Palestrina oltre i confini: mobilità, repertori e nuove metodologie negli studi musicologici post-tridentini
Gli ultimi interventi del Convegno a Palazzo Raimondi hanno approfondito la contestualizzazione e la ricezione delle opere di Palestrina in diversi contesti geografici, evidenziando la mobilità come fattore strutturale nella diffusione dei suoi repertori. Sono stati analizzati casi di ricezione nel Nuovo Mondo e in Terra Sabauda, rivelando dinamiche di circolazione e adattamento delle sue composizioni in ambiti culturali differenti.
In chiusura dei lavori, il recente convegno sui 500 anni di Palestrina a Palazzo Raimondi a Cremona, ha offerto un'analisi approfondita della contestualizzazione e dei vari contesti della ricezione delle opere di Palestrina. Le presentazioni hanno esplorato contesti geografici diversi, dalle regioni italiane centrali e settentrionali all'America coloniale, evidenziando l'influenza del compositore e le dinamiche delle istituzioni musicali post-tridentine.
Riccardo Graciotti, storico della musica presso il Conservatorio Gioachino Rossini di Pesaro, ha presentato una ricerca sulle cappelle musicali nella Marca d'Ancona in età postridentina, adottando un approccio geografico per analizzare la mobilità professionale. Questo studio, focalizzato sul periodo che va dai primi anni del XVI secolo fino al 1610, si concentra sulle Marche, una regione parte dello Stato Pontificio, geograficamente distante dai centri vitali della musica italiana ma comunque influenzata da Roma.
La ricerca, di natura statistica, ha utilizzato un database (costruito sulla scorta della bibliografia specialistica) che copre 267 soggetti tra maestri di cappella (151) e organisti (116). L'obiettivo era ricostruire i flussi di provenienza e analizzare le dinamiche periodiche di tale mobilità professionale.
L'approccio geografico mira a evidenziare i nessi tra la circolazione degli individui e la configurazione delle tradizioni e dei gusti musicali. Sono state applicate metodologie di indagine che utilizzano la tecnologia GIS (Geographic Information System) e programmi come QGIS e GeFi per proiettare i movimenti sulla cartografia, visualizzando la mobilità musicale e le reti di trasmissione culturale.
Le analisi statistiche indicano che la concentrazione delle istituzioni corali formalmente istituite si manifesta soprattutto dopo il 1550, in coincidenza con la Controriforma. Riguardo alla provenienza dei musicisti attivi nelle Marche, si nota una percentuale piuttosto bassa proveniente dal Lazio/Roma, sebbene questo dato si basi sulle provenienze dichiarate. È invece notevole il contributo delle regioni del Nord Italia e del Nord Europa (Fiamminghi, Francesi), mentre la maggioranza dei soggetti ignoti è probabilmente locale. I flussi extraregionali sono diventati sempre più consistenti numericamente dalla metà del Cinquecento fino al 1610.
L'analisi dei trasferimenti in entrata (ultima tappa prima di giungere nelle Marche) evidenzia l'importanza di Loreto, definita una cappella pontificia e indubbiamente il centro più significativo, insieme a Roma. Tuttavia, l'analisi di rete (network analysis) tramite GeFi posiziona Loreto in una posizione periferica rispetto ad altri centri marchigiani (i cluster), suggerendo che scambiasse meno con il territorio regionale e più con l'esterno. La ricerca conferma che la mobilità era un fattore cruciale, tanto che per il maestro di cappella, il viaggio era forse il mestiere principale.
Lo storico della musica, Lorenzo Candelaria ha focalizzato la sua attenzione sul Codex Valdés (o Valdès Kodex), una fonte di polifonia di stile rinascimentale proveniente da un archivio messicano. Databile principalmente al 1600–1610, il manoscritto è noto sia per essere tra le fonti meglio conosciute che meno comprese.
Il codice contiene 139 fogli e cicli di messe polifoniche che ne costituiscono la parte preponderante. La metà della collezione di messe è composta da opere di Palestrina (o Johannes Petreloisius, come è chiamato nel manoscritto). Questa alta concentrazione di composizioni palestriniane segnala un'identificazione con il compositore modello della Chiesa Romana e, per estensione, con l'autorità divina. Questa chiave di lettura è stata spesso trascurata a causa dell'attenzione esclusiva rivolta ai due unici mottetti presenti in lingua indigena (Nahuatl).
Il manoscritto quasi certamente era legato alla doctrina francescana di Toluca. Nonostante Toluca fosse un insediamento coloniale periferico rispetto a Città del Messico o Puebla, il codice rivela un impressionante livello di cura. La presenza di Palestrina nel Nuovo Mondo è spiegata dalla sua reputazione come esemplare di composizione polifonica post-tridentina ideale e dalla vasta disponibilità delle sue musiche in edizioni dedicate a papi e alla corona spagnola.
Tra le messe attribuite, spicca la Missa Sponsus amavit, basata sul mottetto secolare D'amours me poing di Bachos de Camarone. Questa messa è unica tra le fonti ispano-americane e la sua presenza, nonostante l'origine secolare del materiale (che era stato oggetto di revisione da parte della Chiesa Cattolica), suggerisce un uso liturgico legato a Maria Maddalena, la cui festa (22 luglio) era obbligatoria in Nuova Spagna. Il Codice Valdés è un volume molto pratico, di dimensioni ridotte, adatto ad essere utilizzato da un piccolo coro in una piccola istituzione.
Il musicologo Denis Silano ha chiuso il convegno tracciando la storia della ricezione della produzione sacra di Palestrina nella Cattedrale di Vercelli (area Sabauda) tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Novecento. Vercelli, importante centro ecclesiastico che alla fine del '500 era più rilevante di Torino, istituì il Collegio Innocentium (per i sei ragazzi del coro) nel 1495 e un gruppo di cantori stabili nel 1517.
La presenza di Palestrina è attestata precocemente. Nel 1575 compaiono nelle carte vercellesi le sue produzioni profane (Madrigali), che servivano anche a scopi didattici. La produzione sacra è attestata nei primi anni '90 del Cinquecento, in particolare con gli Offertori Totius Anni (editi nel 1593).
Testimonianze manoscritte e a stampa di diverse epoche documentano la diffusione delle opere di Palestrina. Nel Seicento, l'organista e maestro Marco Antonio Centorio, attivo tra il 1618 e il 1638, realizzò copie in partitura del Settimo e Ottavo Libro delle Messe, probabilmente riduzioni tratte dalle parti vocali originali, utilizzate per studio, direzione o per estrarre il basso continuo. Nel Settecento, maestri come Giovanni Antonio Costa e Giovanni Maria Brusasco continuarono a trascrivere mottetti e Magnificat di Palestrina. Solo nell’Ottocento-Novecento la celebre Missa Papae Marcelli entrò stabilmente nel repertorio, debuttando nel 1894 durante il terzo centenario dalla morte di Palestrina, con una grande esecuzione che coinvolse cinquanta interpreti tra voci maschili e bianche.
Le fonti di Vercelli rivelano anche le pratiche liturgiche locali. Molti brani di Palestrina venivano utilizzati in sostituzione del graduale previsto dalle circostanze liturgiche (pro graduali), a volte invertendo la loro funzione originaria, come nel caso degli offertori.
L'azione di Raffaele Casimiri, nominato maestro di cappella nel 1908 per implementare la riforma della musica sacra voluta da Pio X, fu fondamentale. Nonostante l'ostilità del capitolo, Casimiri introdusse nel 1909 l'esecuzione dell'ordinario della messa con la Missa Aeterna Christi Munera di Palestrina, eseguita a sole voci, senza accompagnamento.
L'utilizzo di sistemi di visualizzazione come QGIS e GeFi, sebbene ancora a livello artigianale, permette un nuovo modo di comunicare i dati storici musicologici, restituendo in modo sistematico e oggettivo la geografia dei mutamenti culturali e favorendo la divulgazione degli studi scientifici. La network analysis applicata ai dati sulla mobilità, come nel caso delle Marche, evidenzia come la percezione dell'importanza di un nodo (ad esempio, Loreto) possa essere diversa se analizzata in termini di importanza istituzionale o di effettiva relazione di scambio con il territorio circostante. L'analisi deve tuttavia tenere conto della discontinuità delle fonti e della possibilità che la rappresentazione grafica non sia una fotografia fedele della realtà, ma piuttosto del dato storico pervenuto.
In conclusione, questi studi dimostrano come l'opera di Palestrina sia stata un fattore strutturale nelle dinamiche di diffusione dei repertori e dei modelli estetici del Tardo Cinquecento, sia in contesti europei che coloniali, e come la sua musica abbia contribuito a ridisegnare il paesaggio sonoro, trasformando la messa in un'esperienza estetica.

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