di Carmine Maringola, costumi di Vanessa Sannino, luci di Cristian Zucaro e i movimenti coreografici di Manuela Lo Sicco. Nel ruolo della protagonista Teresa Iervolino; con lei René Barbera (don Ramiro), Vito Priante (Dandini), Carlo Lepore (don Magnifico).
“La famiglia della Cenerentola è sicuramente grottesca, sui generis - spiega la regista. Non ci sono dei veri legami famigliari. Lei, Cenerentola-Angelina, è un’estranea sia per il patrigno, Don Magnifico, che per le sorellastre, Clorinda e Tisbe; e loro tengono a ribadire, tutte le volte, che lei non deve chiamarle sorelle. Quindi è una sorta di famiglia imposta, né Cenerentola sente famigliare queste tre figure. Sono degli estranei che vivono nella stessa casa. Inoltre le sorellastre litigano sempre tra loro, e sono sempre in atteggiamento di grande rivalità. Il padre vuole assolutamente accasarle per averne un vantaggio personale ed economico. Insomma è una famiglia abbastanza problematica. In più questi legami non sono di sangue perché, appunto, Cenerentola è figlia di un’altra madre. Ma soprattutto è una famiglia che all’interno nasconde una grande violenza, una grande prevaricazione sulla persona più debole che è lei, derubata di tutti i suoi averi e messa in un angolo a far da serva. C’è una prevaricazione molto forte, una grande cattiveria e perfidia. […] C’è una condizione di degrado della donna. Non so se Rossini e il librettista volessero esprimere anche questo. Sicuramente noi che riprendiamo oggi l’opera dobbiamo assolutamente fare i conti con la condizione di questa donna che viene comunque maltrattata, vessata, privata di tutti i suoi diritti, e soprattutto costretta a vivere in una condizione di grande disagio e alienazione. Per cui certamente può essere molto attuale, nel senso della povertà della donna e dell’impossibilità di poter esprimere la propria libertà. Cenerentola non è libera, è vittima di violenze domestiche e non riesce a liberarsene, tant'è che è necessario l’intervento di una specie di magia. Quindi c’è un riscatto. Ed è un riscatto sociale che ci riguarda.”
Al pari del più popolare Barbiere di Siviglia, La Cenerentola, su libretto di Jacopo Ferretti il cui titolo originale completo è “La Cenerentola, ossia la bontà in trionfo”, rappresenta la massima espressione del genio rossiniano nonché del teatro musicale di tutti i tempi. L'opera fu realizzata in soli 24 giorni secondo la proverbiale velocità del maestro appena venticinquenne da un soggetto tratto in parte dalla celebre fiaba di Charles Perrault. Il debutto avvenne al teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1817 dove conseguì un riscontro che, seppur non disastroso come per il "Barbiere" dell’anno prima, non fu certo esaltante. Ciò non dispiacque al suo autore che secondo le cronache dell’epoca ne preconizzò l’imperituro trionfo. Dopo poche recite, infatti l'opera divenne popolarissima e fu ripresa in Italia e all'estero.
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