The Mysterie of Rhetorique Unvail’d: la retorica nel Seicento inglese. La viola da gamba come pensiero musicale che muove gli affetti
Nel Seicento la retorica si afferma come una forma di conoscenza che travalica l’ambito del linguaggio verbale e investe direttamente il dominio del suono. Le fantasie per viole, spesso concepite come "discorsi retorici e sublimi", affidano allo strumento il compito di articolare un pensiero musicale capace di agire sugli affetti, secondo principi affini a quelli dell’oratoria. Comprendere la retorica significa dunque comprendere come parola e musica diventino veicoli di senso e di persuasione. Una riflessione su The Mysterie of Rhetorique Unvail’d, di John Smith, guida essenziale alla comprensione del linguaggio figurato.
La musica, e in particolare la produzione per consort di viole, partecipa pienamente a questa visione: le fantasie assumono la forma di costruzioni sonore organizzate secondo una logica argomentativa, nelle quali la viola, grazie alla sua duttilità timbrica e alla vocazione al canto interiore, diventa veicolo privilegiato di una retorica affettiva in grado di guidare l’ascoltatore lungo un percorso di senso.
La struttura del trattato riflette una concezione della retorica ancora pienamente ancorata alla tradizione classica, ma adattata a un pubblico più ampio. Smith distingue due ambiti fondamentali dell’arte oratoria: l’elocuzione, intesa come il modo di guarnire il discorso attraverso le tecniche di composizione, e la pronuncia, che riguarda invece la modalità dell’esposizione e quindi l’efficacia dell’atto comunicativo. Non si tratta di una distinzione puramente teorica, poiché per Smith il valore persuasivo del discorso dipende dall’equilibrio tra costruzione formale e resa espressiva, tra ciò che viene detto e il modo in cui viene reso percepibile.
Particolarmente significativa è l’ampiezza del repertorio di figure e tropi illustrati nell’opera. Smith ne descrive oltre centotrenta, corredandole di definizioni ed esempi tratti tanto dagli autori classici, come Cicerone e Ovidio, quanto dalla Bibbia. Queste figure non sono presentate come meri ornamenti stilistici, ma come strumenti attivi, capaci di suscitare emozioni attraverso la ripetizione, il contrasto, l’amplificazione o l’effetto di sorpresa. La retorica, in questa prospettiva, non è un rivestimento esteriore del contenuto, bensì un mezzo per orientare la ricezione e guidare l’interpretazione, rendendo il discorso efficace sul piano affettivo oltre che intellettuale.
Uno degli obiettivi centrali del trattato è inoltre quello di prevenire gli errori di interpretazione, soprattutto in ambito religioso. Smith insiste sulla necessità di riconoscere il carattere metaforico o allegorico di molte espressioni bibliche, mettendo in guardia contro una lettura rigidamente letterale che poteva condurre, secondo la sensibilità dell’epoca, a fraintendimenti gravi e potenzialmente pericolosi. La conoscenza delle figure retoriche diventa così una forma di tutela ermeneutica, un mezzo per distinguere il senso profondo dalla superficie del testo.
Sebbene The Mysterie of Rhetorique Unvail’d sia dedicato al linguaggio verbale, i suoi presupposti teorici trovano un’evidente applicazione anche nella musica coeva. Nella cultura inglese del Seicento, e in particolare nella pratica del consort di viole, la musica strumentale veniva spesso interpretata secondo categorie retoriche. Autori come Thomas Mace descrivono esplicitamente le fantasie per viole come discorsi sonori, nei quali la successione degli eventi musicali risponde a una logica argomentativa e affettiva. La familiarità con le figure retoriche consente al musicista di evitare un’esecuzione neutra o indifferenziata e di attribuire il giusto peso a ripetizioni, accentuazioni ed episodi di particolare rilievo espressivo.
In questa prospettiva, la retorica diventa lo strumento che permette di rendere la musica intelligibile non solo sul piano formale, ma anche su quello emotivo. Così come il lettore della Bibbia, guidato dalle indicazioni di Smith, non procede alla cieca tra immagini e metafore, allo stesso modo l’esecutore di una fantasia per viole può orientarsi all’interno del discorso musicale, trasformando la successione delle note in un atto persuasivo capace di parlare all’animo dell’ascoltatore.
John Smith descrive la retorica come una chiave preziosa: metafora questa che si applica con sorprendente efficacia anche alla musica. Senza questa chiave, un testo o una composizione restano come uno scrigno chiuso, ricco ma inaccessibile. Inserendola e girandola, lo scrigno si apre, rivelando bellezze precedentemente nascoste. È in questo gesto di apertura che la retorica rivela la sua funzione più profonda, rendendo il messaggio, sia verbale sia sonoro, capace di incidere sulle facoltà più intime della mente e della sensibilità umana.
Questo articolo è stato pubblicato anche su: www.musicantiquajournal.eu/
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