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La “Gioconda nuda”, il capolavoro attribuito a Leonardo esposto a Villa Farnesina

A Villa Farnesina una Gioconda per il banchiere. Grazie all’accordo con la Fondazione Primoli che ne è proprietaria La “Gioconda nuda” ora esposta nella Sala che ospitava lo studio di Agostino Chigi. Fino al 3 ottobre 2020.






La Gioconda Nuda, su cartone di Leonardo, dipinto a olio su tela, grazie alla generosità della Fondazione Primoli, è stata data in comodato all’Accademia Nazionale dei Lincei per essere esposta a Villa Farnesina, ed esattamente nella Sala Chigi ovvero nella sala che ospitava lo studio del banchiere Agostino Chigi.

L’opera derivata dal cartone Femme nue dite La Joconde nue del Musée Condé (Chantilly), attribuito a Leonardo da Vinci o al suo atelier, è già stata esposta a Villa Farnesina nella mostra Leonardo a Roma. Influenze ed eredità aperta a ottobre 2019 (fino a gennaio 2020) in occasione della quale era stata restaurata.

Gli unici dati certi nella sequela delle provenienze (che tuttavia possono immaginarsi più complesse e concitate) sono la sua appartenenza alla ricchissima galleria del Fesch, cardinale e zio di Napoleone (stabilitosi a Roma dal 1814 sino alla morte nel ’39), e il successivo ingresso a Palazzo Primoli, tra gli oggetti d’arte del conte Giuseppe.

Il catalogo della vendita Fesch, che fu tra i principali eventi nel mercato artistico e mondano di metà Ottocento – “avec 20.000 francs on aurait pu gagner 40.000 à la vente du cardinal Fesch”, scriverà Balzac nel ’46, di ritorno da Roma –, così presentava l’opera: “dans une galerie d’où la vues’étend entre deux colonnes sur un campagne semée de rochers arides, la jeune beauté est représentée nue et assise”, vestita solo “d’une draperie violette, dont l’un des pans recouvre ses genoux et entoure son bras droit”.

Il dipinto, nel catalogo Fesch, anticipava un lotto riferito a Bernardino Luini, fra i primissimi leonardeschi lombardi. Gli studi più recenti (Blumenfeld 2019) hanno offerto buoni argomenti per credere che il cardinale, oltre all’attuale Gioconda Primoli, fosse pure il proprietario del disegno-modello oggi conservato a Chantilly, cosicché i due, cartone e dipinto, avrebbero convissuto per un certo periodo nella medesima raccolta.

Nel primo inventario della Fondazione Primoli (senza data) la tela è nuovamente descritta, al suo posto, tra le scaffalature della biblioteca: “un dipinto ad olio raffigurante la Gioconda di Luini”. È dunque probabile che presso il conte o nella sua famiglia il quadro venisse ritenuto opera di Bernardino Luini. L’opera esprime una chiara identità di soggetto e di figura col disegno di Chantilly, fino in certi dettagli, quali l’occhio sinistro lievemente abbassato rispetto al destro o la leggera torsione delle labbra.

Nel confronto col cartone, che non dava indicazioni né sullo sfondo né sull’eventuale prosecuzione della figura femminile, la Gioconda Primoli – come del resto altri dipinti afferenti al “tipo” –introduce la gamba, che appare tra le balaustre della seduta e il drappo, le colonne del porticato e la veduta di fondo, che è l’aspetto esecutivo più felice e interessante dell’opera, per l’esser e realizzata senza disegno, in evanescenza, e per l’evidente recupero del paesaggio roccioso, a balze, caratteristico di Leonardo. Le recenti analisi tecniche hanno mostrano inoltre, ai raggi, pur in una sostanziale coerenza compositiva, una figura sottostante dai tratti più sottili in alcuni punti (nel collo, ad esempio), mentre lo studio dei pigmenti ha rilevato l’uso di smaltino, già altrove riscontrato nell’opera di Leonardo e dei suoi seguaci.

I richiami, di postura e di contesto, con la figura della Gioconda parigina sono resi in modi espliciti; e d’altra parte s’è invocata più volte una pagina del diario del cardinale d’Aragona (redatto da Antonio de Beatis): nell’ottobre del 1517, visitando lo studio francese di Leonardo, si poteva osservare fra le sue opere un ritratto di “certa donna florentina facta di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de Medici”. Quest’antica informazione ha suggerito ad alcuni critici (cf. Schneider 1923, Brown – Oberhuber 1978, Delieuvin 2019) l’ipotesi che nella “certa donna” potesse intuirsi il soggetto della Gioconda nuda.

IL RESTAURO

L’opera si presentava in un discreto stato di conservazione. Le maggiori problematiche erano soprattutto a danno degli strati pittorici e preparatori, per la presenza di un consistente ingiallimento dovuto all’ossidazione delle vernici impiegate nei precedenti interventi di restauro, ai depositi grassi (nicotina, nero fumo, polvere grassa), all’alterazione cromatica delle riprese pittoriche eseguite in passato e presenti soprattutto sul cielo, sul panneggio e in molte parti dell’incarnato ed inoltre ad un evidente cretto a “pelle di coccodrillo” diffuso su tutta la pellicola pittorica, tutti fattori che ne mortificavano l’apprezzamento estetico. Ad un’osservazione a luce radente si riscontravano sollevamenti del cretto nella porzione centrale. Le estese riprese pittoriche erano state eseguite in modo più o meno arbitrario anche nella logica del gusto del tempo, volte a “compensare” la perdita cromatica soprattutto del cielo e del panneggio. Il cielo,

realizzato a smaltino, nel tempo aveva perso la sua intensità a seguito dell’ingrigimento naturale del pigmento e la sua denaturazione aveva modificato anche i rapporti cromatici del panneggio, così da apparire di un color rosato molto spento. È plausibile pensare che molte delle rifiniture a lacca presenti sul panneggio siano state rimosse a seguito di incaute puliture.Analoga sorte è probabilmente toccata anche ai balaustri della seduta. Restavano a vista le sole campiture di costruzione e le vistose pennellate scure, tanto da indurre a pensare a un “non finito”, se non, addirittura, a pesanti ritocchi di interventi successivi. In passato, per intensificare la cromia del panneggio e dei balaustri della seduta, venne impiegata anche della resina, forse mista a pigmenti, che nel tempo, ossidandosi, si era indurita e scurita. Il restauro effettuato su vari elementi della tela ha consentito soprattutto di ristabilire un corretto indice di rifrazione per un adeguato godimento dell’opera.

Il restauro è stato curato da Cristiana De Lisio e Alessia Felici (Consorzio Recro). Come si è detto l’opera ora si trova nella Sala Chigi di Villa Farnesina ora aperta secondo i criteri del protocollo sanitario: i visitatori devono essere dotati di mascherina e rispettare il distanziamento sanitario di 2 metri. Per ogni sala è consentito l’ingresso a non più di 5 visitatori (1 persona in Galleria delle Grottesche, così come nella Saletta Pompeiana e 2 nel bookshop). Sono vietate le visite guidate singole e di gruppo, così come provocare assembramenti in giardino e all’interno della Villa. La distribuzione dell’audioguide è sospesa, ma si può scaricare gratuitamente un’app sul cellular.

Inoltre per la Loggia di Amore e Psiche si ricorda che è attivo il link vcg.isti.cnr.it/farnesina/loggia/ con un sistema interattivo che permette di osservare a una distanza ravvicinata sia le storie di Amore e Psiche, opera di Raffaello, Giulio Romano e Giovan Francesco Penni, sia il particolarissimo pergolato e le specie animali realizzati da Giovanni da Udine su disegno di Raffaello.

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