Negli anni ’60 Giorgio Gaber scrisse e interpretò la canzone “Trani a gogò”, in cui raccontava le atmosfere del trani, l'osteria milanese dove si beveva il vino pugliese di Trani e dove si poteva incontrare dal “pregiudicato uscito da poco” al “finto pittore”, dalla “vecchia zitella che cerca l’amor” a “chi gioca a boccette” o “chi perde a tresette”.
Il rapporto tra Milano e i pugliesi arriva da lontano, dalla fine dell’800 quando a causa di un litigio doganale con la Francia ai pugliesi viene negato il commercio del loro vino oltralpe e così iniziano ad aprire vinerie alla mescita a Milano che diventano subito molto popolari.
Si tratta dei “trani”, osterie pugliesi che si sostituivano alle “piole” piemontesi e offrivano vino di Trani a buon mercato per i lavoratori.
A quei tempi il vino era molto forte e per i contadini costitutiva un energetico fondamentale, tanto che veniva chiamato “la carne potabile”.
Piano piano il fenomeno migratorio diviene sempre più importante e nel 1931 si contano 40mila cittadini pugliesi, ovvero il 5% del totale.
Nel secondo dopoguerra i trani si allargano a macchia d’olio e il termine entra di diritto perfino nel dialetto milanese.
Da trani deriva a sua volta l’aggettivo “tranatt”, cioè frequentatore abituale di osterie.
I trani iniziarono così a essere un punto di riferimento importante per i cittadini, si poteva giocare anche a carte e a morra e per alcuni divennero i luoghi dove cominciare a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo come l'attore Lino Banfi: «Andavo nei trani e iniziavo a canticchiare delle canzoni facendo finta di essere nero, con una calza in testa in cambio di un pasto e un bicchiere di vino, capii da subito che il nostro linguaggio dialettale faceva ridere».
Molti “trani”, nel corso degli anni Sessanta e Settanta, furono supportati da enoteche di qualità e molti di essi si trasformarono pian piano in vere e proprie boutique del vino.
Per chi volesse immergersi nelle atmosfere di quegli anni c'è un bel romanzo di Vincenzo Pappalettera, Il trani di via Lambro, racconta il locale visto con gli occhi di un bambino, figlio di immigrati pugliesi degli anni Trenta.
La famosa Porta Ticinese, a sud di Milano, dove si raggruppava la maggior parte dei “trani”, avrebbe assunto il soprannome di Porta Cicca, dal termine milanese che indica una persona ubriaca.
In milanese antico, infatti, “cica” vuol dire anche ubriachezza.
Ancora oggi, troviamo ciocch, (ubriaco), ciuca (sbronza), cicchetto (goccetto, bicchierino di vino o di liquore).
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