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Radiant Dawn, il suono come soglia emotiva. In uscita il nuovo album dei Gesualdo Six, tra chiaroscuri, sospensioni armoniche e tensioni mistiche

In uscita il prossimo 1 agosto il nuovo lavoro dei Gesualdo Six, diretti da Owain Park. Un CD che si presenta con un titolo programmatico: Radiant Dawn. Non si tratta solo di una suggestione poetica, ma di una vera e propria esplorazione tematica: il chiaroscuro del giorno e della notte, l’intreccio tra corporeo e spirituale, tra luce naturale e lux divina. La selezione dei brani abbraccia quasi un millennio di musica, da Hildegard von Bingen a Park stesso. L'elemento unificante è il ruolo simbolico della luce e il dialogo tra voci e tromba, affidata a Matilda Lloyd, artista di punta del catalogo Chandos Records (qui su licenza).


Radiant Dawn in uscita per Hyperion, non è soltanto un titolo evocativo, ma una chiave di lettura dell’intero progetto musicale: un percorso che si muove tra le ombre e la luce, tra il crepuscolo dell’esperienza umana e l’aurora della trascendenza. I brani scelti, che spaziano dal canto liturgico medievale alle composizioni corali contemporanee, non seguono un criterio cronologico ma emotivo, interrogando la luce in tutte le sue valenze spirituali, naturali e simboliche.

La presenza della tromba, affidata alla raffinatissima Matilda Lloyd, trasfigura la tessitura corale in momenti di estasi, invocazione o sospensione temporale, come un bagliore che attraversa la voce umana senza annullarla. È un dialogo interiore e cosmico al tempo stesso, che conferma la forza della musica corale contemporanea quando sa riscrivere la tradizione con intelligenza e ispirazione.

Radiant Dawn è un album che invita all’ascolto lento e raccolto, alla contemplazione. È una preghiera laica e sacra, che illumina il nostro tempo con la stessa intensità con cui, secoli fa, il canto gregoriano rischiarava il silenzio delle abbazie.

La selezione dei brani, che come anticipavo attraversa nove secoli di musica, da Hildegard von Bingen fino ai compositori contemporanei Eleanor Daley, Judith Bingham e lo stesso Owain Park, è tessuta attorno a un filo simbolico che intreccia sacralità liturgica, misticismo naturale, memoria e attesa. Come dicevo, a rendere unica la trama sonora è la presenza della tromba di Matilda Lloyd, che non si limita a un ruolo solistico ma si fonde spesso col tessuto vocale, assumendo di volta in volta il ruolo di luce celeste, voce angelica o echi remoti dell’anima.

L’album si apre con Te lucis ante terminum di Alec Roth (1948), una meditazione musicale sul celebre inno di Compieta. Roth alterna versi latini e traduzione inglese in una delicata tessitura canonica che sfuma le linee melodiche, come il fumo dell’incenso al crepuscolo. Il contributo della tromba nel verso finale – non verbale, ma espressivo – sembra richiamare quella “vox clamantis” che invoca pace oltre l’oscurità (cfr. Roth, 2020).

Segue il O nata lux di Thomas Tallis (c.1505–1585), in cui la luce della Trasfigurazione si traduce in cromatismi intensi e false relazioni che scuotono l’intonazione modale tradizionale. L’intervallo come disorientamento mistico: Tallis non scrive per descrivere la luce, ma per farci sentire il turbamento di chi la contempla da vicino (Milsom, 2011).

Luce di altro tipo è quella evocata in Grandmother moon di Eleanor Daley (1955), su testo della poetessa indigena mi’kmaq, Mary Louise Martin. I profili melodici ad arco e l’uso calibrato della dissonanza ricreano il riflesso lunare sull’acqua. Il termine finale “we’lalin” – grazie, in lingua mi’kmaq – chiude il brano come un respiro che si dissolve nel silenzio.

Con The light thereof di Deborah Pritchard (1977), ispirato all’Apocalisse 21:23, la musica entra in una dimensione escatologica. La tromba è inizialmente timida, poi si eleva come il suono tipico di uno shofar (corno di montone utilizzato come strumento musicale) che cerca di perforare il buio. La composizione fu commissionata nel 2020 dai Gesualdo Six e debuttò a Helsingborg: un esempio di come il sacro possa essere reinterpretato oggi non in chiave devozionale, ma visionaria (Pritchard, 2021).

In O radiant dawn di James MacMillan (1959), su uno degli antiphona maior del tempo d’Avvento, la richiesta di luce si fa grido popolare. Le armonie si ispirano esplicitamente a Tallis, ma la ripetizione insistente di come, shine on those who dwell in darkness è puro MacMillan: tensione verticale, invocazione collettiva, pathos ascensionale. La struttura a contrasto – voci piene all’esterno, duo interno più spoglio – evoca la distanza tra comunità e intimità individuale. Cantarlo, credetemi, è un esperienza unica e appagante.

Tallis ritorna con Dum transisset Sabbatum, antifona pasquale che esprime il passaggio dalla morte alla vita. La melodia principale si distende come un tessuto continuo, mentre le voci inferiori danzano con figurazioni scalari e triadi profumate, come “aromi” musicali. L’Alleluia finale non esplode, ma risplende come luce che filtra dall’abside.

Il Christe qui lux es et dies II di Robert White (c.1538–1574) è un altro inno di Compieta, dove la tromba intona il canto piano in modo puro e lineare, mentre le voci intessono un contrappunto introspettivo. Il contrasto tra la semplicità della linea gregoriana e la complessità polifonica non è conflitto, ma dialogo tra voce interiore e preghiera collettiva.

O gloriosissimi di Hildegard von Bingen (1098–1179), interpretato con fraseggi sospesi e vocalità luminosa, richiama la sua visione cosmica della luce divina. Le frasi melodiche, ascendenti e poi discendenti prima della risoluzione, costruiscono un senso di perenne ricerca, come se la composizione stessa si muovesse in uno spazio liturgico senza tempo (Newman, 1987). Hildegard von Bingen, mistica renana, badessa benedettina, teologa e visionaria, fu tra le prime compositrici dell’Occidente di cui ci sia giunto un corpus musicale organico. Le sue antifone, sequenze e responsori – raccolti nel Symphonia armoniae celestium revelationum – sono caratterizzati da una scrittura melodica libera e arcana, sospesa tra estasi liturgica e slancio cosmico. La sua musica, come i suoi scritti profetici, è testimonianza di un pensiero che fonde spiritualità, natura e armonia divina. Una scelta questa che mette ancora più in risalto la cifra stilistica del gruppo britannico.

Aura di Richard Barnard (1977), su testo di Emily Berry, è forse il brano più concettuale. Due cori speculari incarnano la divisione tra i vivi e i morti, e la tromba funge da ponte metafisico. Non c’è ritmo fisso, né forma definita: solo lo svanire, l’affiorare, lo smarrirsi. 

Enter Ghost di Judith Bingham (1952), su frammenti dall’Amleto, si dipana su più piani, tra parola e musica, tra presenza e sparizione. La tromba esplora i limiti estremi del suo registro, mentre le voci parlano e cantano, evocando il fantasma del re come presenza sonora che si materializza e svanisce.

Con Sommernacht Owain Park (1993) si confronta con la poetica del Lied, trasfigurando l’originale romantico in una tela corale fatta di sfocature armoniche e tensioni cromatiche. La notte non è qui un tempo statico, ma un movimento dell’anima, un sussurro condiviso.

Il Abendlied di Josef Rheinberger (1839–1901) chiude il giorno con serenità classica. La ripetizione di Bleib bei uns è una dolce insistenza, una preghiera familiare, quasi domestica. Come nel Vespro, le voci scendono a poco a poco, come la luce al tramonto.

Infine, il Nunc dimittis di Geoffrey Burgon (1941–2010) - celebre anche per essere stato la colonna sonora della serie Tinker Tailor Soldier Spy (BBC, 1979) - si presenta come una ninna nanna liturgica, di intensità quasi cinematografica: la tromba, solitaria e luminosa, risponde alla preghiera del vecchio Simeone come un’eco celeste, mentre le voci tessono una quieta resa spirituale, dolce ma non priva di inquietudine. È un commiato che non conosce retorica, solo silenziosa accettazione.

Con Radiant Dawn, l’ensemble The Gesualdo Six, diretto da Owain Park, ci conduce in un viaggio musicale sospeso tra tenebra e rivelazione. Da Tallis a Hildegard von Bingen, da James MacMillan a Deborah Pritchard, ogni brano è una soglia sonora che crea emozione: l’alba come momento di risveglio, ma anche come metafora dell’ascolto interiore. L’album, attraversato dalla presenza eterea della tromba di Matilda Lloyd, raccoglie composizioni antiche e contemporanee, sacre e visionarie, accomunate da una riflessione sulla luce come simbolo spirituale.

Come il viandante solitario di Caspar David Friedrich - dipinto scelto a corredo dell'articolo - contempla in silenzio l’orizzonte indistinto di un mare di nebbia, anche Radiant Dawn ci pone sull’orlo di un’esperienza spirituale. Tra chiaroscuri vocali e sospensioni armoniche, ci scopriamo pellegrini dell’anima, guidati da un canto che non consola, ma illumina: orientati verso un’alba che non è solo promessa, ma rivelazione.

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