"πΈ πππ£πππ ππππππππ πππππ... ", nel solco della leggenda. A Palestrina, il monumentale finale ridotto di Pfitzner in "prima assoluta"
Straordinario concerto quello di ier sera in quel di Palestrina, incentrato sulla rappresentazione ridotta del finale del primo atto dell’opera "Palestrina" di Hans Pfitzner. Una prima assoluta in Italia, che ha messo in luce la complessitΓ di adattare l’imponente partitura originale a una versione eseguibile nello spazio raccolto della Cattedrale. Un traguardo artistico di altissimo livello, reso possibile da un lavoro pluriennale di trascrizione, riduzione orchestrale e traduzione.
Protagonisti dell’evento, De Musica Ensemble, nella sua formazione vocale femminile, guidato dal maestro Luigi Ciuffa, e l’Orchestra da Camera Canova diretta da Enrico Saverio Pagano, giΓ ospite per il terzo anno consecutivo nella cittΓ del Princeps Musicae. L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, si inserisce nel calendario delle celebrazioni per il Cinquecentenario della nascita di Giovanni Pierluigi, configurandosi come una delle esperienze musicali piΓΉ dense e ispirate dell’intero programma.
Cito doverosamente e ringrazio, per la sua impeccabile esecuzione, l’ensemble di "angeli" composto da Maria Chiara Forte (soprano I), Keiko Morikawa e Valeria Andreose (soprani II), Concetta GalatΓ e Giorgia Laviano (contralti I), Sabina Gagliardi e Gaia Ciangola Jucilene (contralti II).
Composta tra il 1912 e il 1915 da Hans Erich Pfitzner (1869–1949), Palestrina Γ¨ una “leggenda musicale” in tre atti, liberamente ispirata alla figura di Giovanni Pierluigi da Palestrina. L’opera debuttΓ² a Monaco nel 1917 sotto la direzione di Bruno Walter. Al centro del dramma, la crisi creativa e spirituale di un compositore che, oppresso dalle richieste del potere ecclesiastico, si sente incapace di scrivere la Missa Papae Marcelli. Secondo la leggenda, sarΓ un’apparizione angelica a restituirgli l’ispirazione: gli angeli gli cantano la Messa, ed egli la trascrive.
La partitura originale prevede un organico imponente: quattro flauti, quattro oboi, quattro clarinetti, quattro fagotti, sei corni, quattro tromboni, tuba, organo, celesta, percussioni, mandolini e un’ampia sezione d’archi. Una tale mole orchestrale rendeva impraticabile un’esecuzione integrale nella cattedrale prenestina.
Johann Herezog, autore della riduzione, ha lavorato per due anni al progetto, mettendo a disposizione una doppia sensibilitΓ : rigore filologico (rispetto delle fonti originali di Pfitzner) e sensibilitΓ cameristica, riuscendo a ridurre con eleganza una partitura che, come accennavo, sarebbe stata altrimenti ineseguibile nella forma integrale, mantenendo intatte potenza emotiva e valore drammatico. Pagano dal canto suo ha curato una riscrittura sapiente, rispettosa del testo originale, ma adattata alla nuova scala. Il risultato Γ¨ una versione inedita, mai eseguita prima, con tagli mirati - tra cui alcune apparizioni degli antichi maestri - e un focus sul nucleo drammaturgico e sonoro del primo atto. Non ultimo la preziosa traduzione in italiano dell'opera, da parte di Cecilia Campa giΓ prof.ssa presso il conservatorio di Santa Cecilia.
Ambientata nel 1563, tra Roma e il Concilio di Trento, "Palestrina" raggiunge il suo vertice drammaturgico e musicale con la visione degli angeli, culmine del primo atto. Pfitzner costruisce qui una delle pagine piΓΉ elevate del repertorio operistico tedesco del primo Novecento. La scrittura si rarefΓ : il dialogo cede al silenzio, e l’orchestra si dissolve in un tessuto timbrico sottilissimo, affidato a corde in sordina, celesta e armonici d’archi.
L’ingresso del coro angelico non avviene come episodio teatrale, ma come presenza uditiva. Come nota Carl Dahlhaus in Die Musik des 20. Jahrhunderts, Pfitzner costruisce un’armonia senza gravitΓ , che fluisce come se provenisse da un altrove: "non viene composta, ma udita". La scena impone un ascolto interiore, mistico: gli angeli non sono visibili, ma percepibili solo da Palestrina, come indicato in partitura: "Die Engel singen, unhΓΆrbar fΓΌr andere, hΓΆrbar nur fΓΌr Palestrina".
"E dovrei comporre ancor... ": cosΓ¬ Palestrina sussurra nel vuoto, un respiro sospeso al limite tra il dubbio e la resa. Γ l’ultima parola prima dell’indicibile. Da quel momento, il tempo si sospende, e ciΓ² che accade non Γ¨ piΓΉ teatro ma epifania sonora: gli angeli cantano, e la Messa si rivela come qualcosa giΓ scritto, altrove, da sempre. Pfitzner segna questa soglia con finezza estrema: una cesura armonica, un rarefarsi dell’orchestra, una soglia oltre la quale la musica non Γ¨ piΓΉ composta, ma trascritta.
Il musicologo Gerd Albrecht definΓ¬ questo momento “una visione sonora”, sottolineando come la scrittura corale impieghi modi arcaici, imitazione libera e timbri puri, evocando la polifonia rinascimentale filtrata dalla sensibilitΓ simbolista del primo Novecento. In questa scena - diceva Thomas Mann - “lΓ dove l’uomo tace, parla l’angelo. E Palestrina ascolta”. Un’epifania che, anche in forma ridotta, ha saputo conservare intatta la sua potenza evocativa.
Secondo il Prof. Herezog, questa rappresentazione puΓ² essere considerata il vero debutto italiano dell'opera: sebbene un’esecuzione concertistica fosse avvenuta a Perugia nel 1953 con i Wiener Symphoniker e Carl Ernstorf, fu da lui definita “come se non ci fosse stata”. Il concerto di Palestrina assume dunque un valore simbolico e fondativo, auspicando un futuro riallestimento integrale a Roma, nel solco della tradizione ceciliana.
Ad aprire la serata, un raffinato Stabat Mater di Pergolesi, in ideale risonanza con la leggenda di Palestrina. Entrambe le opere - nella loro tradizione popolare - nascono in momenti di crisi creativa e spirituale, con l’arte che emerge proprio come risposta alla sofferenza, attraverso una grazia inattesa.
L’evento ha dimostrato come anche un’opera monumentale e poco frequentata come questa, possa tornare a vivere grazie alla ricerca, al rigore filologico e all’energia condivisa di interpreti e istituzioni come la Fondazione. Quella di ieri non Γ¨ stata quindi solo un’esecuzione, ma una riflessione viva sul senso della creazione musicale, sul ruolo della memoria nella cultura europea e sul legame tra mistica e forma musicale.
Il musicologo Gerd Albrecht definΓ¬ questo momento “una visione sonora”, sottolineando come la scrittura corale impieghi modi arcaici, imitazione libera e timbri puri, evocando la polifonia rinascimentale filtrata dalla sensibilitΓ simbolista del primo Novecento. In questa scena - diceva Thomas Mann - “lΓ dove l’uomo tace, parla l’angelo. E Palestrina ascolta”. Un’epifania che, anche in forma ridotta, ha saputo conservare intatta la sua potenza evocativa.
Secondo il Prof. Herezog, questa rappresentazione puΓ² essere considerata il vero debutto italiano dell'opera: sebbene un’esecuzione concertistica fosse avvenuta a Perugia nel 1953 con i Wiener Symphoniker e Carl Ernstorf, fu da lui definita “come se non ci fosse stata”. Il concerto di Palestrina assume dunque un valore simbolico e fondativo, auspicando un futuro riallestimento integrale a Roma, nel solco della tradizione ceciliana.
Ad aprire la serata, un raffinato Stabat Mater di Pergolesi, in ideale risonanza con la leggenda di Palestrina. Entrambe le opere - nella loro tradizione popolare - nascono in momenti di crisi creativa e spirituale, con l’arte che emerge proprio come risposta alla sofferenza, attraverso una grazia inattesa.
L’evento ha dimostrato come anche un’opera monumentale e poco frequentata come questa, possa tornare a vivere grazie alla ricerca, al rigore filologico e all’energia condivisa di interpreti e istituzioni come la Fondazione. Quella di ieri non Γ¨ stata quindi solo un’esecuzione, ma una riflessione viva sul senso della creazione musicale, sul ruolo della memoria nella cultura europea e sul legame tra mistica e forma musicale.
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