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500 anni di Palestrina, a Palazzo Raimondi il convegno internazionale nel cinquecentenario di Giovanni Pierluigi: nuove prospettive di ricerca tra storia, ricezione ed editoria musicale

Nel cinquecentenario della nascita di Giovanni Pierluigi da Palestrina, il Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia (Campus di Cremona) internazionale in collaborazione con ADUIM e SIDM organizza un convegno dedicato alla figura del grande compositore rinascimentale. Tre giornate di studi per approfondire le tecniche compositive, la ricezione delle sue opere attraverso i secoli, il rapporto con l’editoria musicale e le nuove prospettive di ricerca, dalle digital humanities agli approcci più innovativi. L’iniziativa intende offrire nuove chiavi di lettura sulla complessità dell’opera palestriniana e sul ruolo che essa continua a rivestire nella storia della musica sacra e profana.


Tra le numerose celebrazioni dedicate al Princeps Musicae, quella che si terrà a Palazzo Raimondi, unica residenza privata cremonese ricordata nelle Vite del Vasari, si annuncia come un momento di riflessione feconda per la musicologia, non solo italiana ma internazionale. È una ricorrenza che invita a ripercorrere le tracce lasciate dal grande compositore rinascimentale, a rileggere la sua eredità con strumenti aggiornati, a valutarne le influenze e ad affrontare i nodi ancora irrisolti.

Dal 16 al 18 settembre, il convegno si inserirà in questo orizzonte con un programma che, come si auspica, eviterà ogni retorica o concetto astratto. Le giornate di studio, incentrate sulle tecniche compositive, sulla ricezione delle opere nei secoli, sul rapporto con l’editoria musicale e sulle nuove prospettive di ricerca legate alle digital humanities, promettono di alimentare un confronto non commemorativo ma autenticamente critico, vitale e innovativo.

Il nucleo del convegno si concentra su alcuni temi fondamentali, a partire dalle tecniche compositive: l’analisi della scrittura contrappuntistica, l’uso delle dissonanze, i canoni, la varietà delle texture. Elementi che definiscono il cosiddetto “linguaggio Palestrina”, inteso non come modello statico ma come processo di continua invenzione, capace di confrontarsi con le esigenze liturgiche e con la sensibilità estetica del suo tempo.

Altro aspetto centrale è la ricezione storica, oggi riletta alla luce di nuove sensibilità interpretative e di ascolto. Non si limita al secolo immediatamente successivo all’attività del compositore, ma si prolunga fino all’Ottocento e al Novecento, quando le correnti di restaurazione della musica sacra e i movimenti liturgici e culturali individuarono nel “modello Palestrina” un paradigma di eleganza formale, rigore strutturale e bellezza vocale.

Un altro punto di rilievo affrontato, sarà rappresentato dall’editoria musicale, la cui importanza risiede nella diffusione delle opere tanto nei secoli della stampa a caratteri mobili, tra Seicento e Settecento, quanto nella modernità, attraverso edizioni critiche, raccolte digitali e l’Omnia Opera. Centrale è anche il modo in cui questi repertori vennero ristampati, restituiti o, in molti casi, oscurati, con conseguenze decisive sulla loro circolazione e ricezione.

Lo sguardo si apre poi alle digital humanities e agli approcci più innovativi: dall’uso di database e analisi stilistiche automatizzate alle ricostruzioni filologiche e alle edizioni enciclopediche online. Particolarmente significativo si rivela il confronto tra fonti manoscritte e a stampa, insieme alle testimonianze d’archivio, che consentono di delineare una vera e propria geografia della diffusione del repertorio palestriniano nel mondo.

Avvicinandosi al dibattito attuale, mi permetto di far emergere alcuni contributi recenti che possono essere messi in parallelo con i temi del convegno. In un’intervista recente intitolata The Sound of the Sacred: Adoremus Interviews Musicologist Thomas Neal on Palestrina’s 500th Birthday, si sottolinea come Palestrina sia stato "sempre più riconosciuto" non solo come modello di austera bellezza liturgica ma come compositore che applicò principi retorici nella polifonia sacra, garantendo chiarezza testuale pur all’interno di strutture complesse. Questo spinge verso un esame più preciso delle dissonanze, della parola nel testo, del rapporto parola-suono che alcuni degli interventi del convegno, come ad esempio quello di Noel O’Regan su "The Styles of Palestrina and the Dissonance" o Giulia Capecchi, sull’uso delle dissonanze dove abbandonano il luogo comune (Palestrina = pura omofonia o contrappunto rigido) per mostrarne la varietà.

Un altro studio, After Death He Did Not Die: An Examination of Palestrina’s … (2025), insiste sul ruolo che la cura del testo comprensibile ha nel consolidare la reputazione duratura di Palestrina: la sua musica non è piaciuta solo per la bellezza formale, ma perché permette che la parola - quella liturgica - sia percepita, compresa, e vissuta.

Sul fronte della ricezione, il contributo del Pontefice, recentemente, "Pope Leo XIV lauds polyphony, pays tribute to Palestrina", testimonia come, anche oggi, l’autorità ecclesiastica guardi a Palestrina come modello per la musica liturgica: la convocazione del patrimonio polifonico come strumento di "rieducazione" liturgica, di partecipazione attiva dei fedeli, di mediazione fra bellezza artistica e funzione spirituale. 

In ambito storiografico, il capitolo "Defining Palestrina" nell'Oxford University Press, analizza le linee di frattura delle attitudini verso la polifonia controriformistica, come è stata idealizzata, strumentalizzata, criticata, dall’epoca romantica e post-romantica fino agli studi recenti che cercano di decostruirne i miti (il mito di Palestrina "salvatore" della polifonia) per restituirlo nella complessità delle fonti, delle pratiche, degli ascolti. 

Come appare evidente, il programma affronta molti dei nodi fondamentali legati alla figura del Princeps. La riflessione finale non può limitarsi a una celebrazione retrospettiva: il cinquecentenario richiede uno sguardo rinnovato, capace di mettere in relazione le fonti con le tecnologie, le prassi storiche con le trasformazioni culturali, la dimensione liturgica con le esigenze del pubblico contemporaneo. Il convegno di Cremona si muove chiaramente in questa direzione, ponendo al centro non l’ammirazione astratta ma l’indagine critica, la comprensione dei limiti, delle variazioni e delle tensioni che caratterizzano la tradizione palestriniana. È una sfida complessa e tutt’altro che superficiale, che spetta soprattutto alle nuove generazioni di musicologi raccogliere e sviluppare.

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