L’industria vinicola europea affronta una fase di profonda discontinuità: il piano di sostegno varato dalla Commissione europea non basta a compensare il calo strutturale dei consumi, lo squilibrio persistente tra domanda e offerta e le crescenti difficoltà sui mercati internazionali. Questi fattori cruciali aprono una stagione di scelte decisive per il futuro del settore.
L’industria vinicola europea si trova oggi davanti a un passaggio che segna la fine di un ciclo storico. Il recente piano di sostegno approvato dalla Commissione europea rappresenta un segnale politico rilevante, ma secondo l’analisi Coface non è sufficiente a risolvere le criticità profonde che attraversano il comparto. Il nodo centrale resta uno squilibrio strutturale tra domanda e offerta, aggravato da un calo dei consumi senza precedenti e da crescenti difficoltà sui mercati internazionali.
I numeri delineano un quadro chiaro. Dal 2000 a oggi il consumo di vino in Europa si è ridotto del 35 per cento. Francia, Spagna e Italia continuano a detenere un ruolo dominante, concentrando circa il 60 per cento della produzione mondiale, ma questa leadership si confronta con una domanda sempre più debole. Le stime indicano che nel 2025 il consumo globale potrebbe scendere a 214 milioni di ettolitri, il livello più basso mai registrato.
Il piano europeo si fonda in larga misura su misure di riduzione dell’offerta, in particolare attraverso l’estirpazione permanente dei vigneti. In Francia sono stati stanziati 130 milioni di euro per finanziare l’estirpazione a un contributo di 4.000 euro per ettaro, un approccio adottato anche in Italia e in Spagna. L’obiettivo è contenere la produzione in un contesto di domanda in contrazione. Tuttavia, secondo Coface, si tratta di una risposta parziale che interviene sugli effetti più che sulle cause della crisi.
Negli ultimi dieci anni produzione e consumo globali di vino sono diminuiti di circa il 10 per cento, ma in Europa il calo è stato più accentuato. I consumi si sono ridotti del 25 per cento e la Francia ha perso il primato di primo produttore mondiale, superata dall’Italia. La tendenza non mostra segnali di inversione nel breve periodo, alimentando un eccesso strutturale di offerta che pesa sui prezzi e sulla redditività delle aziende.
Alle difficoltà interne si aggiunge un contesto internazionale sempre più complesso. In Cina il consumo di vino è crollato di oltre il 60 per cento rispetto ai livelli precedenti alla pandemia, mentre negli Stati Uniti nuove barriere doganali e un clima commerciale meno favorevole stanno limitando l’accesso dei vini europei a uno dei mercati storicamente più importanti. Questi fattori contribuiscono a indebolire ulteriormente un settore già sotto pressione.
Secondo Coface, l’attenzione quasi esclusiva sull’estirpazione rischia di mascherare problemi strutturali più profondi. Il piano francese, ad esempio, prevede il ritiro dal mercato di circa 1,5 milioni di ettolitri, pari a solo il 10 per cento dell’eccedenza di offerta stimata per il 2025. Una misura insufficiente, che non affronta il calo della domanda né il cambiamento delle abitudini di consumo, sempre più orientate verso una riduzione delle quantità e una selezione più attenta dei prodotti.
La crisi colpisce in modo particolare i vini di fascia base, soprattutto in alcune aree del sud della Francia, dove la concorrenza dei Paesi extraeuropei e la contrazione della domanda rendono fragile la sostenibilità economica delle aziende. In questo contesto emerge la necessità di un riposizionamento verso segmenti di maggiore valore aggiunto e di una differenziazione più marcata tra i produttori.
Come osservato da Pietro Vargiu, Country Manager Coface Italia, la fase critica che sta attraversando oggi il settore vinicolo europeo, riflette uno squilibrio strutturale che va oltre la semplice riduzione dell’offerta. Il calo dei consumi, il cambiamento delle abitudini dei consumatori e le crescenti difficoltà sui mercati internazionali impongono una revisione profonda delle strategie commerciali e di posizionamento. Per i produttori, in particolare quelli più esposti sulle fasce di prezzo più basse, diventa essenziale rafforzare la solidità finanziaria, diversificare i mercati di sbocco e gestire con attenzione il rischio di credito.
Un’analisi condivisa anche da Simon Lacoume, economista di settore, secondo cui l’industria vinicola europea sta attraversando una crisi senza precedenti, caratterizzata da uno squilibrio persistente tra domanda e offerta, difficoltà nelle esportazioni e una pressione crescente sui vini di fascia base. Le misure attuali sono necessarie, ma non sufficienti a garantire una trasformazione sostenibile del settore.
Il vino europeo resta un pilastro culturale ed economico, ma il contesto in cui opera è profondamente cambiato. Senza un ripensamento strategico che vada oltre la sola riduzione della produzione, il rischio è che le misure emergenziali si limitino a rinviare un confronto inevitabile con un nuovo equilibrio di mercato.
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