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La nascita della musicologia italiana: quando la musica divenne scienza. La Rivista Musicale Italiana e la costruzione del metodo storico-critico

Quando la musica iniziΓ² a essere studiata con metodo, l’Italia stava ancora cercando di definirsi come nazione anche sul piano culturale. Alla fine dell’Ottocento, la storia della musica dovette decidere se restare un racconto erudito o diventare una vera disciplina scientifica. Con la nascita della Rivista Musicale Italiana nel 1894, prese forma un progetto ambizioso: costruire una "musicologia nazionale". La RMI non fu soltanto una pubblicazione accademica, ma un luogo di confronto e sperimentazione, dove tradizione e modernitΓ , estetica e scienza, identitΓ  italiana e apertura europea, si misero in relazione nel tentativo di dare alla musica lo stesso statuto di dignitΓ  intellettuale riconosciuto alle altre arti.


Nel secondo Ottocento, l’Italia unita non aveva ancora una scuola musicologica vera e propria. La storia della musica era raccontata in modo frammentario, spesso come una sequenza di aneddoti o celebrazioni di grandi autori. Mancava un metodo, un’idea condivisa di come si potesse fare ricerca musicale con criteri rigorosi, confrontabili con quelli della storia o della letteratura. 

Il clima culturale dell’epoca era dominato dal positivismo, che proponeva un modello di conoscenza basato su fatti, documenti, osservazione e confronto. Questa impostazione, nata nelle scienze naturali e presto diffusasi nelle discipline umanistiche, ispirΓ² anche gli studiosi di musica. L’obiettivo era emancipare la musicologia dalle impressioni estetiche e darle una base solida, scientifica, in grado di ricostruire la storia musicale con strumenti verificabili.

In questo contesto nacque, nel 1894 a Torino, la Rivista Musicale Italiana (RMI). L’iniziativa partΓ¬ dall’editore Giuseppe Bocca, figura di primo piano nella cultura positivista italiana. La sua idea era ambiziosa: creare un punto di riferimento per gli studi musicali, paragonabile a quanto il Giornale Storico della Letteratura Italiana rappresentava per i letterati. La RMI doveva essere un luogo di sintesi fra storia, estetica e filosofia della musica, capace di elevare la disciplina a "vera scienza".

Nel primo numero si leggeva l’intento di adottare il metodo induttivo, cioΓ¨ partire dall’analisi dei fatti concreti - documenti, manoscritti, partiture - per ricostruire la storia in modo obiettivo. Si voleva abbandonare l’approccio soggettivo e romantico che per decenni aveva dominato la critica musicale, cercando invece connessioni ed evoluzioni verificabili.

Il programma di studi era ampio e ambizioso; esso comprendeva l’analisi di ogni forma musicale, dalle canzoni popolari ai grandi capolavori sinfonici. Accanto alla ricerca storica trovavano spazio le scoperte della fisiologia e dell’acustica applicate alla musica, il confronto tra le tecniche compositive contemporanee e le forme del passato, e soprattutto l’obiettivo di conferire alla musica, in tutte le sue manifestazioni, la piena dignitΓ  di disciplina scientifica.

Uno dei dibattiti piΓΉ vivaci, dentro e fuori la RMI, riguardava il valore delle opere musicali. Tra questi quello cruciale della dicotomia tra monumento (l'opera su cui si rinnova l'esercizio critico) e documento (l'opera come testimonianza della sua pertinenza a una cultura piΓΉ vasta). I musicologi piΓΉ legati al positivismo scelsero la seconda via. L’opera d’arte doveva essere trattata come un fatto storico, osservabile e confrontabile, non come un mistero estetico. Ma questa scelta portΓ² anche qualche rigiditΓ : analizzare la musica solo dal punto di vista tecnico o formale rischiava di impoverirne la dimensione poetica. Tuttavia, la conquista di un metodo scientifico era un passo decisivo, anche se imperfetto. Si trattava di imparare a "leggere" la musica come fonte storica: comprendere le forme, le influenze, le tecniche, ma anche ciΓ² che esse dicevano sul pensiero e la sensibilitΓ  di un’epoca.

Alla fine dell’Ottocento gli studiosi italiani si trovarono divisi tra due esigenze complementari: da un lato raccogliere e ordinare i materiali del passato, dall’altro interpretarli secondo una visione complessiva della storia. Questa duplice prospettiva, tra erudizione e riflessione critica, mirava a dare alla musica un senso nazionale. Come osservΓ² Oscar Chilesotti, tra i primi a confrontare repertori antichi e popolari, bisognava "studiare l’antico per comprendere il presente". Da tale convinzione nacque l’interesse per la polifonia rinascimentale e per la musica strumentale italiana, considerate le radici di un’identitΓ  culturale autonoma da contrapporre all’egemonia tedesca. 

La Germania, in effetti, costituiva un modello decisivo: qui la musica era giΓ  stata integrata nelle scienze storiche e umanistiche e studiata con rigore filologico da studiosi come Forkel, Ambros, Spitta e Adler. Tra Otto e Novecento, universitΓ  e riviste tedesche avevano definito una disciplina autonoma, fondata sull’analisi documentaria e comparativa, che considerava la musica espressione diretta dell’identitΓ  nazionale. L’Italia, ancora legata alla tradizione conservatoriale e alla dimensione esecutiva, si confrontΓ² con questo paradigma solo dopo l’unificazione, assumendo il modello tedesco come riferimento per conferire alla disciplina una struttura metodologica piΓΉ rigorosa e un riconoscimento accademico stabile. 

CiΓ² che in Italia rimaneva ancora incerto era la periodizzazione: mancavano categorie condivise come "barocco" o "classicismo", e si preferiva raccontare la storia musicale attraverso le biografie dei grandi autori - da Palestrina a Beethoven - piΓΉ che attraverso un sistema coerente di forme e stili. Era una musicologia ancora giovane, ma giΓ  consapevole della necessitΓ  di un metodo unitario.

Un’altra grande novitΓ  metodologica fu il comparativismo, preso in prestito dalla linguistica. Confrontare melodie, strutture e forme antiche e popolari serviva a individuare regolaritΓ , leggi o radici comuni. In Italia, questo approccio venne impiegato per sostenere l’idea di una "musica nazionale" continua dal Rinascimento in poi

Chilesotti, ad esempio, confrontΓ² i motivi delle intavolature per liuto con le melodie popolari del Cinquecento, cercando legami tra cultura colta e tradizione orale. Queste ricerche furono pionieristiche, ma spesso limitarono la prospettiva alla sola notazione scritta, trascurando le prassi esecutive vive e non documentate. Si parlΓ² in questo contesto di un vero e proprio "vizio musicologico", ovvero quello di considerare la scienza della musica coincidente con lo studio dei manoscritti.

Con il passare degli anni, la Rivista Musicale Italiana divenne lo specchio delle trasformazioni del pensiero culturale. Intorno al 1907, l’atteggiamento positivista lasciΓ² spazio a una visione piΓΉ aperta, influenzata dall’estetismo idealista di Benedetto Croce, che restituiva alla musica la sua dimensione spirituale. Allo stesso tempo si rafforzarono le tendenze nazionalistiche: musicologi come Fausto Torrefranca rivendicarono con forza le origini italiane della sonata e della sinfonia, partecipando cosΓ¬ al dibattito sull’identitΓ  nazionale e sul ruolo della musica nella costruzione culturale del paese.

Oggi in Italia, come nel resto d'Europa, non esiste uno "statuto scientifico" della musicologia come documento unico, ma piuttosto un insieme di norme, pratiche e principi che ne definiscono il ruolo nel sistema dell’alta formazione e della ricerca. Dopo la legge 508 del 1999, che ha riformato conservatori e istituzioni musicali equiparandoli all’universitΓ , la musicologia italiana ha consolidato la propria identitΓ  accademica: un campo di studio orientato alla ricerca storica e teorica, ma anche alla produzione artistico-musicale.

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