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Palestrina tra sacro e profano: interpretazioni, adattamenti e influssi didattici alla seconda giornata del convegno internazionale

Seconda giornata del convegno internazionale dedicato a Giovanni Pierluigi da Palestrina, organizzato dal Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia e dall’ADUIM in occasione del cinquecentenario della nascita del compositore. Gli interventi hanno approfondito il ricco panorama musicale del XVI secolo, con un focus particolare sulla produzione madrigalistica di Palestrina e sul più ampio contesto della musica sacra romana: interpretazioni, adattamenti e influssi didattici. 


Moderata da Francesco Saggio, la seconda giornata del convegno a Palazzo Raimondi, ha preso in esame la diffusione dei repertori profani nel Cinquecento, concentrandosi sull’antologia di madrigali a quattro voci edita da Antonio Gardano nel 1554, nonché sulle molteplici interpretazioni delle opere palestriniane nei diversi contesti storici e geografici, dalla ricezione a Siena agli sviluppi della tradizione gesuitica. All’interno della stessa sessione, "Palestrina madrigalista: un problema musicologico aperto", curata da Daniele Sabaino e Marco Mangani, ha offerto un’analisi dettagliata del primo libro di madrigali, esplorandone le scelte testuali, l’organizzazione sonora e le questioni attributive.

Paolo Teodori, docente presso il Conservatorio Santa Cecilia e dottorando alla Sapienza, ha indagato la nozione di "Scuola Romana" nel madrigale tardo-cinquecentesco, mettendo in luce la tendenza alla semplificazione stilistica attribuita a Luca Marenzio, come emerge dall’antologia Dolci affetti (1582). Nel suo contributo, Teodori, autore del recente volume Il madrigale romano alla fine del XVI secolo (2024), ha messo in discussione la validità di tale semplificazione, sottolineando l’imprevedibilità del madrigale come "poesia cantata" e riconoscendo in Marenzio un linguaggio più fluido e innovativo rispetto ai suoi contemporanei.

Carmela Bongiovanni, docente presso il Conservatorio Paganini di Genova, ha analizzato la diffusione della musica profana a stampa nella metà del Cinquecento, con particolare attenzione all’antologia di Gardano del 1554 che include il primo madrigale di Palestrina, evidenziando il ruolo cruciale degli editori nella circolazione di opere spesso anonime. Inoltre, ha approfondito il rapporto tra Ignazio di Loyola e la musica, illustrando come la pratica musicale fosse centrale nella formazione e nelle missioni apostoliche dei collegi gesuiti e del Seminario Romano, contribuendo a una tradizione culturale in cui sacro e profano si integravano strettamente.

Simona Negruzzo, docente di storia moderna e del cristianesimo e segretaria generale degli Studi Paolo Sesto, ha offerto una riflessione sulle pratiche musicali nei primi collegi della Compagnia di Gesù con il suo intervento «Musica honesta sint». Spazi musicali nei primi collegi gesuitici. Sfida il luogo comune del gesuita refrattario alla musica, mettendo in evidenza l’accomodamento strategico proposto da Ignazio di Loyola, volto ad adattare la musica alle esigenze missionarie e liturgiche. Negruzzo ha descritto il Collegio Romano come un centro d’eccellenza musicale, dove la musica speculativa si inseriva nel curriculum delle scienze matematiche, e il Seminario Romano come luogo di intensa attività corale e strumentale sotto la guida di Palestrina, in cui la musica, pur sottoposta a una rigorosa etica "honesta", svolgeva un ruolo chiave nell’evangelizzazione.

La terza sessione, presieduta da Antonio Delfino, ha indagato la fortuna di Palestrina tra XVIII e XIX secolo, approfondendo l’adattamento delle sue opere nelle grandi cattedrali europee e il ruolo della sua musica nella nascita del Cecilianesimo italiano, fino all’influenza esercitata sulla didattica musicale sino a Goffredo Petrassi.

Un ulteriore contributo di rilievo ha riguardato la ricezione della musica palestriniana nella Cattedrale di Wawel a Cracovia tra XVII e XVIII secolo: il reverendo Yuzaf Penkelsky, prevosto e copista del Collegio Rorantista, apportò modifiche strutturali, melodiche e ritmiche per conformare le composizioni alle pratiche liturgiche locali e alle capacità esecutive del suo ensemble, modificando spesso in maniera sostanziale le versioni originali. Questo caso emblematico illumina i processi di trasformazione e adattamento che la polifonia rinascimentale subì nel corso della storia a seconda delle diverse esigenze culturali e pratiche.

Appuntamento a domani per la terza e ultima giornata di lavori.

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