Musica rinascimentale: la "questione dello stile" nel madrigale del Cinquecento. I compositori fiamminghi e l'incontro con la poesia petrarchesca
Le relazioni stilistiche tra la lirica petrarchesca e i compositori fiamminghi, rappresentano uno dei fenomeni più significativi e fecondi della cosiddetta "questione dello stile" nel complesso e variegato contesto della musica rinascimentale italiana. L’incontro tra la raffinata struttura lirica del Poeta e le consolidate prassi contrappuntistiche fiamminghe, ha contribuito a definire un linguaggio madrigalistico maturo, caratterizzato da un equilibrio tra norme retoriche, sensibilità espressiva e tradizione compositiva condivisa.
Nel cuore di questo incontro si colloca la figura del compositore fiammingo Filippo di Monte, autore che, più di ogni altro, ha intonato in musica il Canzoniere del poeta aretino, plasmando un corpus di ben 133 madrigali basati su 74 testi petrarcheschi. La fortuna musicale delle rime di Petrarca, lungi dall’essere immediata, si colloca piuttosto nella fase matura del madrigale cinquecentesco, con un picco tra 1561 e 1570, periodo in cui la polifonia veneziana di matrice fiamminga raggiunge l’apice della sua espressione. In quest’ambito, la produzione di Monte si configura come paradigmatica per le tendenze stilistiche e poetico-musicali dell’epoca. Da un lato, l’influsso di maestri come Willaert e Rore, con la loro attenzione alla complessità sintattica e retorica del testo poetico, dall’altro la capacità di Monte di calibrare uno stile "aulico” e "grave" conforme ai canoni petrarcheschi, testimoniano una consapevolezza stilistica fine e consolidata.
Si è reso evidente che la questione dello stile nel madrigale petrarchesco cinquecentesco, nasce da un complesso equilibrio retorico-musicale: i compositori non si limitano a mettere in musica testi elevati, ma indugiano nella resa dei registri stilistici propri, oscillando tra gravità e piacevolezza, tra registri aulici e leggiadri. Nel segno di una retorica umanistica che permea la cultura musicale dell’epoca, lo stile diventa norma condivisa, un sistema di artifici e tecniche polifoniche: dal contrappunto libero all’imitazione, dal declamato all’omoritmia, impiegati con grande sapienza per riflettere la complessa tessitura semantica del testo petrarchesco.
Questa varietà stilistica si traduce in una raffinata articolazione musicale: il madrigale diventa un microcosmo in cui il testo è interpretato attraverso un continuo gioco di forme e procedimenti, con le cadenze che svolgono un ruolo sia strutturale che espressivo, tra conclusioni nette e "cadute" rinviate che alimentano il flusso emotivo. L’etichetta di "gravità" ben esprime queste scelte compositive orientate a rendere in musica la profonda tensione poetica, mentre l’evoluzione verso stili più leggeri e canzonettistici appare evidente in epoche successive, soprattutto nel caso di Monte.
Il contesto veneziano, ricco di fermenti culturali e punto di incontro tra l’umanesimo poetico e la polifonia fiamminga, è il crogiolo in cui si forgia quella che si è andata delineando come "questione dello stile". Figure come Monte incarnano questo insieme complesso, rielaborando modelli consolidati e trasmettendo a loro volta nuove norme stilistiche. L’attenzione alla fedeltà al testo, alla sua sintassi e al suo ethos affettivo, declinata in un sistema non codificato ma condiviso, costituisce il segreto della straordinaria efficacia e durata della musica petrarchesca.
L’indagine musicologica su Filippo di Monte, e sui suoi contemporanei fiamminghi, evidenzia così come la riflessione sullo stile nel madrigale sia una questione che va oltre la ricerca di una mera originalità individuale: il modello dominante è quello della tradizione, del magistero che si apprende per imitazione e rielaborazione, un patrimonio retorico-musicale che si plasma sull’essenza del petrarchismo. La presenza massiccia di testi petrarcheschi nelle raccolte madrigalistiche e la loro articolazione in forme musicali esemplari, rappresentano di fatto il culmine di un fenomeno culturale che ha segnato profondamente la musica vocale rinascimentale.
Un saggio di Cecilia Luzzi e Andrea Chegai, nell'ambito del Convegno Internazionale di Studi "Petrarca in musica" tenutosi ad Arezzo, individua una problematica centrale: l'assenza di un trattato teorico esplicito che codificasse le pratiche stilistiche del madrigale su versi petrarcheschi. Come accennato era quindi una pratica fondata su convenzioni tacite: modelli retorici, prassi compositive condivise, ma non formalizzate. Gli autori mostrano inoltre come la riflessione sullo stile non fosse mero esercizio estetico, ma parte integrante della cultura musicale del tempo. Essa chiarisce inoltre che la centralità dei fiamminghi nel panorama italiano non fu casuale: essi portarono con sé una tradizione di imitazione e di apprendimento per modelli, adattandola alle esigenze del petrarchismo e contribuendo a definire un sistema normativo implicito, condiviso e riconosciuto. In questo senso, la "questione dello stile" non è solo problema storico o filologico, ma chiave interpretativa per comprendere la nascita del madrigale come forma autonoma e altamente consapevole della propria funzione poetico-musicale.
Il petrarchismo musicale era parte di un più ampio movimento culturale nel Cinquecento: l’adozione di Petrarca come modello linguistico-letterario e fonte per la polifonia vocale su testi italiani, richiedeva forme compositive adeguate. Questa dinamica crea un codice culturale condiviso, ma più implicito che formalizzato, come ben rilevato dal musicologo Franco Piperno. I fiamminghi portarono uno stile contrappuntistico sofisticato, importato nelle corti italiane; il confronto tra tradizione formale e nuova sensibilità poetico-musicale è parte integrante della "questione dello stile".
Studi recenti sul madrigale, come quello di Salvatore Ritrovato dell’Università di Urbino, evidenziano il rapporto problematico tra forma poetica e musicale, l'assenza di prescrizioni rigide e la varietà stilistica che caratterizza il repertorio. Ciò conferma la natura aperta e non codificata della prassi stilistica. L’assenza di un trattato stilistico definito implicava che i compositori si affidassero a un insieme di modelli retorici e tecniche tramandate, ma soggettivamente interpretate, in buona sostanza una prassi fluida, non prescrittiva.
Bisogna inoltre considerare che al centro si colloca, in maniera esplicativa, il principio del decorum, mutuato dalla retorica umanistica: la gravità patetica di un sonetto richiedeva uno stile musicale denso e contrappuntisticamente elaborato, mentre testi di registro più leggero si traducevano in soluzioni omoritmiche e declamatorie. È la dialettica che Pietro Bembo, nelle Prose della volgar lingua, definì tra gravità e piacevolezza, e che i madrigalisti trasposero in musica attraverso l’uso calibrato di polifonia, cromatismi, dissonanze, valori ritmici e tessiture. Non esisteva un trattato unitario che codificasse tali pratiche: le Istitutioni harmoniche di Zarlino e, più tardi, il Ragionamento di musica di Ponzio, ne registrano solo alcuni principi, mentre il vero terreno di codificazione fu la prassi stessa.
Qui il contributo di Cipriano de Rore appare decisivo. Rore non solo eredita la lezione veneziana di Willaert, ma la radicalizza fino a trasformarla in un "metodo di lettura musicale" capace di restituire in suono le antitesi, le torsioni sintattiche e i nuclei semantici del testo petrarchesco. È su questo terreno che Monte, Lasso e Wert costruiscono le loro intonazioni, evidenziando, pur nella varietà delle soluzioni, un comune riferimento a un sistema di regole implicite.
La "questione dello stile" si configura dunque come duplice tensione: da un lato, la ricerca di norme condivise che garantissero coerenza tra poesia e musica; dall’altro, la progressiva differenziazione individuale, che porterà dal rigore contrappuntistico veneziano alle sperimentazioni cromatiche ferrarresi e alle aperture espressive del tardo Cinquecento. È in questo spazio intermedio tra regola e invenzione, tra tradizione e libertà, che si colloca il madrigale petrarchesco, genere insieme normato e mutevole, espressione di una vera "retorica musicale" rinascimentale.
Un caso emblematico infine, è rappresentato dalla Canzone alla Vergine che occupa un posto significativo nello studio di questa tematica. Le intonazioni cinquecentesche di Verdelot, Arcadelt, Palestrina e altri, mostrano come la polifonia compatta, il controllo delle dissonanze e la declamazione chiara venissero calibrati in funzione del testo sacro, dando vita a una nuova forma: il madrigale spirituale. In un mio recente articolo, parlai dell'intrinseca solennità e contenuto devozionale del testo che appartiene naturalmente al registro aulico o grave bembiano.
In questa prospettiva, la Canzone alla Vergine si pone come snodo decisivo tra repertorio profano e sacro, dimostrando come i principi retorici e stilistici elaborati per la poesia amorosa petrarchesca potessero trasmigrare, senza soluzione di continuità, nella sfera religiosa. L’emergere del madrigale spirituale testimonia così l’elasticità di un sistema normativo implicito, capace di adattarsi ai diversi registri testuali pur mantenendo la coerenza di fondo tra gravità poetica e gravità musicale. I compositori vi riconobbero un testo che richiedeva un trattamento stilistico elevato, vicino al mottetto, con polifonia compatta e tono meditativo. In termini retorici, era il modello ideale per la trasposizione di Petrarca in chiave sacra.
Proprio la Canzone alla Vergine rappresenta una soglia tra madrigale profano e repertorio sacro: la forma musicale resta madrigalistica, ma il contenuto religioso ne muta la funzione e la ricezione. Come ha mostrato Paolo Cecchi (La fortuna musicale della “Canzone alla Vergine” petrarchesca e il primo madrigale spirituale), queste intonazioni segnano l’avvio di un genere che mantiene i tratti retorico-musicali del madrigale ma applicati a un testo sacro.
Qui inoltre la questione non è solo tecnica, ma anche ideologica: quale stile adottare per rendere in musica un testo sacro in volgare, quando non esiste un modello codificato? I compositori applicano le stesse convenzioni di gravità, contrappunto e chiarezza declamatoria già sperimentate con i sonetti e le canzoni profane di Petrarca, ma al servizio della devozione. La tradizione fiammingo-veneziana, con il suo legame alla retorica classica e alla gravitas, offrì gli strumenti adeguati a questo passaggio.
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