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Melodia, armonia, contrappunto e forma: l'Analisi Schenkeriana, per un’interpretazione organica della struttura musicale. Il ruolo fondamentale della "diminuzione"

Una riflessione, un libro. In una delle mie ultime prove con l'ensemble in cui attualmente sono cantore (stiamo attualmente studiando una cantata di Bach) il nostro direttore, il prof. Luigi Ciuffa che, in primis, ricopre la carica di direttore del Conservatorio Morlacchi di Perugia, ha sollevato un interessante tematica da cui ho preso spunto per parlare di questo libro a cura di William Drabkin, Susanna Pasticci ed Egidio Pozzi. 



In sede di prova, la riflessione, rivolta alla comprensione del lavoro di Bach, si è dipanata considerando il suo inimitabile stile musicale, caratterizzato e conosciuto universalmente come una combinazione unica di complessità contrappuntistica, profondità emotiva e struttura formale impeccabile. Nello specifico ci siamo soffermati brevemente sull'analisi del Preludio in Do Maggiore BWV 924. Una pagina finissima che tiene sempre desta l'attenzione di chi l'ascolta, e che appunto ha reso più di un servigio all'analisi schenkeriana.

Incuriosito quindi, sono corso a procurarmi questo volume, in cui viene esposto e ricostruito molto chiaramente l'impianto teorico e metodologico di analisi musicale elaborato dal musicologo austriaco Heinrich Schenker nel corso dei primi decenni del '900. Tale metodo tende ad analizzare le strutture interne delle composizioni individuando dei modelli strutturali che rinviano a specifici processi compositivi. È uno dei punti di riferimento della moderna analisi musicale. Il tracciato di questo metodo viene ripercorso dai tre autori del libro con grande chiarezza e precisione espositiva che ne fa al tempo stesso un testo divulgativo e di approfondimento.

Aggiungo che Felix Salzer, musicologo, teorico musicale e pedagogo austriaco, nonché allievo di Schenker, scrisse qualcosa di illuminante al riguardo; egli spiegò infatti che Schenker ha dato il via ad un orientamento del tutto nuovo nella teoria e nell’analisi della musica, spingendosi molto oltre i risultati conseguiti dai teorici che lo precedettero. Schenker provò il significato dell’espressione musicale considerata in sé e per sé. Di conseguenza dimostrò per la prima volta, attraverso analisi rivelatrici presentate sotto forma di grafici, la coerenza organica di una composizione esaminata nella sua globalità. Nel corso del processo di elaborazione di questo principio egli scoprì che la penetrazione analitica della musica dipende da un ascolto e da una conoscenza testuale in profondità.

Per Schenker, dunque, la conoscenza effettiva di un dato brano consegue all’individuazione degli elementi strutturali che soggiacciono alla concreta veste del brano stesso; nel contempo il processo di individuazione degli elementi strutturali non può prescindere dall’osservazione dei più minuti dettagli testuali che alla luce del loro rapporto con eventi di livello più profondo si caricano di significato compositivo e acquistano coerentemente una dimensione organica.

Come anticipavo nel titolo, nell'ambito della teoria schenkeriana, il termine “diminuzione” non viene utilizzato nell'accezione corrente di derivazione fiamminga, ovvero come "procedimento inverso dell'aumentazione", ma sta a indicare una particolare tecnica compositiva che, codificata nel Rinascimento, consentiva a un musicista di fiorire liberamente la struttura base di un pezzo durante l'esecuzione. Questa fioritura poteva consistere sia nell'abbellimento di una singola nota (attraverso, per esempio, trilli e mordenti) sia nella sostituzione di una nota di una certa durata con altre note di durata inferiore. 

Secondo Schenker questa tecnica fu inventata e utilizzata dai musicisti italiani per ampliare lo spettro delle possibilità di elaborazione dei materiali musicali. Tuttavia, mentre nei secoli successivi gli italiani continuarono a usare la tecnica delle diminuzioni quasi esclusivamente nel campo della musica vocale, i compositori tedeschi cominciarono a utilizzarla anche in ambito strumentale. Applicando tale tecnica alle forme contrappuntistiche e alla variazione corale, i tedeschi riuscirono a trasformare la musica strumentale in un prodotto artistico, caratterizzato da leggi di funzionamento proprie e del tutto autonome rispetto ai modelli della musica vocale da cui essa aveva inizialmente tratto la sua origine.

Il criterio compositivo implicito nella tecnica rinascimentale delle diminuzioni, che consente di generare un passaggio musicale attraverso l'espansione di un nucleo di base, è parte integrante di quella concezione organicistica del fenomeno artistico che costituisce uno dei nodi fondamentali del pensiero schenkeriano. 

La possibilità di istituire un parallelismo fra i principi della teoria e alcuni fenomeni esistenti in natura, rappresenta per Schenker una precisa conferma della validità dei suoi assunti. L'idea che una composizione musicale costruita secondo criteri artistici sia il risultato dell'elaborazione graduale e sistematica di un nucleo fondamentale trova infatti un adeguato corrispettivo nella storia di un organismo vivente che, pur nella sua straordinaria complessità, ha avuto origine da un nucleo di base contenente il suo intero codice genetico. 

Secondo Schenker l'operazione di sviluppo e articolazione di un nucleo essenziale è connaturata alle strutture cognitive dell'uomo; essa sottende ogni atto creativo e, al tempo stesso, ogni atto percettivo. Per indicare il procedimento attraverso cui, a partire da un nucleo fondamentale, un brano musicale acquista forma e sembianze particolari, Schenker ha utilizzato il termine Auskomponierung, ovvero “elaborazione compositiva". Si tratta di un processo complesso, ma non arbitrario, condotto secondo precise regole la cui pertinenza può essere verificata direttamente attraverso lo studio dei grandi capolavori musicali. 

Ma che cos'è in pratica questo nucleo essenziale, questo codice genetico che, secondo Schenker, avrebbe dato vita a tutti i capolavori della tradizione musicale del diciottesimo e del diciannovesimo secolo?

Una composizione tonale è, per definizione, un pezzo caratterizzato da una determinata tonalità d'impianto; in altri termini, la triade e la scala costruite sulla tonica rappresentano una struttura di riferimento fondamentale all'interno del brano che, in linea generale, inizia e finisce con l'armonia di tonica. Nonostante ciò sarebbe troppo semplicistico affermare che il nucleo fondamentale di un brano tonale sia costituito dalla sua triade di tonica, dal momento che essa rappresenta una struttura statica che, pur condensando gli elementi fondamentali del brano, non contiene l'idea del movimento lineare, ovvero del principio sotteso alla condotta contrappuntistica delle parti. Secondo Schenker ciò che distingue la musica d'arte dalla musica d'uso è proprio l'utilizzo di una tecnica di condotta delle parti basata sul contrappunto severo; di conseguenza il "codice genetico" di una composizione d'autore è una struttura dotata di una connotazione non solo armonica, ma anche contrappuntistica che Schenker ha denominato Ursatz, ovvero "struttura armonico-contrappuntistica primordiale".

La genesi di questo libro edito da LIM, Libreria Musicale Italiana, è intimamente legata ad un incontro di studio sull'analisi musicale svoltosi a Reggio Emilia nel marzo del 1989, comunemente annoverato come il più vasto dibattito sull'analisi mai realizzato in Italia. In occasione di quell'incontro, William Drabkin fu invitato a tenere un corso di analisi schenkeriana che, registrando il "tutto esaurito", ha messo in luce l'interesse e la curiosità dei musicisti italiani nei confronti di questa metodologia. 

Successivamente la Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma ha organizzato altri tre seminari di analisi schenkeriana, che si sono svolti a Roma nell'aprile del 1991. Oltre a determinare un'ulteriore proliferazione di iniziative di questo genere, il successo dei seminari romani ha evidenziato la necessità di operare in modo tale che i contenuti e il clima di fervida discussione di quegli incontri diventassero patrimonio comune dei musicisti italiani e, non più consegnati alla sola memoria dei partecipanti, trovassero una forma scritta, compiuta, e accessibile a tutti.

In quegli anni di fatto iniziava una moltiplicazione delle iniziative volte alla diffusione di questa metodologia nelle Università e Conservatori, accanto alla sempre meno timida comparsa di articoli di taglio schenkeriano sulle varie riviste di settore. Questo ha indotto gli autori di questo libro a pensare che i tempi fossero maturi per presentare al pubblico italiano un volume organico e compiuto interamente dedicato all'analisi schenkeriana. 

La caratteristica distintiva del libro va ricercata in un approccio ai problemi musicali del tutto informale e totalmente avulso da pretese scientifiche. I primi tre capitoli sono dedicati a una ricostruzione dei concetti chiave del pensiero schenkeriano, condotta attraverso l'esame del contesto culturale e musicale che li ha generati. 

Nei capitoli successivi, incentrati sull'analisi di sei pezzi del repertorio tonale, si è preferito adottare un atteggiamento di stampo induttivo. Il punto di partenza di ciascun capitolo è costituito dal problema dell'interpretazione di un brano musicale, rispetto al quale anche il lettore ignaro di analisi schenkeriana ha a sua disposizione un bagaglio di esperienze che gli deriva dalla conoscenza dell'armonia, del contrappunto e della teoria della forma tradizionali, tenendo bene in mente che nell'analisi delle grandi opere della tradizione tonale non esistono risposte giuste o sbagliate, ma semplicemente letture più efficaci e penetranti di altre. Il taglio problematico adottato all'interno di questo libro nasce di fatto dal tentativo di presentare la metodologia in un'ottica quanto più possibile fedele allo spirito di Schenker stesso. 

Nonostante il carattere fortemente sistematico della maggior parte dei testi di analisi schenkeriana prodotti in area anglosassone, è necessario ricordare che la difficoltà implicita nella lettura diretta delle opere di Schenker deriva principalmente dal fatto che la sua teoria è il risultato di un lungo percorso di ricerca non sempre unidirezionale, ma animato da una incredibile capacità di rimettersi continuamente in discussione. L'autore sottopose infatti il suo pensiero a un processo di costante evoluzione: piuttosto che inquadrare le opere musicali nei limiti angusti di una teoria preconcetta, egli seppe derivare tale teoria da un processo di interrogazione continua delle opere musicali stesse.

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