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La parola sacra musicata, tra introspezione e solennità liturgica. I Salmi Penitenziali: da Josquin a Lasso, da Gabrieli a Byrd, fino al celeberrimo Miserere di Allegri

Tra introspezione e solennità liturgica, i Salmi Penitenziali hanno ispirato nei secoli una vasta tradizione musicale che attraversa confini confessionali, linguistici e stilistici. Da Josquin a Lasso, da Gabrieli a Byrd, fino al celeberrimo Miserere di Allegri, queste composizioni non solo danno voce alla supplica del peccatore, ma traducono in forma sonora il dramma spirituale della colpa e della grazia. Esplorare questo repertorio straordinario, analizzandone le strutture, i contesti storici e le declinazioni retoriche, è un percorso ideale che unisce l’ascolto alla comprensione profonda della parola sacra musicata.


Il ciclo dei Salmi Penitenziali, costituisce una pietra angolare della prassi sacra medievale, espressione intensa di pentimento e invocazione di misericordia. La loro funzione liturgica si consolida già nei primi secoli cristiani, come testimonia la recitazione dei Miserere nelle liturgie del mattino e la definizione dei “Penitential Psalms” da parte di Cassiodoro nel VI secolo. 

Nel Rinascimento, questi salmi attraggono poeti e musicisti, divenendo oggetto di traduzioni letterarie (Wyatt, Surrey, Sidney) e, soprattutto, di raffinati cicli musicali. Tra i fulcri musicali spicca Orlando di Lasso con i suoi Psalmi Davidis Poenitentiales (1584). Qui ogni versetto diventa un breve mottetto: un corpus di oltre cento sezioni, in cui il compositore alterna strutture omofoniche a fugati contrappuntistici. Il penultimo salmo, il De profundis (Salmo 129/130), è ritenuto da molti studiosi uno dei vertici della polifonia rinascimentale, paragonabile alle due composizioni omonime di Josquin des Prez.

Questa valutazione poggia su confronti stilistici, sia per l’uso del cantus firmus tratto dal canto gregoriano sia per l’intensità emotiva e la complessità contrappuntistica, che ci riportano all’eleganza unificata di Josquin. Il compositore fiammingo compose almeno due versioni del De profundis, una a cinque voci e una a quattro. La versione a cinque voci risale ai primi anni del Cinquecento, forse realizzata per un funerale reale (Luigi XII o Anna di Bretagna), e si contraddistingue per la struttura impeccabile e la modulazione verso un Requiem finale. Glareanus, nel commento del 1547, lo lodò come “quintessenza di Josquin… bellezza espressiva e novità modale gestite con maestria senza offendere l’orecchio”.

Ovviamente il riconoscimento fa cristallizzare la reputazione di Lasso: il suo De profundis di fatto non è un mero omaggio stilistico, ma un degno discendente di una tradizione che affonda le radici proprio in Josquin stesso. Se ne analizziamo la costruzione osserviamo che egli fa uso del cantus firmus gregoriano, suddividendo il testo in sezioni in cui la melodia compare in una lunga nota sostenuta prima di integrarsi in un tessuto polifonico variamente strutturato. Le dieci sezioni culminano in un grandioso Gloria Patri, modellato su architetture soniche, ovvero la relazione tra lo spazio architettonico e il suono, che dialogano chiaramente con le soluzioni contrappuntistiche di Josquin. Questa architettura formale rende esplicito il confronto: ambedue i compositori usano marcatamente il testo come motore drammatico e costruttivo della struttura musicale, dando vita a esiti di alta spiritualità.

Altri compositori tratteggiano percorsi paralleli. Andrea Gabrieli ad esempio, compone mottetti penitenziali poi pubblicati postumi nel 1587, caratterizzati da una scrittura più sobria ma intensamente meditativa. Giovanni Croce opta invece per traduzioni italiane (Francesco Bembo) destinate poi alla stampa internazionale; il suo lavoro può ampiamente essere considerato un ponte tra la cultura sacra e quella vernacolare.

Un esempio interessante che rende il messaggio penitenziale accessibile oltre i confini latini, è quello di William Byrd: nella raccolta Songs of Sundrie Natures (1589), rielabora i Salmi Penitenziali in composizioni polifoniche su testi poetici inglesi, adattando la forza spirituale e retorica dell’originale latino alla sensibilità linguistica e devozionale dell’Inghilterra elisabettiana. Byrd, fervente cattolico in un contesto dominato dalla Chiesa anglicana, trovò in queste elaborazioni una forma di resistenza artistica e spirituale: pur scrivendo su testi conformi all’estetica della corte protestante, seppe conservare la profondità meditativa e la tensione penitenziale proprie della tradizione latina. In tal senso, il messaggio dei salmi - implorazione, umiltà, richiesta di misericordia - si fa veicolo di una spiritualità interiorizzata, capace di attraversare le restrizioni confessionali e di insinuarsi tanto nei contesti liturgici anglicani quanto nella devozione privata di molti fedeli cattolici. Questa doppia valenza conferisce alle sue versioni un’importanza non soltanto musicale ma anche storica: un’espressione di identità in un’epoca in cui la fede poteva ancora comportare clandestinità e pericolo.

Al vertice della tradizione controriformata si colloca invece il celebre Miserere mei, Deus di Gregorio Allegri, composto per le celebrazioni della Settimana Santa nella Cappella Sistina durante il pontificato di Urbano VIII. Questa composizione, risalente al 1638 circa, rappresenta uno degli esempi più alti di fusione tra stile severo e teatralità devota. Impostato secondo la tecnica del falsobordone romano, con alternanza tra versetti armonizzati in stile omofono e interpolazioni solistiche ornamentali, il Miserere vive di un equilibrio tra austerità liturgica e misticismo espressivo. Il famoso passaggio a nove voci, introdotto nella tradizione esecutiva e tramandato oralmente per secoli, contribuì alla creazione di un’aura quasi leggendaria attorno all’opera: per lungo tempo, la trascrizione del brano fu vietata al di fuori dell’ambito pontificio, fino alla celebre notazione a memoria realizzata da un giovane Mozart nel 1770 dopo averlo ascoltato a Roma.

Il Miserere di Allegri, pur non appartenendo formalmente a un ciclo completo di salmi penitenziali, si è imposto nella coscienza collettiva come l’archetipo musicale della penitenza cattolica, rappresentando con immediatezza uditiva il dolore per il peccato e il desiderio di redenzione. La sua collocazione nel rito delle Tenebrae, con le progressive estinzioni delle candele e il clima di raccoglimento notturno, amplifica l’effetto spirituale della musica, che sembra emergere dal silenzio stesso, come una supplica corale affidata all’eco dell’architettura sacra. In questo senso, il Miserere di Allegri si pone come risposta post-tridentina al medesimo bisogno espresso dai cicli di Josquin, Lassus o Gabrieli: quello di dare forma sonora alla preghiera del cuore contrito, unendo la parola sacra al potere evocativo del suono.

In conclusione, i Salmi Penitenziali in musica costituiscono una congiuntura tra liturgia, teologia e tradizione artistica. Il dialogo tra Josquin e Lassus, in particolare nei loro De profundis, illustra un passaggio evolutivo cruciale: dalla polifonia raffinata al senso di profonda introspezione spirituale. Questa linea ideale prosegue nei secoli successivi, sia nel barocco (Schütz, Bach) sia nella riscoperta filologica del XX secolo.

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