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Studi musicologici: la tradizione della poesia spirituale e religiosa italiana tra il XV e il XVI secolo. Gli italianisti e il madrigale

Un illuminante saggio dell’italianista Amedeo Quondam, recentemente scomparso, esplora la poesia spirituale e religiosa italiana tra XV e XVI secolo, evidenziando il ruolo centrale del madrigale come forma archetipica della cultura letteraria e musicale dell’Antico regime. Il madrigale spirituale, fondato sull’integrazione inscindibile di testo e musica, testimonia la capacità delle pratiche rinascimentali di trasformare profondamente i testi poetici nella dimensione sonora, rivelando la stretta connessione tra esperienza letteraria e musicale nella cultura del Cinquecento.


Amedeo Quondam è stato uno dei più autorevoli italianisti degli ultimi decenni, un maestro riconosciuto a livello internazionale e autore di studi imprescindibili sulla letteratura italiana attraverso i secoli. Ha insegnato Letteratura italiana alla Sapienza dal 1978 al 2013, anno in cui fu nominato professore emerito. Fu in quel contesto universitario che ebbi modo di apprezzarne direttamente il lavoro e l’influenza. Già allora alcuni suoi libri circolavano come veri e propri classici. Oggi, ad esempio, Rinascimento e classicismi. Forme e metamorfosi della modernità (il Mulino, 2013) potrebbe a buon diritto essere adottato come testo metodologico nei corsi universitari di letteratura italiana: un’opera che raccoglie e rilancia gran parte degli esiti del suo percorso critico, trasmettendo un insegnamento essenziale, quello di pensare e non dare mai nulla per scontato, purché si sia davvero disposti a farlo. 

La sua instancabile attività scientifica e organizzativa lo ha reso un protagonista assoluto dell’italianistica, in Italia e all’estero. Nel 1996 fu tra i fondatori dell’Associazione degli Italianisti, di cui fu segretario e poi presidente per due mandati, dal 2005 al 2011. In qualità di presidente emerito continuò a seguirne con passione la vita, partecipando regolarmente a congressi e iniziative scientifiche dell’ADI.

Nel suo saggio sulla tradizione della poesia spirituale e religiosa tra XV e XVI secolo, Amedeo Quondam documenta, attraverso un’ampia ricognizione bibliografica, la diffusione del libro spirituale, in particolare nel contesto post-tridentino, e il ruolo svolto da chierici e laici in una produzione che non separava rigidamente sacro e profano. La poesia spirituale emerge così come parte costitutiva della cultura classicistica di matrice petrarchesca, rivelandosi un nodo decisivo per comprendere le dinamiche letterarie e musicali del Rinascimento europeo.

Le ricerche sulla lirica italiana tra Cinquecento e Seicento hanno sofferto a lungo di una certa "distratta debolezza" da parte degli italianisti, soprattutto nei confronti della poesia spirituale e in musica. Amedeo Quondam evidenzia la marcata asimmetria rispetto alla musicologia: mentre i musicologi hanno prodotto studi di rilievo sulla poesia in musica, sacra e profana, arrivando a includere nel proprio campo persino i libri di poesia cinquecenteschi (a stampa e manoscritti), gli italianisti hanno mostrato un’inerziale resistenza ad affrontare il senso delle pratiche comunicative della poesia in/per musica, spesso svalutandone la portata.

Quella che Quondam definisce una vera e propria “supplenza” musicologica costituisce il segno più evidente della disattenzione degli italianisti verso un ambito di straordinaria rilevanza storica ed estetica: la poesia integrata con la musica, intesa come forma comunicativa inscindibile. I musicologi, forti di strumenti fondamentali come la monumentale monografia di Alfred Einstein sul madrigale italiano e il repertorio di Emil Vogel, hanno saputo orientarsi nella complessa selva madrigalistica. Gli italianisti, invece, hanno spesso ridotto il madrigale a una forma metrica passeggera, senza riconoscerne la portata culturale e comunicativa.

La radice di tale negligenza va ricercata in un pregiudizio di matrice ideologica che ha escluso la poesia religiosa - devota, spirituale, sacra - dal perimetro della letteratura. Questa rimozione, o vera e propria cancellazione programmata, ha prodotto un deserto negli annali tipografici e culturali tra Quattrocento e Cinquecento, occultando un corpus ampio e significativo. Lo stesso petrarchismo è stato a lungo liquidato come malattia endemica o landa desolata, secondo un paradigma storiografico ottocentesco, consolidato da De Sanctis, che ne decretava il disvalore etico ed estetico in rapporto alla presunta decadenza politica e morale del tempo. La musicologia, forse grazie al suo respiro internazionale, è rimasta estranea a tali furori ideologici, riconoscendo invece il primato del madrigale e il pieno valore del Barocco musicale.

Per colmare questo deserto e ridurre l’asimmetria tra studi musicologici e italianistici, Quondam ha avviato un’indagine di carattere "archeologico" sulla poesia religiosa e spirituale del Cinquecento, fondata su una ricognizione bibliografica preliminare. Attraverso il catalogo delle edizioni italiane del XVI secolo (Edit16), ha individuato i libri che si autodefinivano "spirituali" nel titolo. I risultati, sorprendenti, hanno restituito 910 unità bibliografiche, ridotte a 768 dopo un attento vaglio critico. La categoria di "spirituale" si rivela così un tratto distintivo della cultura cinquecentesca italiana, termine duttile e quasi universale, spesso equivalente a "religioso" e, in età post-tridentina, a "cattolico" o "tridentino".

È cruciale sottolineare la debolezza strutturale di questa tipologia libraria in termini di conservazione: i libri di devozione e quelli destinati alla pratica musicale erano concepiti per l’uso quotidiano - preghiera, meditazione, canto - e quindi facilmente soggetti a logoramento. Estranei al progetto della biblioteca classicistica, raramente vi trovavano posto; spesso di piccolo formato, privi di dorso o legatura, erano inoltre vulnerabili alle procedure di censura e distruzione imposte dal Concilio di Trento e dall’Inquisizione.

Nonostante ciò, l’analisi registra una crescita imponente del libro spirituale nella seconda metà del secolo (85% del totale), con un picco tra il 1561 e il 1570, in coincidenza con il rinnovamento cattolico post-tridentino. La distribuzione geografica segnala la netta preminenza di Venezia (50% delle edizioni), ma anche una fitta disseminazione in tutta la penisola, fino ai centri minori. Questi libri, spesso economici e di formato ridotto, si affermarono come strumenti privilegiati della nuova evangelizzazione tridentina, capaci di raggiungere un pubblico ampio e composito di cristiani moderni.

La produzione libraria spirituale del Cinquecento fu dominata, per circa l’88%, da autori contemporanei, in gran parte chierici appartenenti agli ordini religiosi del rinnovamento cattolico, come Luís de Granada, Louis de Blois e Ignazio di Loyola. Non mancò, tuttavia, la presenza di scrittori laici italiani, sebbene in misura più contenuta. Particolarmente significativo è il dato relativo ai libri per musica che recavano l’aggettivo "spirituale" nel titolo: circa settanta unità bibliografiche attestano la varietà della polifonia religiosa del secolo, dalle canzoni spirituali alle laudi, dai madrigali spirituali ai mottetti, fino a napoletane e villanelle. Tale produzione fu alimentata sia da musicisti professionisti - tra cui Luca Marenzio, Giovanni Pierluigi da Palestrina e Claudio Monteverdi - sia da religiosi, confermando quella che Quondam definisce "l’assoluta normalità del fare musica insieme" nelle società classicistiche di antico regime, dove l’esperienza musicale accompagnava tanto la ricreazione quanto la preghiera.

All’interno del panorama librario cinquecentesco, la tipologia più rappresentativa è quella delle rime spirituali, che si autodefiniscono nel frontespizio e si pongono in continuità con il tradizionale libro di rime di impronta petrarchesca. Vittoria Colonna, con le edizioni del 1539 e del 1546, è riconosciuta come la fondatrice di questa nuova forma, presto consolidata dal successo editoriale e dalle numerose ristampe. Il petrarchismo, con la sua tensione tra conflitto interiore, autoanalisi, conversione e preghiera, fornì l’imprinting genetico a questa lirica, anche attraverso il riuso diretto dei testi del Canzoniere.

In una prima fase, le rime spirituali furono coltivate da poeti laici di osservanza bembiana, come Giulio Bonnunzio, Giovanni Agostino Caccia e Ferrante Carafa. Dopo il Concilio di Trento, tuttavia, la loro produzione divenne prevalentemente appannaggio di chierici, impegnati a rifunzionalizzare la tradizione lirica petrarchesca in chiave cristiana, mantenendone lingua e forme. Sul finire del secolo, la categoria di "spirituale" subì una metamorfosi semantica: dall’introspezione soggettiva si passò alla celebrazione di temi religiosi e liturgici, segnando una nuova fase nella storia della lirica sacra.

Il motivo delle "lagrime" - pianto e dolore - risulta particolarmente pervasivo, connettendo la figura del poeta dolente e peccatore ai salmi penitenziali e alla passione di Cristo. Maria Maddalena e San Pietro emergono così come protagonisti di quella che Quondam definisce una vera e propria “alluvione di lagrime”, diffusa in molteplici testi poetici.

Altro nodo cruciale è il rapporto con la Scrittura. Nonostante i divieti e i controlli della Congregazione dell’Indice sui volgarizzamenti biblici, anche in versi, il riuso dei testi sacri è ampiamente attestato. Centrale resta l’asse cristologico e mariano, sebbene non manchino riferimenti all’Antico Testamento. Si manifesta, inoltre, la ricerca di un poema sacro capace di narrare vita e passione di Cristo, o di Maria, in forme compatibili con il poema eroico moderno, come testimonia il Mondo creato di Torquato Tasso. In questo contesto, la tradizione esameronica - la narrazione dei sei giorni della Genesi - conobbe un notevole sviluppo, trasformandosi in una vera moda letteraria.

Particolare rilievo assume il culto mariano, e in particolare quello del rosario, promosso dai Domenicani e favorito dalla vittoria di Lepanto (1571). Tale devozione si tradusse in un’ampia produzione poetica, spesso classicistica (canzoni, sonetti, ottave), a cui contribuirono chierici, laici e persino autrici donne.

La straordinaria fioritura della poesia spirituale e religiosa nel Cinquecento dimostra come la competenza nello scrivere fosse ormai diffusa e socialmente trasversale, esercitata pubblicamente in tutti i generi poetici contemporanei. Il medium tipografico, sostenuto da accademie e confraternite, favorì la circolazione dei testi, mentre editori come Zoppino, Marcolini e Giolito promossero la poesia religiosa al pari di quella profana, con autori come Aretino, Tansillo e Tasso attivi in entrambi i campi.

Il pubblico, stimato in decine di migliaia di lettori onnivori e curiosi, non distingueva rigidamente tra lettura amena e devota, cercando testi ben scritti, classicisticamente impostati e originali. I testi spirituali furono così prodotti e recepiti secondo le stesse regole linguistiche, retoriche e poetiche dei testi profani, con un classicismo che colonizzava l’intero sistema della comunicazione letteraria, integrando e valorizzando anche la poesia religiosa.

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