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Ritrattistica rinascimentale, strategia dell’immagine e metodo storiografico: esiti e limiti delle attribuzioni

Nel quadro della ritrattistica rinascimentale la ricerca dell’individualità si confronta costantemente con l’imprevedibilità delle fonti e con l’attrazione che figure attribuite a compositori o intellettuali esercitano sulla memoria culturale. La produzione di immagini figurative di musicisti e di altre personalità nel Quattrocento e nel Cinquecento non sempre garantisce un riscontro documentario certo, ma suscita interrogativi metodologici che risuonano con le riflessioni storiografiche di Marc Bloch: non è tanto la veridicità oggettiva di un ritratto o di una fonte a costituire il cuore della ricerca, quanto la realtà storica e sociale che quell’immagine o quel documento ha prodotto nel proprio tempo.


L’antologia The Image of the Individual: Portraits in the Renaissance, curata da Nicholas Mann e Luke Syson, resta un riferimento essenziale per comprendere come nella prima età moderna il ritratto abbia assunto un ruolo centrale nella definizione culturale dell’individuo. Come osserva Syson nell’introduzione, la storiografia ha a lungo collegato il ritratto rinascimentale a un presunto culto della personalità, fondato sull’esigenza di registrare i tratti fisionomici con un’accuratezza ignota al Medioevo. I contributi raccolti nel volume mostrano invece una realtà più complessa, in cui l’individualità non coincide necessariamente con la somiglianza naturalistica. Il ritratto può essere fedele, idealizzato, tipizzato o volutamente accentuato, rispondendo a esigenze simboliche, politiche e sociali che superano la semplice restituzione del volto.

Un esempio paradigmatico di questa ambiguità è il Portrait of a Musician attribuito a Leonardo da Vinci, la cui identificazione è rimasta incerta nonostante oltre un secolo di dibattiti che hanno chiamato in causa figure come Franchino Gaffurio o Josquin des Prez. L’immagine, più che chiarire, ha prodotto una stratificazione di ipotesi, dimostrando come il ritratto rinascimentale possa generare narrazioni divergenti senza mai essere definitivamente ricondotto a una certezza documentaria. Analoghi meccanismi sono all’opera nei cosiddetti portrait books del Cinquecento, dove personaggi antichi o leggendari venivano raffigurati in assenza di modelli attendibili. Opere come il Promptuarium Iconum Insigniorum di Guillaume Rouillé attestano una pratica diffusa di costruzione visiva della memoria, nella quale l’immagine vale come dispositivo culturale prima ancora che come testimonianza storica.

In questo quadro si colloca il saggio di Arnaldo Morelli "Di un ritratto poco conosciuto di Giovanni Maria Nanino", apparso su Polifonie. Storia e teoria della coralità, che offre una riflessione puntuale sui limiti della documentazione iconografica musicale. Il dipinto analizzato da Morelli, un olio su tela di autore ignoto databile al tardo Cinquecento e oggi conservato presso l’amministrazione del Museo del Tesoro di San Pietro, è assente sia dal New Grove Dictionary of Music and Musicians sia dal Musik in Geschichte und Gegenwart, nonostante l’attenzione di questi repertori al dato figurativo. Raffigurante un musicista a mezzo busto con un libro di musica, l’opera presenta evidenti interventi successivi, tra cui l’aggiunta del nome di Nanino nel secondo dopoguerra e la traccia di un’iscrizione più antica, elementi che impongono una cautela metodologica estesa all’intero problema delle identificazioni iconografiche.

In questa prospettiva, stabilire se il personaggio effigiato sia realmente Nanino perde centralità rispetto alla comprensione del valore storico del documento e delle modalità con cui esso è stato prodotto, accolto e trasmesso. La lezione di Marc Bloch offre qui una chiave interpretativa decisiva. Non è la verità o la falsità intrinseca della fonte a costituire il problema principale, ma gli effetti reali che essa ha generato nel tempo. Un’immagine dall’identità incerta, se creduta e utilizzata come autentica, diventa una testimonianza significativa delle credenze, delle gerarchie simboliche e delle strategie di memoria di una comunità.

Il presunto ritratto di Nanino si inserisce così in una casistica più ampia che caratterizza la ritrattistica musicale europea tra Cinque e Seicento, ma che a Roma assume tratti specifici legati al ruolo delle istituzioni ecclesiastiche e della cappella pontificia. In questo ambiente, il ritratto del compositore non risponde soltanto a finalità celebrative o private, ma partecipa a un sistema stabile di legittimazione, memoria e continuità culturale. 

Per contrasto, il caso di Giovanni Pierluigi da Palestrina appare esemplare. La sua immagine godette di una fortuna precoce e duratura, sostenuta da una precisa volontà istituzionale della cappella pontificia e da un progetto consapevole di autorappresentazione, culminato nelle incisioni delle Osservazioni di Andrea Adami, dove il ritratto, dichiaratamente tratto da un originale d’archivio, svolge una funzione normativa e memoriale. Diversa è la sorte di musicisti come Ruggero Giovannelli, Felice Anerio e Gregorio Allegri, la cui presenza nelle gallerie di uomini illustri risponde più alla disponibilità di modelli iconografici ritenuti credibili che a un riconoscimento proporzionato alla loro effettiva influenza storica.

Ancora più rivelatori sono i casi di attribuzione ipotetica o errata, come il presunto ritratto di Francesco da Milano nella collezione Borromeo o il Tymotheus di Jan van Eyck a lungo identificato con Gilles Binchois, fino al ritratto di musicista di Annibale Carracci per decenni associato a Claudio Merulo sulla base di un semplice nesso collezionistico. In tutti questi esempi, il peso del nome e dell’autorità simbolica ha orientato lo sguardo più della documentazione, producendo immagini credute e trasmesse come autentiche.

La ritrattistica dei compositori non restituisce dunque un repertorio neutro di fisionomie, ma un sistema articolato di valori e strategie di legittimazione. Anche l’immagine di Nanino, come quelle di Gaffurio, Josquin, Palestrina, o Anerio, va letta come parte di una costruzione storica della memoria musicale nella Roma post rinascimentale, dove l’efficacia simbolica dell’immagine prevale sulla sua esattezza documentaria. Ritrarre l’identità significa partecipare a processi di comunicazione sociale che incidono sulla memoria collettiva, e proprio nelle incertezze, nelle attribuzioni contestate e nelle narrazioni sovrapposte il ritratto rinascimentale rivela oggi la sua più profonda rilevanza storica.

Questo articolo è stato pubblicato anche su: www.musicantiquajournal.eu/

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