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Vino e territori, Toscana: il futuro è sostenibile

La Toscana modello italiano per la sostenibilità e sempre più green oriented: dal 31 dicembre 2021 stop al glisofate nell'intero territorio con un intervento da circa 15 milioni di euro nell'ambito del PSR 2014-2020 la regione punta al 30% della superficie agricola biologica.






La Toscana, un modello vitivinicolo virtuoso, riconosciuto come esempio di “buone prassi” improntate alla sostenibilità e all’innovazione in campo agricolo. Questo è quanto emerso alla tavola rotonda dal titolo “Toscana: il futuro è sostenibile” che si è svolta a Firenze, alla presenza di Marco Remaschi, assessore regionale all’Agricoltura, Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc, Stefano Zanette, presidente di Equalitas, Francesco Liantonio e Giuseppe Liberatore, rispettivamente presidente e direttore generale di Valoritalia.

Buone prassi, che non a caso, sono le protagoniste del nuovo numero del magazine trimestrale Valorimag, pubblicato dall’ente certificatore leader in Italia nelle attività di controllo sui vini Docg, Doc e Igt e presentato a margine della tavola rotonda. Una monografia – scaricabile anche dal sito www.valoritalia.it – che raccoglie in 90 pagine punti di vista, riflessioni e approfondimenti su una delle regioni portabandiera del made in Italy enoico.

Dal nuovo intervento da circa 15 milioni di euro nell’ambito del Psr 2014-2020 per arrivare al 30% di superficie agricola convertita al biologico allo stop al glifosate dal 31 dicembre 2021 per l’intero territorio regionale, in anticipo rispetto alle linee dell’Unione europea; dalla messa a punto di protocolli di autovalutazione della sostenibilità aziendale ai meccanismi di salvaguardia ambientale introdotti nell’ambito dei fondi OCM Vino.

A dimostrare inoltre lo spirito avanguardista verso questi temi, le testimonianze di Sandro Sartor, CEO di Ruffino (tra le prime grandi aziende italiane che hanno creduto nel Bio), Michele Manelli dell’azienda Salcheto (una delle cantine pioniere certificate Equalitas) e Giovanni D’Orsi di Casaloste (prima azienda biologica certificata di Panzano in Chianti nel 1994).

“Il solco tracciato dagli stessi produttori – spiega l’assessore alle Politiche agricole della Regione Toscana, Marco Remaschi – è stato avvalorato negli anni da politiche agricole regionali lungimiranti, messe in campo attraverso i fondi europei. Basti citare, ad esempio, i 26 progetti finanziati per oltre 6,5 milioni di euro con la Sottomisura 16.2 del PSR 2014-2020 a favore di metodi di viticoltura di precisione, il progetto SOSWine che ha portato alla determinazione dell’impronta ambientale di prodotto e i due progetti del bando PIF 2015 sui protocolli di autovalutazione della sostenibilità, vale a dire SOS.T. e SOSTE-NOBIL-ETÀ. Ciò dunque a dimostrazione che la Regione, interpretando al meglio il generale cambio di passo a vantaggio della salute del consumatore, della salvaguardia della biodiversità e dei paesaggi viticoli, ha fatto proprie le istanze del settore, che si è sempre distinto per attitudine all’innovazione”.

Un comparto, quello del vino toscano, che attualmente supera le 23mila imprese, dislocate per oltre due terzi in aree destinate alle produzioni di vini DOP, che coprono più del 92% della superficie vitata regionale (60mila ettari). A fare da valore aggiunto, 11 Docg, 41 Doc e 6 Igt. Si aggira intorno a un miliardo di euro, pari all’11% del totale nazionale indicato da Ismea, il fatturato generato dalla filiera dei vini DOP e IGP imbottigliati, di cui circa 550 milioni fanno capo all’export (57% nei Paesi extra Ue; 43% nei Paesi Ue). Risultati frutto di ingenti investimenti realizzati grazie ai fondi OCM Vino, che dal 2000 ad oggi superano i 307 milioni di euro, e al Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020, che al quinto anno di programmazione ha destinato risorse per un valore di 867 milioni di euro con 61 bandi pubblicati (in pratica il 91,3% della dotazione finanziaria totale prevista dal programma). Non solo: grazie alla Misura OCM Vino “Ristrutturazione e riconversione dei vigneti” negli ultimi dieci anni oltre il 45% dei vigneti è stato rinnovato. Un dinamismo che si riscontra anche sul fronte bio, dove oltre 5mila operatori (il 6,6% del totale nazionale) lavorano per il continuo miglioramento delle coltivazioni rispettose dell’ambiente che aumentano di anno in anno. Nel 2018, con un incremento di oltre il 6% sul 2017, la superficie coltivata in Toscana ad agricoltura biologica ha infatti superato i 138mila ettari, coprendo il 7,1% del totale nazionale. Guardando solo al settore vitivinicolo, con oltre 15mila ettari, la quota toscana supera il 14% delle superfici biologiche in Italia (fonte: elaborazioni SINAB).

“Dall’arte al vino – ha dichiarato il presidente di Valoritalia, Francesco Liantonio - la Toscana rappresenta la qualità in ogni sua declinazione e da decenni vanta un ruolo da protagonista sul piano produttivo e nella percezione dei consumatori. Tra i fattori che sono alla base di questo successo sicuramente le scelte lungimiranti e il lavoro condiviso tra consorzi, aziende, enti di certificazione e istituzioni che hanno consentito a questa regione di diventare un modello di riferimento anche quando si parla di sostenibilità e innovazione. La Toscana è di fatto un laboratorio dove si sperimenta continuamente e dove spesso si gettano le basi per i futuri trend. Basti ricordare che per prima ha valorizzato il turismo del vino, facendo da incubatore a quel fenomeno che oggi esprime un valore tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro e varando addirittura in anticipo sulle altre regioni italiane una legge che disciplina le attività enoturistiche delle proprie cantine, e che ancora prima che diventasse una pratica diffusa ha promosso la produzione biologica in chiave partecipata attraverso il biodistretto di Greve poi allargato in biodistretto del Chianti”.

A rimarcare il ruolo pionieristico dei Consorzi di tutela toscani sul piano della tracciabilità del prodotto e il peso delle denominazioni di origine di questa regione nella progressiva affermazione della viticoltura italiana è stato invece il direttore generale di Valoritalia, Giuseppe Liberatore.

“Denominazioni storiche come Chianti, Chianti Classico, Brunello, Nobile di Montepulciano e Vernaccia – ha spiegato Liberatore - hanno senza dubbio contribuito alla radicale trasformazione del settore vitivinicolo e alla prima fase di espansione del vino italiano, costruendo quel brand dalla forte identità territoriale che oggi fa da apripista per il made in Italy enoico nel mondo. Allo stesso tempo, di fronte alla crescente richiesta di trasparenza a garanzia della qualità, sono stati proprio i consorzi toscani a sperimentare in anticipo su tutti procedure e metodologie che hanno portato alla definizione di meccanismi chiari per tutto il Paese. Nel 2004, quello del Chianti Classico fu infatti il primo consorzio a essere autorizzato ad applicare un piano dei controlli per la verifica dei requisiti previsti dal disciplinare. Un’impostazione innovativa legata al passaggio delle funzioni di verifica dai consorzi agli enti di certificazione che ha consentito al nostro comparto di dotarsi di un sistema nazionale di regole e garanzie riconosciuto in tutto il mondo per la sua valenza”.

Una valenza che attualmente Valoritalia garantisce certificando 221 denominazioni di origine (46 DOCG, 126 DOC e 49 IGT) pari al 42% del totale nazionale delle DO e, sul piano quantitativo, al 53% della produzione di vini DOP e IGP. Ogni anno, inoltre, Valoritalia certifica oltre 1,7 miliardi di bottiglie e distribuisce più di un miliardo di Contrassegni di Stato. Nel complesso, il valore “franco cantina” del prodotto vitivinicolo certificato da Valoritalia è di circa 6,8 miliardi di euro.

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