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Consumi, il vino italiano tiene, ma cambia pelle: bollicine in ascesa, rosso in flessione. Le sfide e le strategie nel nuovo Annual Report 2025 di Valoritalia

Nel pieno di un contesto geopolitico instabile e di un mercato internazionale sempre più incerto, il vino italiano dimostra tenuta e capacità di adattamento. È quanto emerge dal VII Annual Report di Valoritalia, principale ente certificatore del settore vitivinicolo nazionale, presentato oggi con un bilancio approfondito sull’andamento del comparto nel 2024 e uno sguardo sui primi mesi del 2025.


Nel complesso, in grandi linee, l’Annual Report 2025 di Valoritalia restituisce l’immagine di un settore vitale ma in transizione, sospeso tra stabilità e trasformazione. La forza del vino italiano resta nella sua capacità di raccontare il territorio, ma oggi questo racconto deve confrontarsi con nuove sensibilità, nuovi linguaggi e nuovi equilibri. Sostenibilità, brand, leggerezza, trasparenza sono le parole chiave che definiscono le aspettative di un mercato in continua evoluzione. 

In un mondo che cambia, il futuro del vino italiano dipenderà sempre più dalla capacità di coniugare tradizione e innovazione, promuovendo la propria identità in modo credibile, sostenibile e coerente con le dinamiche globali, senza però smarrire ciò che lo rende unico.

Con 37 sedi operative sul territorio e 219 denominazioni d’origine certificate, Valoritalia copre il 56% della produzione nazionale di vini a denominazione, per un valore complessivo superiore ai 9 miliardi di euro. Una forza quantitativa e qualitativa che però convive con sfide strutturali e come accennavo, nuove dinamiche di consumo.

"Non brillante ma comunque positivo": così Giuseppe Liberatore, direttore generale di Valoritalia, ha definito il 2024. Le 2,019 miliardi di bottiglie immesse sul mercato rappresentano un lieve calo rispetto al 2023 (-0,46%), ma segnano una crescita dell’1,4% sulla media dell’ultimo quinquennio. Un dato che conferma la resilienza del sistema vitivinicolo italiano, capace di conservare gli eccezionali volumi raggiunti durante il boom pandemico.

Dietro questa tenuta complessiva, tuttavia, si delineano nuove linee di frattura: i vini rossi arretrano del 6,8%, mentre gli spumanti crescono del 5%, segno di un orientamento dei consumi verso prodotti più leggeri, immediati e conviviali. Le DOC, che rappresentano il 58% del valore complessivo del vino certificato, crescono del 2,7%, mentre le DOCG e le IGT subiscono un calo rispettivamente del 2,3% e del 6,3%. In particolare, le IGT mostrano un’inversione di tendenza dopo l’exploit del 2023 (+16,5%).

“Si sta delineando un nuovo equilibrio tra offerta e domanda - ha osservato Giuseppina Amodio, direttrice operativa di Valoritalia - in cui il valore storico della denominazione non basta più. Conta la capacità di intercettare i desideri di un pubblico sempre più fluido, internazionale e attento alla versatilità dei prodotti”.

L’analisi evidenzia anche una marcata concentrazione produttiva: le prime 20 denominazioni rappresentano da sole l’86% dell’imbottigliato certificato da Valoritalia, mentre le ultime 139 faticano a superare l’1,4%. Uno squilibrio che si riflette anche a livello aziendale: soltanto il 12% delle imprese supera i 50 milioni di euro di fatturato, mentre la maggioranza resta sotto il milione.

Un dato, questo, che per Francesco Liantonio, presidente di Valoritalia, solleva interrogativi sulla tenuta del sistema consortile: “L’elevato numero di denominazioni è una forza in termini di identità territoriale, ma rischia di diventare una debolezza strutturale se non supportato da un adeguato assetto organizzativo. Le realtà più piccole dispongono spesso di risorse limitate e incontrano difficoltà nello svolgimento delle funzioni fondamentali di tutela, valorizzazione e promozione”.

Di qui l’auspicio a una riforma volontaria del sistema consortile, capace di rafforzare la rappresentanza e superare le frammentazioni decisionali. Un processo tanto più necessario in un momento segnato da incertezza geopolitica, calo dei consumi e minacce commerciali come quella dei dazi USA.

L’anno in corso si apre con una flessione del 3,3% negli imbottigliamenti, un dato che molti operatori attribuiscono al clima d’incertezza generato dalla possibilità - finora solo annunciata - di nuovi dazi statunitensi. Gli USA restano infatti un mercato di riferimento per il vino italiano e, proprio su questo fronte, si concentra l’indagine di Nomisma - Wine Monitor, partner dell’Osservatorio Valoritalia.

Lo studio, presentato da Denis Pantini, ha coinvolto 147 imprese italiane e oltre 2000 consumatori tra Italia e Canada. Ne emerge un quadro chiaro: le certificazioni, soprattutto quelle legate alla sostenibilità, sono un fattore determinante nella scelta del vino per l’81% dei consumatori italiani e per il 74% di quelli canadesi.

Dal lato delle imprese, il 42% ha già attivato iniziative in campo ambientale e il 26% è certificato con uno standard di sostenibilità. E mentre quasi la metà delle aziende esportatrici verso gli Stati Uniti ha già avviato strategie di diversificazione puntando su mercati extra-UE (in primis Canada, Regno Unito e Giappone), il Canada si conferma una piazza strategica, con 442 milioni di euro di importazioni e un riconoscimento diffuso del vino italiano come primo tra gli stranieri (secondo il 51% degli intervistati).

Interessante la diversità nei criteri di scelta: in Italia prevale l’attenzione al territorio e alla denominazione d’origine, mentre in Canada è il brand aziendale a guidare l’acquisto.

Entrambi i mercati segnalano un crescente interesse verso spumanti e vini a bassa gradazione alcolica (oltre il 65% degli intervistati), mentre in Canada si rafforza l’attenzione verso rosé e mixology (74% contro il 56% in Italia). I consumatori canadesi si dimostrano inoltre più attenti alla sostenibilità del packaging, privilegiando bottiglie in vetro leggero (78% contro 65%). Nel nostro Paese, invece, i vini dealcolati, e c'era da aspettarselo, restano ancora ai margini del mercato.

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