Un antico volume conservato presso la Biblioteca Angelica offre uno sguardo diretto sulla gastronomia del XVI secolo, restituendo ricette, pratiche e modelli organizzativi dei banchetti rinascimentali. Questo patrimonio documentario ruota attorno alla figura di Bartolomeo Scappi, celebre cuoco dei papi e autore dell’Opera dell’arte del cucinare, pubblicata per la prima volta a Roma nel 1570. Il trattato, oggi considerato il più ampio del suo tempo, rappresenta una fonte imprescindibile per comprendere la cucina come sistema culturale e sociale della prima età moderna.
In un periodo dell’anno come quello natalizio, il cibo diventa rito, memoria collettiva e racconto del tempo. Un antico volume conservato alla Biblioteca Angelica di Roma apre una porta sulla gastronomia del Cinquecento, restituendo non solo ricette, ma un intero sistema culturale. Al centro di questo viaggio si colloca Bartolomeo Scappi, tra i più celebri cuochi del Rinascimento italiano e autore del più ampio e articolato trattato culinario dell’epoca.
Nel Cinquecento il banchetto non era soltanto un momento conviviale, ma uno spazio di rappresentazione politica e sociale, regolato da norme precise e da una complessa organizzazione del lavoro. La cucina, lungi dall’essere un ambito secondario, giocava un ruolo fondamentale nella costruzione del prestigio e dell’immagine della corte. In questo contesto, l’Opera di Scappi emerge come strumento di codificazione dei saperi, delle tecniche e dei rituali, offrendo una testimonianza diretta del valore simbolico del cibo nella società rinascimentale.
Attivo come cuoco personale di diversi pontefici, tra cui Pio IV e Pio V, Scappi non fu una semplice figura di cucina. Cavaliere del Giglio e Comes Palatinus Lateranensis, raggiunse un prestigio che rifletteva il ruolo centrale della tavola nella vita della corte pontificia. La sua Opera dell’arte del cucinare, pubblicata per la prima volta a Roma nel 1570, rappresenta una sintesi senza precedenti del sapere gastronomico rinascimentale.
Il trattato raccoglie oltre mille ricette e documenta con straordinaria precisione l’organizzazione delle cucine, l’allestimento dei banchetti e l’uso degli utensili. Dalla selvaggina alle preparazioni di pesce, dalle paste ai dolci, fino a piatti raffinati come le crostate di caviale, l’Opera offre un quadro completo della pratica culinaria del tempo, sostenuta anche dalla benedizione papale di Pio V. Celebre il suo elogio del Parmigiano, definito “migliore di tutti i cacii”, a conferma di una sensibilità attenta alla qualità delle materie prime.
Una delle numerose ristampe dell’Opera, pubblicata a Venezia nel 1605 e oggi conservata alla Biblioteca Angelica, consente di cogliere il senso profondo della convivialità rinascimentale. Il menu segue una scansione rigorosa tra servizi di credenza, con piatti freddi e preparazioni anticipate, e servizi di cucina, riservati alle portate calde realizzate al momento. L’apertura e la conclusione del banchetto affidate alla credenza rispondono a precise regole di etichetta, in cui la tavola diventa espressione di ordine e rappresentazione sociale.
L’importanza di Scappi risiede anche nella sua attenzione alle tecniche. Nel trattato compaiono per la prima volta pratiche come l’infarinatura e l’impanatura, insieme all’uso consapevole di ingredienti provenienti dalle Americhe, tra cui il tacchino e nuove varietà di legumi. Non manca una riflessione sulla dieta di ammalati e convalescenti, segno di una concezione della cucina che coniuga gusto, salute e misura.
L’Opera non è dunque un semplice ricettario, ma una vera enciclopedia della gastronomia di corte. Le ventisette tavole incise illustrano utensili, ambienti e organizzazione del lavoro, descrivendo una cucina ormai intesa come disciplina autonoma. Vengono definiti ruoli specifici, come quello dei trincianti, incaricati di tagliare le vivande direttamente in sala, quando l’uso diffuso di forchette e posate individuali era ancora lontano. Il gesto del taglio diventava parte dello spettacolo e della gerarchia del banchetto.
Accanto a loro emerge la figura del bottigliere, responsabile della conservazione, selezione e servizio dei vini, una competenza che richiedeva conoscenze precise su qualità, provenienza e abbinamenti. Un sommelier ante litteram, chiamato a garantire l’armonia tra vino, pietanze e cerimoniale. A coordinare l’intero apparato era lo scalco, maestro di cerimonia del convito, incaricato della disposizione dei piatti, del controllo dei tempi e della supervisione del servizio. La riuscita del banchetto dipendeva tanto dalla sua regia quanto dall’abilità dei cuochi.
Le ricette di Scappi testimoniano inoltre un livello tecnico sorprendentemente avanzato: marinature, soffritti, preparazioni al forno, paste fresche e dolci complessi delineano una cucina già orientata verso soluzioni che restano centrali nella tradizione italiana. In questo senso, l’Opera restituisce un patrimonio di pratiche e saperi che continuano a esercitare un’influenza duratura.
Alla luce di questa eredità, il recente riconoscimento UNESCO della cucina italiana come patrimonio culturale immateriale dell’umanità trova un solido fondamento storico. Il trattato di Scappi mostra con chiarezza come le tradizioni gastronomiche nazionali affondino le proprie radici in una cultura articolata, fatta di tecnica, ritualità e vita sociale. Un patrimonio che, soprattutto nel tempo delle feste, continua a parlare al presente attraverso la memoria della tavola.

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