I numeri dell'export italiano di vini raccontano una storia di successo: prima voce del comparto Food&Beverage, tassi di crescita a doppia cifra, costanti incrementi di venduto, per citare solo i principali
La ricerca sull’export del vino conferma: i fondi Ocm fondamentali per la promozione del vino nel mondo
Grandi Marchi: Crescite a tre cifre in Extra Ue. Bene anche i mercati di sbocco
Secondo la Corte dei Conti Ue, i fondi Ocm, furono ritenuti un privilegio poco utile al settore enoico europeo. I dati macroeconomici dell’export made in Italy ed europeo, dimostrano invece che senza i fondi per la promozione stanziati dalla Ue sarebbe stato molto difficile per il vino del Vecchio Continente mettere a segno una crescita, negli ultimi 5 anni, del 63% fuori dai confini continentali. E questo merito anche all'oculatezza con cui sono stati spesi dalla maggior parte delle imprese
“Il Pil italiano avrebbe oggi 500mld di euro in più se fosse
cresciuto quanto l’export di vino made in Italy dal 2007 al 2013”. A dirlo è
Alberto Mattiacci, ordinario di Economia a la Sapienza di Roma, autore della
ricerca sull’export del vino realizzata per l’Istituto italiano del vino di
qualità Grandi Marchi presentata oggi a Roma, citando il dato dell’ufficio
studi economici BNL.
I numeri dell’export
italiano sono per il professore “un caso di successo imprenditoriale e
amministrativo”, con una crescita dal 2008 al 2013 del 45% a valore e del 23% a
volumi. Un incremento netto e strutturale ma anche qualitativo, perché “gli
incrementi a valore superano quelli a volume, segno di una crescita costante
della qualità del prodotto esportato”. Un successo, infine, anche “intrinseco e
pervasivo”, perché in grado di assorbire sia la crisi post 2008 che l’effetto
Euro e perché – cita la ricerca - i Paesi Terzi crescono più di quelli
dell’area UE, sia a volumi (+32% circa) che a valori (+50% circa). In
aggregato, inoltre, il valore medio del venduto sulle piazze extra-Ue è quasi
doppio di quello UE.
Il focus sulle
azioni di promozione realizzate dall’Istituto Grandi Marchi - l’associazione
che riunisce le 19 cantine simbolo dell’enologia tricolore nel mondo e che dal 2004 al 2014 ha investito
complessivamente circa 60 milioni di euro nella promozione del vino di qualità
(di cui circa 1/3 con il sostegno della promozione UE) – si concentra sulle attività prodotte dal
2009 al 2013, da quando cioè l’Istituto è impegnato nei progetti dell’Ocm Vino
Promozione. I risultati – secondo lo studio – sono in certi casi netti e
clamorosi, con impennate come il +562% registrato in Brasile e una crescita
strutturale dell’export sui mercati globali pari al 41%.
Successo anche
sul fronte della penetrazione nei mercati, dove si è passati a triplicare il
numero di Paesi Terzi coperti, che oggi rappresentano circa il 90% della
domanda extra-UE di vino. Una politica manageriale che secondo quanto rilevato
ha determinato da una parte un incremento dei fatturati in Paesi extra-UE di
grandi prospettive – dal +88% in Russia, al + 133% in Cina e il +562% in
Brasile - dall’altra un consolidamento dei mercati di sbocco, con ottime performance
negli USA (+19%), in Canada (+25%), in Svizzera (+59%) e in Giappone (+79%).
Per il presidente dell’Istituto Grandi Marchi, Piero Antinori: “Da un punto di
vista qualitativo ciò che ci contraddistingue è l’aver messo in cantiere, anche
con i finanziamenti Ocm, dei progetti di penetrazione e presidio dei mercati,
non semplicemente delle operazioni mordi e fuggi. Le nostre imprese – ha
aggiunto - stanno investendo sui mercati più rilevanti e di maggiori
prospettive future, esportando prodotto di qualità, generando valore di marca e
Paese. La ricerca che abbiamo commissionato vuole essere uno strumento utile
per aprire un tavolo di confronto sull’Ocm Vino Promozione – ha concluso
Antinori – tra chi, come noi, ha dimostrato di aver lavorato per il bene comune
e le istituzioni che rappresentano questo settore anche a livello politico
nazionale e in sede UE”.
La ricerca
sottolinea come gli investimenti effettuati nel periodo di riferimento seguano
un modello manageriale di azione, fatto di attività “consumer-oriented” per
circa il 60% delle risorse utilizzate e di “market relation” con iniziative
dirette agli stakeholder media, d’opinione e commerciali, per circa il 40%.
Per Mattiacci:
“L’Ocm è una variabile esogena al sistema delle imprese, che a nostro avviso ha
funzionato egregiamente e riveste un’importanza futura fondamentale. Non si
comprende la ragione di certe critiche recentemente mosse a questo che ci piace
definire uno strumento di politica industriale europea”.
Lo studio vede
l’esperienza italiana nell’Ocm come una misura ancora perfettibile, se
comparata con quella francese e spagnola. Tre le possibili aree d’intervento:
la semplificazione delle procedure gestionali; l’introduzione di meccanismi di selezione
dei player che accedono alla misura in ragione della loro capacità di usare
i fondi su progetti solidi e di prospettiva; la costante verifica dell’impatto
di medio termine della misura, a livello aggregato e di monitoraggio
obbligatorio dei singoli progetti.
La ricerca
individua infine il profilo di un export italiano di valore che combina alcuni
caratteri, ben rappresentati dai player dell’Istituto Grandi Marchi: è
imbottigliato, frutto di presenza commerciale stabile e di una vendita
attiva di offerte glamour. Questo modello dovrà continuare a
crescere per sostituire gradualmente un altro modello presente nell’export
italiano, fatto di sfuso e basic, frutto di attività di vendita one shot e
spesso passiva.
Nel prossimo
aprile, l’Istituto Grandi Marchi sarà promotore di un convegno di approfondimento
su questa ricerca, destinato a tutto il settore del vino italiano.
Istituto del
Vino Grandi Marchi: Alois
Lageder, Argiolas, Biondi Santi Greppo, Ca’ del Bosco, Michele Chiarlo, Carpenè
Malvolti, Donnafugata, Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Gaja, Jermann,
Lungarotti, Masi, Marchesi Antinori, Mastroberardino, Pio Cesare, Rivera, Tasca
D’Almerita, Tenuta San Guido, Umani Ronchi.
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