Il ricco patrimonio ampelografico ne è testimonianza e l’agricoltura come mezzo di sopravvivenza ne ha delineato lo sviluppo. Grandissimo contributo lo hanno dato i Greci che con le loro colonie in Magna Grecia fanno risalire la coltivazione delle vite in Italia intorno al 730-720 a.C.
Le varietà di vite sono state poi nel tempo classificate come alloctone o internazionali, tradizionali e appunto autoctone.
Negli ultimi tempi a dispetto di una omologazione dei vitigni più gettonati, sia internazionali che tradizionali, si è visto un crescente interesse per i vitigni autoctoni, e questo grazie a quei pochi produttori illuminati che hanno avuto la volontà e la passione di intraprendere una strada diversa, quella della ricerca e della riscoperta, dobbiamo infatti a loro se oggi possiamo trovare sugli scaffali delle enoteche o dei supermercati questi vitigni nel tempo dimenticati, offrendoci la possibilità di scegliere qualcosa di diverso, qualcosa che era già presente ma che era andato perduto.
E su uno scaffale del supermercato, ieri ho trovato un vino dal nome fuorviante forse ancora per molti: il Pecorino. Un vino prodotto dall’omonimo vitigno di varietà autoctona, cioè con probabile origine italiana, o qui esistente da lungo tempo, tanto che non è più possibile risalire alla sua esatta provenienza.
Vitigno a bacca bianca diffuso soprattutto nelle Marche e in Abruzzo, il Pecorino ha origini incerte: pare che le prime tracce bibliografiche risalgano al tempo di Catone il Censore (II secolo a.C.) che lo classificava nel gruppo delle aminee (nome che indicava un insieme di vitigni - Greco di Tufo, Grechetto, Pignoletto - portati in Italia durante le migrazioni del popolo greco degli Ammei).
Il bollettino ampelografico di Stato del 1875 lo descrive poi come <vitigno che da tempo si coltiva a vigna nei luoghi del medio adriatico; fra le viti di questi luoghi è quello che da il frutto più precocemente maturo>.
La ragione che lo porta infine a condividere il nome col più noto formaggio rimane dubbia, ma è probabilmente legata ai movimenti stagionali dei pastori e delle pecore (la famosa transumanza), un tempo caratteristici delle regioni dell'Appennino Abruzzese-Marchigiano.
Sembrerebbe che le pecore fossero ghiotte di questa particolare uva che era dolcissima e le conseguenti depredazioni che i greggi ne facevano causavano non poche diatribe tra pastori e agricoltori. Era chiamata in tal senso anche Uva Pecorina o Uva delle Pecore.
Col tempo questo vitigno è stato progressivamente abbandonato per la sua limitata produttività e sostituito con altre varietà più redditizie come Trebbiano e Passerina. La grande resa, infatti, era preferita alla qualità in quanto l’uva veniva conferita alle grandi cantine sociali che la trasformavano poi in vino.
Il Pecorino è rimasto presente nelle “Filonate” (i filoni di vigna intervallati da piante da frutto o di ulivo) fino agli anni ’70 e il Pecorino era il vino destinato esclusivamente al consumo familiare, in quanto considerato vino di qualità, in dialetto veniva chiamato “Promotico”, cioè "precoce" in quanto già nei primi giorni di settembre può essere raccolto a differenza degli altri uvaggi a bacca bianca più lenti nella maturazione.
Come dicevo il Pecorino è diffuso in maniera particolare nelle basse Marche, il nord dell’Abruzzo e nelle province di Teramo e Pescara, la diversa natura del terreno di queste due regioni ne evidenzia la differenza tra produzione marchigiana e abruzzese.
Nei panel di assaggio si è rilevato che le tenute abruzzesi producono un vino giallo paglierino più accentuato, quasi tendente al dorato, con profumi originali e insoliti e una nota alcolica piuttosto accentuata che raggiunge spesso i 14 gradi. Il vitigno, per raggiungere l’eccellenza, ha bisogno di colline alte e fresche, con forti escursioni termiche.
Oltre a maturare presto, è un’uva molto zuccherina, che determina gradazioni alcoliche piuttosto elevate e dà vita a vini di buona struttura e acidità marcata: queste qualità consentono a diversi produttori di optare per le vendemmie tardive e per brevi affinamenti in legno, in modo da ottenere vini di buona struttura e complessità ed adatti all’ invecchiamento.
Il grappolo del Pecorino è di media grandezza, molto allungato, a volte alato; gli acini sono piccoli e tondi, di colore giallo verdognolo.
Attualmente il Pecorino ha due classificazioni una abruzzese, nella sconfinata “I.G.T. Terre di Chieti” e una "D.O.C. Offida Pecorino" per quanto riguarda le Marche.
A proposito il Pecorino che ho trovato sullo scaffale del mio Supermercato di fiducia è il Kaleo 2011, un “I.G.T. Terre di Chieti” prodotto dalle Cantina Sangro, sono rimasto particolarmente colpito per la sua struttura decisa, concordo in pieno con l’appellativo che si usa dare a questo vino: ”un rosso vestito di bianco”.
Le note minerali lo rendono quasi masticabile ben si accordano alla sua struttura sentori floreali di biancospino, fiori di arancio ed erbe balsamiche che lo rendono molto gradevole al palato, finendo su una piacevole vena acida, un annata che può restare in bottiglia per almeno altri 2 anni.
Ha vinto il Diploma di merito alla decima Selezione Nazionale Vini da Pesce ma non disdegna il confronto con piatti a base di carne e salumi.
Rapporto qualità/prezzo imbattibile quasi commovente per la sua qualità.
Per chi volesse approfondire consiglio di leggere: “La riscoperta del Pecorino, storia di un vitigno e di un vino” è un libro che potrà soddisfare anche i più curiosi amanti del buon bere.
Contatti: cantina sangro
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