Il patrimonio musicale nella revisione del Codice dei Beni Culturali. Un dialogo interdisciplinare verso tutela e valorizzazione
Il 29 maggio prossimo, la Biblioteca della Crociera al Collegio Romano ospiterà una tavola rotonda dal titolo emblematico: “Il patrimonio musicale nella revisione del Codice dei Beni Culturali”. Promossa dal Ministero della Cultura, l’iniziativa riunisce istituzioni, giuristi, musicologi e artisti per affrontare una delle sfide più attuali (e spesso trascurate) del nostro tempo: riconoscere la musica come bene culturale a pieno titolo.
Quella dei Beni musicali è una questione ancora aperta. Una vexata quaestio che, tra tradizione storica e legittimazione, si dipana senza soluzione di continuità, senza mai arrivare ad una risposta univoca o soddisfacente. Si dimentica troppo spesso che la musica è memoria viva e conservarla è sì un atto di cultura, ma anche di responsabilità collettiva.
Cosa intendiamo per “bene musicale”? La musica - gregoriana, polifonica, strumentale o vocale - è oggi oggetto di studi approfonditi, pratiche filologiche, ricostruzioni storiche e interpretazioni informate. Ma dal punto di vista normativo, resta un oggetto parzialmente invisibile. Gli strumenti antichi sono tutelati come manufatti, i codici miniati e i trattati teorici come beni librari, ma la pratica musicale storica, le modalità esecutive, i repertori tramandati oralmente o i cicli liturgico-musicali non trovano un riconoscimento chiaro e sistematico nel Codice dei Beni Culturali (D.lgs. 42/2004).
Il Codice, infatti, si fonda ancora su una nozione prevalentemente materiale di bene culturale, lasciando sullo sfondo l’aspetto immateriale e performativo della musica. Un paradosso se pensiamo che il canto gregoriano, dichiarato patrimonio immateriale dall’UNESCO, è stato il cuore della spiritualità europea per oltre un millennio.
Anche nel recente numero monografico della rivista (“Il patrimonio musicale: tutela e valorizzazione”, n. 29/2022), studiosi come Guido Salvetti e Paola Besutti hanno sottolineato la necessità di aggiornare il quadro normativo, sulla scorta delle convenzioni internazionali dell’UNESCO relative al patrimonio immateriale (Convenzione 2003) e delle esperienze di altri Paesi europei.
Come ha ricordato recentemente Giuseppina La Face, vice-presidente del Saggiatore musicale e tra i protagonisti della giornata del 29 maggio, «serve una definizione normativa che dia dignità alla musica come patrimonio culturale vivo». L’ICBSA - Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi - promuove da anni la digitalizzazione e la tutela di fondi rari e storici, tra cui incisioni di musica rinascimentale e barocca. E alcuni progetti universitari, come Sound Archives dell’Università di Bologna, hanno già tracciato linee guida operative per la catalogazione e la conservazione della memoria musicale.
Ma manca ancora un riconoscimento normativo esplicito, che permetta di salvaguardare anche ciò che sfugge al supporto materiale: la prassi esecutiva, la trasmissione orale, il contesto d’uso. E' evidente che si va formando una nuova frontiera per l’educazione e la ricerca. Per chi si occupa di musica antica, la posta in gioco è altissima. Riconoscere la musica come “bene culturale” significa rafforzare le risorse per la ricerca, l’insegnamento nei conservatori, i progetti di edizione critica e le esperienze concertistiche in luoghi storici.
Tra gli interventi previsti al convegno ci saranno quelli di Federico Mollicone (VII Commissione Cultura della Camera), Edith Gabrielli (direttrice del VIVE), Paola Passarelli (MiC), Andrea De Pasquale (Direzione generale Digitalizzazione), Giorgio Battistelli (Accademia di Santa Cecilia), e studiosi come Francesco Grisostolo, Carlo Ossola e Alessandro Zuccari.
L’obiettivo è aprire un dialogo interdisciplinare sulle implicazioni giuridiche, educative e culturali del concetto di patrimonio musicale, con particolare attenzione alle sfide della tutela e della valorizzazione. Quali strumenti normativi possono garantire la salvaguardia della musica in generale, come patrimonio immateriale? Come tutelare non solo gli oggetti (manoscritti, strumenti) ma anche i saperi esecutivi, le tradizioni liturgico-musicali, gli archivi sonori storici, le scuole interpretative?
Significa, soprattutto, riannodare il legame tra musica e memoria storica: perché ogni antifona, ogni mottetto, ogni ricostruzione filologica è una finestra aperta sul passato - ma anche una sfida di interpretazione viva e contemporanea.
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