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Vini “naturali”: il commento di Riccardo Polegato. Il giovane produttore titolare de La Viarte prende posizione

Sono anni che lo ripeto, ma la convinzione deve partire da chi il vino lo fa veramente. Una voce fuori dal coro? Non credo, sono molti a pensarla così. Condivido quindi pienamente e pubblico questo commento di Riccardo Polegato, giovane produttore titolare de La Viarte, sui cosiddetti vini “naturali”.

Il giovane produttore titolare della cantina La Viarte di Prepotto (UD) sui Colli Orientali del Friuli, prende posizione sul fenomeno vini naturali. Riccardo Polegato, classe 1996, “figlio d’arte” cresciuto tra filari e bottiglie, titolare dell'azienda insieme alle sorelle Luana e Giorgia, rompe finalmente gli indugi e prende posizione sui vini “naturali”, tema che nelle ultime settimane ha acceso il dibattito all’interno del mondo enologico. Una diatriba che, tra zone d’ombra e poca padronanza della materia, rischia di danneggiare il lavoro di tanti produttori, fuorviando il consumatore finale.

«Negli ultimi anni, il termine “vino naturale” è diventato di moda, un'etichetta che attrae un certo pubblico e promette qualità superiori e conseguenze meno impattanti per la salute.

Tuttavia, dietro questa definizione apparentemente accattivante, si nasconde una realtà altamente controversa.

In primo luogo, il concetto di “vino naturale” non ha alcuna base legale o regolamentazione ufficiale: non esiste, infatti, un ente di controllo che certifichi cosa sia effettivamente un vino naturale e cosa no. Questo lascia spazio a interpretazioni arbitrarie e, inevitabilmente, a pratiche di marketing ingannevoli.

Si tratta, in sostanza, di un termine privo di rigore che gioca sulla percezione del consumatore.

Non a caso, la narrativa che accompagna i vini naturali spesso sottintende che i vini prodotti in modo convenzionale siano in qualche modo “artefatti” o “inferiori”. Questo è profondamente fuorviante, perché la viticoltura convenzionale è regolamentata da norme precise, con controlli rigorosi sulla qualità e sulla sicurezza del prodotto. E non si può dimenticare come gli enologi professionisti che lavorano secondo i metodi tradizionali o moderni si affidano a decenni, se non secoli, di conoscenze scientifiche e pratiche consolidate per garantire un prodotto eccellente e sicuro, mentre le imperfezioni organolettiche tradotte come “naturali” sono spesso difetti di vinificazione.

Un altro aspetto critico è il messaggio implicito che i vini naturali siano più salutari.

Questa è una semplificazione che rasenta l'inganno, poiché la salubrità di un vino non dipende dal fatto che sia naturale o meno ma, piuttosto, da fattori come il contenuto di solfiti (che, peraltro, sono presenti naturalmente anche nei vini cosiddetti “naturali”), la qualità dell'uva e i processi di vinificazione.

Dunque, affermare che un vino naturale sia automaticamente “migliore per la salute” è una manipolazione che sfrutta la poca conoscenza del consumatore medio. 

Infine, c'è il rischio di un effetto boomerang: concentrarsi sul “naturale” rischia di sminuire il lavoro di migliaia di produttori che, pur non utilizzando questa etichetta, si impegnano onestamente ogni giorno per creare vini straordinari nel rispetto dell'ambiente, del territorio e, soprattutto, del consumatore.

Senza contare che questo tipo di comunicazione non fa altro che dividere inutilmente il settore, invece di valorizzare la diversità e la ricchezza della viticoltura mondiale.

In conclusione, il concetto di vino naturale è, nella migliore delle ipotesi, un’abile strategia di marketing; nella peggiore, è un inganno.

Credo fermamente che migliorare la comunicazione nel settore vinicolo sia necessario per tutelare i consumatori, i quali meritano di sapere che un buon vino non ha bisogno di aggettivi fuorvianti per dimostrare la propria qualità.

Per questo, da giovane produttore, suggerisco ai miei coetanei di informarsi con attenzione sul tema, per essere in grado di valutare con maggior consapevolezza le proprie scelte di consumo.

E lo dico nella convinzione che temi come la trasparenza, la conoscenza e il rispetto per il lavoro dei produttori dovrebbero essere al centro del dialogo, non banalizzati e trasformati in etichette che servono solo a creare inutili divisioni».

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