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Composizione e improvvisazione nella scuola napoletana del XVIII secolo: i Partimenti nell’insegnamento della musica antica. Il ruolo fondamentale dei Conservatori

I partimenti possono essere considerati come tracce di una cultura perduta della formazione musicale. Per il musicista di corte del Settecento i partimenti furono una modalità di "pensiero" musicale. I partimenti oggi rappresentano una finestra sul mondo musicale di allora e possono ancora contribuire a formare giovani musicisti che vogliano conoscere da vicino questo grande patrimonio musicale.


Se gli studi sulla prassi esecutiva di un brano di musica antica si sono estesi in diverse direzioni come  le differenze stilistiche, gli strumenti, i repertori, non altrettanto è stato fatto per la prassi del Partimento. A partire dal XVII secolo, in particolare a Napoli, questa prassi costituì una parte importante dell’educazione musicale in quanto univa in modo unico aspetti didattici e artistici nell’insegnamento della musica antica. 

La didattica del Partimento affonda le sue radici nel primo Barocco: tecnicamente, è una prassi didattico-musicale che deriva dalla tradizione e dalla didattica del basso continuo, differendo da questa per forma e finalità. Infatti il Partimento, è generalmente confuso con la realizzazione del basso continuo, ovvero l’accompagnamento strumentale alla melodia attraverso indicazioni numeriche che indicano l’armonia. Non bisogna confondere quindi il basso continuo con lo sviluppo e la strutturazione della composizione operata ed applicata dalla Scuola Musicale di Napoli.

I partimenti furono fondamentali per la formazione dei musicisti di corte europei dalla fine del 1600 fino alla fine del 1800. Ebbero la loro massima influenza prima nei conservatori italiani, soprattutto a Napoli, e poi in quello di Parigi, dove i principi della "scuola italiana" continuarono ad essere insegnati fino al XX secolo. Poiché l'apprendimento dello stile musicale italiano era una priorità per quasi tutti i musicisti del XVIII secolo, anche molti noti compositori non italiani, tra cui Bach, Handel, Haydn e Mozart, studiarono o insegnarono partimenti.

I metodi d’insegnamento del partimento e del contrappunto, che si configurano come i due pilastri dei corsi di composizione, erano largamente basati sulla scala. L’allievo passava lunghi anni a far pratica di improvvisazione sul partimento il cui fondamento, ancora una volta, era la scala disposta al basso e accompagnata secondo la regola dell’ottava o secondo le altre tecniche alternative alla regola dell’ottava. Quando poi l’apprendista compositore aveva raggiunto una sufficiente padronanza nel contrappunto e nel partimento, poteva iniziare quella che si chiamava la “composizione ideale”: cioè la composizione libera.

Diciamo che i partimenti, in sostanza, sono degli esercizi scritti; una sorta di canovaccio, utile a improvvisare, come quelli che usavano gli attori della commedia dell’arte, su una suddetta linea di basso, volti a sviluppare le capacità d’improvvisare, di accompagnare e di comporre;  un acquisizione pratica di stili, formule e schemi musicali, che presupponevano una pregressa conoscenza delle regole dell’armonia e del contrappunto. E di fatto sembra che gli artisti che si formavano a Napoli, rivelavano una solidissima preparazione musicale sia in campo armonico sia in quello contrappuntistico e strumentale. D'altro canto l’organizzazione didattica dei Conservatori Napoletani era super efficiente: l’affluenza da tutto il Regno ma anche dal resto d’Italia e d’Europa di allievi predisposti e altamente motivati, la presenza di Maestri dotati di grandi capacità, consentono a pieno titolo di parlare di vera e propria “Scuola” altamente formativa.

Il Partimento quindi ci dice esattamente come la musica andava realizzata, un prontuario di tutto quello che poteva capitare nello svolgersi del brano musicale, un vero e proprio contenitore dove inserire i cambi di chiave e gli elementi del basso continuo, le proposte tematiche da utilizzare per l’elaborazione estemporanea del materiale musicale. Quindi non solo semplici esercizi vincolati, come erroneamente si crede, al clavicembalo, o in generale alle tastiere, ma anche dei veri e propri schemi di brani polifonici con tutte le indicazioni per lo sviluppo e l’elaborazione delle voci.  

Un primo prototipo di partimento ci viene fornito da Adriano Banchieri nel suo Organo Suonarino del 1605, in cui vengono presentati alcuni versetti per organo da intercalare al canto gregoriano, notati su un «basso in canto figurato suonabile et cantabile». Di fatto il compositore spiegava come si fa ad improvvisare. Il partimento di Banchieri indicava la suddivisione della musica in blocchi, la previsione a grandi linee di quello che potrebbe succedere nell’esecuzione reale e il suggerimento di cosa suonare all’improvviso e questo grazie ad alterazioni scritte sopra le note del basso, disposte ora sotto, ora sopra, ora a fianco della nota con significati diversi.

La storia della Scuola Musicale di Napoli nel XVIII secolo è tradizionalmente legata alla storia dei Conservatori, vere e proprie istituzioni assistenziali nelle quali veniva impartito l’insegnamento della musica. Andando indietro nel tempo, la prima scuola musicale in Italia, ma forse in Europa, fu istituita proprio a Napoli nel XV secolo ad opera di Ferdinando I di Aragona, che coinvolse i maggiori musicisti dell’epoca, tra cui Johannes Vaerwer detto Tinctoris, che inviò in Francia per “reclutare cantori” ai quali offriva generosi stipendi per prestare servizio presso la sua Cappella Reale.

Ritroviamo così a Napoli nomi famosi come quello di Bernhard Hykaert, Guglielmo Guarnier, Franchino Gaffurio ed un certo Aristide Quintiliano, autore di un trattato fondamentale sulla musica, in cui l’autore mette in parallelo l’arte retorica, con la composizione musicale, che è in grado di suscitare emozioni, prodromo di quella che sarà la teoria degli affetti. L'Accademia creata da Ferdinando I fu molto importante per lo sviluppo della musica in Italia ma soprattutto determinò le basi della nascente Scuola Musicale Napoletana.

Le materie insegnate nella Scuola Musicale, oltre ai Partimenti e a quelle ordinarie di cultura generale, erano: solfeggio, composizione, clavicembalo, contrappunto, strumento principale, canto, musica d’insieme, esercitazioni corali. La Scuola Musicale si reggeva sulla figura di due Maestri: il Maestro di Cappella ed il Secondo Maestro. Il primo insegnava composizione e tutte le materie ad essa collegate, dalla teoria alla pratica. Il Secondo insegnava generalmente canto. Altre figure di insegnanti si occupavano dell’insegnamento strumentale. I Maestri esaminavano e correggevano gli esercizi, effettuando osservazioni sulla correzione alla presenza di tutti gli allievi. Terminata la lezione, gli allievi più evoluti si trattenevano con gli altri con discussioni che completavano e chiarivano maggiormente i dettami esposti dal Maestro. Gli esami si facevano ogni anno alla presenza di tutti i Maestri e le prove più severe erano riservate agli allievi dei corsi inferiori potendo in questa verifica, dimostrare i loro progressi. Interessante notare che gli allievi poco predisposti erano espulsi, severamente puniti i fannulloni e premiati invece, talvolta anche in danaro, gli allievi migliori.

Una delle prerogative didattiche della Scuola Napoletana era il “mutuo insegnamento”: gli allievi più avanzati negli studi, i cosiddetti “Mastricelli” si prendevano cura dei neofiti garantendo una continuità didattica e liberando i titolari da “noiose e fastidiose lezioni” lasciandoli, in questo modo, liberi di dedicarsi maggiormente alla formazione degli allievi più evoluti. Ma non è solo la solida preparazione musicale che contraddistingue la Scuola Napoletana, ma anche la capacità dei Maestri di creare uno stile unico, inimitabile ed imitato improntato sulla leggerezza, la grazia, la chiarezza e la solarità che contraddistinguono da sempre il popolo napoletano.

La Scuola Musicale Napoletana del Settecento ha affrontato tutti i generi e tutte le forme di musica con grande maestria, per la musica strumentale: la Sonata, il Concerto, la Sinfonia; è a Napoli che ha la sua origine, per il teatro: l’Opera Seria, l’Opera Comica, l’Opera Buffa, la Cantata, la Serenata, per la musica sacra: La Messa, l’Oratorio, il Dramma Liturgico.

Nella Scuola Napoletana, si consolida la tonalità ad opera di Francesco Durante, di Leonardo Leo e di Carlo Cotumacci. Il vecchio modo di concepire la tonalità, ancora legato alla pratica del tetracordo e del contrappunto rinascimentale, viene soppiantato da un nuovo sistema che vede le relazioni accordali subordinate alla esaltazione della tonalità, tutto gravita verso il centro tonale. Nasce l’armonia funzionale mentre si consolida la melodia accompagnata. 

L'importanza dei Conservatori a Napoli è immensa, il loro ruolo ha contribuito a costruire il futuro panorama musicale in Italia ed in tutta Europa. Tra i pochi materiali teorici che avrebbero avuto una certa diffusione, cito un unico testo di norme armoniche stampato a Napoli nel XVIII secolo, un compendio di Regole musicali per i principianti di cembalo redatto da Fedele Fenaroli, cui fecero seguito le Regole di contrappunto di Nicola Sala, Choron, Cafiero, allievo di Pasquale Cafaro, attivo alla Pietà dei Turchini negli anni 1787-1793. Oltre questi ci sono una pletora di materiali manoscritti e testi teorici, di brogliacci di regole (con istruzioni propedeutiche all’accompagnamento al cembalo, alla realizzazione di partimenti. E poi disposizioni, fondamenti di contrappunto e generici principi musicali, di antologie di partimenti utilizzati per applicare le norme teoriche (la cui redazione concisa, spesso laconica lascia intuire quale amplissimo spazio avesse proprio il “non-scritto”) custoditi nelle biblioteche e negli archivi d’Europa. Fuori di Napoli, invece, il panorama editoriale è più ricco; alcuni musicisti che si professano «maestri di cappella napoletani» pubblicano i propri testi didattici in Francia, come Gennaro Biferi, il maltese Francesco Azzopardi, il monegasco Honoré-François-Marie Langlé, che svolgerà un ruolo significativo nella fondazione del conservatorio di Parigi.

Nella rivista Fonti musicali italiane del 1997 Giorgio Sanguinetti osservava che "mentre altri paesi europei sviluppavano teorie [musicali] più razionali, l'Italia era una monocultura operistica la cui base teorica era l'antica tradizione napoletana del partimento". In termini di teoria della comunicazione, gli approcci "razionali" hanno privilegiato un modello di "trasmissione" suscettibile di ricezione da parte degli esterni, mentre i partimenti hanno favorito un modello "rituale" di pratiche simboliche condivise eseguite al meglio dagli interni. 

Recentemente alcuni musicologi amanti della musica barocca hanno cercato di ricostruire la pratica del Partimento, anche se lo studio dell’evoluzione e della definizione nel tempo di questo termine, nell’accezione che oggi conosciamo, resta ancora in parte oscuro. Nel tempo addirittura scomparve in quanto non si trovavano più fonti testuali strutturate ma solo appunti - spesso assai ermetici - degli allievi dei conservatori e dei maestri dell'epoca, ma anche dal fatto che prese piede la nuova didattica franco-tedesca.


Fonti: Rosa Cafiero, La formazione del musicista nel XVIII secolo: il "Modello"  dei Conservatori Napoletani; Giorgio Sanguinetti, La Scala come modello per la composizione; Benedetto Cipriani, La didattica musicale del partimento: la situazione del contesto romano tra figure chiave e nuove fonti.

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