Per lungo tempo confinato nel ruolo di teorico, Franchino Gaffurio emerge oggi come figura chiave della trasformazione del mottetto nella Milano rinascimentale. La rilettura dei suoi mottetti e dei libroni per il Duomo restituisce il profilo di un compositore attento alla prassi esecutiva e alla percezione sonora, capace di superare i codici dello Stile Milanese e di anticipare, attraverso un uso strutturale dell’imitazione e dello stretto nella fuga, alcune delle conquiste del Rinascimento maturo.
Gaffurio è stato a lungo vittima di un pregiudizio storiografico. Pur essendo tradizionalmente noto come teorico di primo piano, autore di opere come il De musica mensurabili, la sua produzione compositiva è rimasta per secoli ai margini del discorso critico. Il suo nome è stato a lungo associato quasi esclusivamente al contesto milanese e ai libroni del Duomo, materiali poco circolanti rispetto ai repertori franco fiamminghi che hanno alimentato il canone accademico. Studi più datati ne criticavano il contrappunto e ridimensionavano il ruolo dell’imitazione. Le ricerche recenti delineano invece un quadro opposto, mettendo in evidenza una scrittura imitativa consapevole e articolata, fondata su tecniche avanzate come lo stretto nella fuga.
Proprio l’uso dello stretto assume un valore centrale nella ridefinizione del profilo compositivo di Gaffurio. Inteso come ingresso ravvicinato delle voci sul medesimo soggetto prima che l’esposizione precedente sia conclusa, lo stretto non appartiene alla prassi ordinaria del tardo Quattrocento, dove l’imitazione è generalmente distesa e episodica. Le fonti teoriche coeve mostrano che tale procedimento non era ancora concepito come principio strutturale, ma come sviluppo avanzato della fuga. Nei mottetti di Gaffurio, invece, l’imitazione ravvicinata diventa elemento generativo del discorso musicale, producendo continuità interna, coesione formale e unità motivica. In questo senso, la sua scrittura anticipa modalità costruttive che diventeranno centrali nel Rinascimento maturo.
L’analisi dei mottetti rivela una netta distanza dallo stereotipato “Stile Milanese”, tradizionalmente caratterizzato da alternanze regolari di duetti e terzetti, fraseologia rigidamente subordinata al testo e frequenti conclusioni in sesquialtera. Nei mottetti di Gaffurio questi elementi non sono applicati in modo sistematico: alcune composizioni presentano sezioni compatte, altre mostrano una maggiore autonomia della musica rispetto al testo, con l’introduzione di nuove linee melodiche prima della chiusura delle sezioni precedenti.
Anche l’uso della sesquialtera, ovvero l’alternanza tra valori ritmici di due e tre (proporzione 3:2), spesso impiegata per concludere sezioni o creare contrasto metrico, risulta significativamente ridotto nei mottetti indipendenti e nei mottetti missales. Ciò conferma un approccio personale e autonomo, in cui il ritmo è funzionale all’efficacia sonora e alla coesione motivica, piuttosto che alla semplice aderenza alle consuetudini stilistiche locali.
Gaffurio giunse a Milano nel 1484, in un contesto segnato dalla crisi della cappella ducale seguita all’assassinio di Galeazzo Maria Sforza. Il confronto con il celebre Ave Maria Virgo Serena di Josquin des Prez, che la storiografia riconduce al periodo milanese del compositore fiammingo, evidenzia come l’imitazione pervasiva e l’alternanza delle tessiture non coincidano ancora con una concezione strutturalmente ciclica del discorso musicale. Studi recenti confermano che lo stretto nella fuga non appartiene all’ambiente milanese legato a questo repertorio, rendendo ancora più significativo il suo impiego nei mottetti gaffuriani.
Nei lavori più tardi, la dimensione imitativa in Gaffurio non si limita alla ripresa del materiale tematico, ma costruisce veri e propri cicli interni, come in Imperatrice gloriositi quondam, dove la sovrapposizione dei soggetti genera un tessuto sonoro compatto e orientato all’ascolto. In molte composizioni il testo diventa veicolo della musica, consentendo al suono di emergere come elemento primario. Lontano dalle complessità tardo gotiche del Quattrocento, Gaffurio concepisce la polifonia in funzione dell’esperienza uditiva e della percezione sensoriale.
Pur aderendo solo parzialmente al contesto milanese, Gaffurio seppe assimilare elementi dello stile dei contemporanei, compresi quelli riconducibili ai soggiorni milanesi di Josquin, reinterpretandoli secondo una sensibilità autonoma. L’edizione critica dei libroni conferma la sua meticolosità filologica: il rispetto degli antigrafi, anche quando oggetto di osservazioni critiche, consente oggi attribuzioni più precise e restituisce l’immagine di un compositore consapevole della responsabilità del testo musicale. Ne emerge una figura complessa, capace di coniugare prassi liturgica, raffinatezza contrappuntistica e apertura verso una nuova idea di forma e ascolto.
Franchino Gaffurio si rivela così protagonista della trasformazione del mottetto milanese. Superando le rigidità del presunto Stile Milanese e le valutazioni riduttive della storiografia, costruisce un ponte tra la solidità del Quattrocento e la libertà formale del Rinascimento maturo, affermandosi come autore di rilievo centrale tanto per la prassi quanto per l’innovazione.
Questo articolo è stato pubblicato anche su: www.musicantiquajournal.eu
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