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SUMMERMELA: al via il festival dedicato alla cultura classica e contemporanea indiana, tra musica, danza, cinema e spiritualità

Dal 21 al 29 giugno torna SUMMERMELA, il festival dedicato alla cultura classica e contemporanea indiana, ideato dalla Fondazione Alain Daniélou (FAD) e prodotto da Kama Productions. Giunto alla tredicesima edizione, il festival si sviluppa tra Roma e Cremona articolandosi in concerti, performance di danza, proiezioni e workshop, con l’intento di restituire la complessità di un pensiero musicale che da secoli coniuga spiritualità, scienza del suono e arte dell’improvvisazione. 


SummerMela 2025 è il principale festival dedicato alla cultura indiana, intrecciando musica, danza, cinema e spiritualità in un programma che si snoda tra Roma e Cremona dal 21 al 29 giugno. Il cuore musicale della rassegna è affidato alla tradizione classica dell'India, con particolare rilievo al canto dhrupad, alla struttura modale dei rāga e alle percussioni del tabla e del mridangam, evidenziando la profonda differenza rispetto alla concezione tonale occidentale. La kermesse ospita protagonisti di fama internazionale, come Ashish Dha, Varijashree Venugopal, Bala Devi Chandrashekar e le formazioni Musikfabrik e Icarus Ensemble, in una riflessione contemporanea sull'eredità millenaria dell’India, tra rigore formale e tensione sperimentale.

Si apre il 21 giugno a Castel Sant’Angelo con una sessione pubblica di yoga e, a seguire, un concerto dedicato al dhrupad, la forma più antica di musica vocale classica nord‑indiana, risalente al XV secolo. Il dhrupad si basa sulla disciplina del Naad Yoga, esplorando lo spettro armonico e microtonale con alap estesi: si tratta della sezione introduttiva non ritmica e non metrata di una composizione di musica classica indiana, presente tanto nello stile Hindustani (India settentrionale) quanto, con caratteristiche proprie, nel Karnatak (India meridionale). 

Il dhrupad costituisce una fase fondamentale nell’esecuzione di un rāga, ovvero una struttura melodica archetipica che non corrisponde a una scala nel senso occidentale, ma a un insieme di note, ornamenti e modalità espressive ben definite, legate a momenti del giorno, stagioni, emozioni o divinità. Interessanti nella performance sono le modulazioni vocali insieme al drone continuo. Il drone indiano, a differenza del basso continuo occidentale, è immutabile: non cambia mai tonalità, non segue progressioni, non introduce accordi, non modula; rimane costantemente intonato sulla tonica (sa) e su una o due note stabili (solitamente pa – la quinta – o ma – la quarta). 

Il drone continuo funziona più come un orizzonte sonoro o una campitura acustica su cui la melodia del rāga si muove in modo esclusivamente modale e microtonale. Non suggerisce armonie, ma definisce uno spazio tonale e meditativo in cui la linea melodica esplora le sfumature del rāga. Bisogna osservare che a differenza della musica occidentale, basata su scala temperata, in India si usa il sistema dei sruti: intervalli microtonali, 22 sotto-divisioni nella scala di riferimento, tali da permettere sfumature che la temperazione equabile ovviamente annulla.

Durante l’alap, il musicista solista (vocalista o strumentista) esplora lentamente e liberamente le possibilità del rāga, articolandone i svarā (le note) secondo precise convenzioni, ma con una libertà espressiva che si avvicina all’improvvisazione. L’andamento è meditativo, privo di accompagnamento ritmico (non c’è percussione), e si sviluppa in una progressione graduale che va dalle note più gravi alle più acute, introducendo via via le frasi melodiche caratteristiche (pakad), i microintervalli (shruti), gli abbellimenti (gamak, meend, andolan) e il carattere emotivo (rasa) del rāga.

Nello stile dhrupad, protagonista a SummerMela 2025, l’alap assume una forma altamente codificata e spirituale. È spesso suddiviso in tre sezioni: Alap (lento e meditativo), Jor (ritmicamente pulsato ma ancora senza percussione) e Jhala (più veloce e brillante), prima che cominci la composizione vera e propria accompagnata dal pakhawaj (timpano a barilotto) in un ciclo ritmico (tala) prestabilito.

A differenza dell’ouverture nella musica occidentale, che anticipa temi e tonalità dell’opera, l’alap non ha funzione narrativa, ma è un atto sonoro di evocazione del rāga come entità vivente. Come dicevo, è un momento di profonda connessione spirituale e di ascolto interiore, in cui il tempo sembra sospeso. Come scriveva Alain Daniélou, il rāga "non si suona, si rivela". Protagonista della performance sarà Ashish Dha, astro emergente della scuola Dagar, accompagnato dal pakhawaj di Parminder Singh. 

Il 24 giugno alla Casa del Cinema, la serata intitolata Cycles of Time accosterà le improvvisazioni di Neeraj Mishra (sitar), Nicolò Melocchi (bansuri) e Sanjay Kansa Banik (tabla) alla proiezione di Kalyug di Shyam Benegal, regista recentemente scomparso. Il film, reinterpretazione in chiave moderna del Mahābhārata, introduce un’altra costante del festival: il dialogo tra mitologia e attualità, tra rito e narrazione politica.

Ma è con Mahābhārata, mantras, fights and threnody che il festival toccherà uno dei suoi apici sperimentali. In scena a Cremona il 27 giugno, l’opera di Riccardo Nova fonde ensemble strumentali, elettronica e voce in un articolato impianto drammaturgico ispirato al poema sanscrito. Eseguita da Musikfabrik, Icarus Ensemble e da alcuni dei più autorevoli interpreti della musica carnatica (tra cui Varijashree Venugopal e BC Manjunath), l’opera si sviluppa come un viaggio sonoro tra struttura e trance, memoria liturgica e gestualità teatrale, all’interno di un vocabolario musicale che non cerca l’ibridazione di superficie, ma una stratificazione condivisa dei linguaggi.

Il weekend conclusivo, presso lo Spazio NOUS a Roma, sarà dedicato alla danza Bharatanatyam, con un workshop e la performance MAA – The Eternal Truth della celebre danzatrice Bala Devi Chandrashekar, discepola di Padma Subrahmanyam. Il suo approccio unisce rigore filologico e vocazione drammatica, indagando il principio femminile come fulcro cosmico della tradizione induista, attraverso una grammatica del gesto che si fa racconto simbolico e ritmo incarnato.

A ispirare la visione del festival è l’eredità di Alain Daniélou, musicologo e indologo francese che nel secolo scorso ha contribuito in modo decisivo alla comprensione e diffusione della musica indiana in Occidente. SUMMERMELA si inserisce in questo solco, favorendo il confronto tra culture musicali non in termini esotici o sincretici, ma come possibilità di ascolto profondo: un ascolto che, nel sistema del raga, assume valenze temporali, percettive, persino liturgiche. Il suono diventa così veicolo di esperienza, forma in divenire, paesaggio interiore.

Ricordo che tutti gli eventi sono a ingresso gratuito, salvo lo spettacolo MAA e il workshop. Il programma completo è disponibile sul sito della Fondazione Alain Daniélou. Più che un festival, SUMMERMELA è un laboratorio dell’ascolto e da qui la sua singolarità che è un invito a oltrepassare la superficie del suono, per cogliere quella tensione invisibile tra arte, tempo e coscienza che costituisce l’essenza stessa della musica.

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