Josquin oggi: nuove prospettive sulla polifonia rinascimentale. Dal rigor corale alla vitalità storicamente informata, la visione di Cut Circle Ensemble
Una nuova lettura della polifonia di Josquin de Prez si sta affermando nel dibattito musicologico contemporaneo, sostenuta da ricerche e pratiche esecutive che rimettono in discussione la tradizione corale anglosassone dominante dagli anni Settanta. L’indagine mette a confronto tecnica vocale, mensura e fonti storiche, proponendo un suono più aderente al contesto rinascimentale, capace di restituire presenza, forza espressiva e precisione ritmica. Uno sguardo alla recente monografia, The Art of Counterpoint from Du Fay to Josquin, a cura di di Jesse Rodin, direttore di Cut Circus Ensemble.
Una rilettura dell’interpretazione della polifonia rinascimentale, ed in particolare di Josquin de Prez, appare oggi quanto mai necessaria. Le più recenti ricerche e pratiche esecutive invitano a riconsiderare la tradizione corale anglosassone che per decenni ha dettato il modello di riferimento, confrontandola con nuovi approcci vocali e mensurali più coerenti con le fonti storiche. L’analisi di esempi contemporanei, dei trattati rinascimentali e della tecnica vocale storicamente informata mostra come questo repertorio, a lungo percepito come “classico”, possa ritrovare densità, vitalità e presenza sonora senza perdere la limpidezza contrappuntistica e la precisione ritmica che ne definiscono l’essenza.
L’interpretazione della polifonia josquiniana richiede innanzitutto un salto di prospettiva rispetto ad alcune consuetudini consolidate nel panorama della musica antica recente. Per buona parte della seconda metà del Novecento e fino ai decenni più vicini a noi, l’estetica che ha dominato le registrazioni e la pratica d’insieme derivava da una tradizione corale che privilegiava intonazione controllata, fraseggio omogeneo e una emissione con ridotto o nullo vibrato. Questa impostazione, favorita da figure come David Wulstan e resa celebri da ensemble quali i Tallis Scholars e l’Hilliard Ensemble, ha indubbiamente offerto chiarezza contrappuntistica e precisione ritmica, contribuendo a una riscoperta fondamentale del repertorio rinascimentale e alla sua diffusione discografica. Tuttavia buona parte della discussione contemporanea sostiene che questo modello, benché efficace per la delineazione delle linee, sia storicamente parziale e talvolta anacronistico rispetto agli obiettivi estetici che probabilmente guidavano l’esecuzione nei tardi decenni del Quattrocento e nei primi del Cinquecento.
Tra i punti critici che emergono vi è la tecnica vocale come fattore determinante del «colore» sonoro. La diffusione in Occidente, a partire dall’Ottocento, di pratiche didattiche influenzate dagli studi di Manuel García ha promosso una posizione della laringe relativamente bassa e una ricerca timbrica ampia e risonante che si incontra poi nella codificazione del belcanto. Questo orientamento tecnico, sebbene assai utile nel repertorio lirico e nella voce solista romantica, non è necessariamente rappresentativo delle prassi vocali del primo Cinquecento, epoca in cui la voce corale poteva privilegiare posizioni laringee medie o alte e un maggiore «avanzamento» delle vocali ed elementi che producono un timbro più brillante e «in presenza». La letteratura moderna sulla pedagogia vocale riconosce la trasformazione delle pratiche e il ruolo pionieristico di García nell’osservazione anatomica, ma mette anche in guardia dall’assumere la tecnica ottocentesca come unica norma interpretativa per repertori molto più antichi.
La scelta timbrica non riguarda soltanto l’estetica, ma incide in modo decisivo sulla percezione dei contrappunti e sull’equilibrio tra le linee vocali. Un posizionamento laringeo più alto o medio tende a rendere le vocali più anteriori, produce una proiezione del suono che gli studi di estetica contemporanea hanno definito come «presenza», ossia la tangibilità acustica e sensoriale che rivela dettagli espressivi e microaccenti.
Nel contesto delle più recenti interpretazioni, ensemble come Cut Circle hanno perseguito proprio questa idea di presenza, combinando rigore ritmico e un timbro più brillante per restituire a Josquin un impatto sonoro che privilegia effetto e vivacità, senza sacrificare la chiarezza contrappuntistica. Il loro recente progetto discografico introduce un nuovo modo di intendere il suono di Josquin, mettendo in risalto la sua genialità inventiva, la straordinaria varietà stilistica e la forza espressiva che attraversa l’intera produzione del compositore fiammingo.
Fondato da Jesse Rodin nel 2003 presso la Stanford University, il gruppo statunitense, ha sviluppato un approccio filologicamente informato ma artisticamente vitale, basato su un equilibrio tra rigore mensurale e libertà espressiva.
Cut Circle prende il nome da un segno della notazione musicale rinascimentale, un cerchio (che indica il metro ternario) con una barra verticale (che indica il tempo dimezzato o un tempo veloce). Le loro registrazioni, supportate da un’accurata ricerca sulle fonti e sulla tecnica vocale storica, offrono un riferimento concreto per comprendere come la polifonia rinascimentale possa essere restituita con autenticità sonora, chiarezza strutturale e intensità comunicativa.
Jesse Rodin porta avanti due progetti nel campo delle digital humanities che mirano a rendere più accessibile l’intero periodo rinascimentale. Josquin Research Project (josquin.stanford.edu), è uno strumento digitale pensato per esplorare un ampio corpus musicale, e Mapping the Musical Renaissance (renaissancemapping.org), che favorisce sia la comprensione di base sia la scoperta casuale di connessioni e reperti musicali significativi.
L’ensemble ha dedicato due album al repertorio di Josquin des Prez, offrendo interpretazioni innovative e filologicamente consapevoli. Josquin I - Motets & Chansons, uscito nel novembre 2023, è il primo volume che racchiude una selezione di mottetti e chansons di Josquin, tra cui Miserere mei deus, Scaramella e Ave Maria… virgo serena. Josquin II - Motets milanais è il secondo volume della serie, previsto per gennaio 2026. Questo album si concentra sulla musica sacra di Josquin antecedente al 1490, includendo la Missa L’ami Baudichon e i cicli di motetti milanesi Vultum tuum deprecabuntur e Qui velatus facie fuisti. Il progetto mira a evidenziare la straordinaria abilità compositiva di Josquin nei suoi primi anni di attività. Questi album rappresentano un contributo significativo alla riscoperta e all’interpretazione della musica di Josquin, offrendo nuove prospettive sulla sua opera attraverso un suono contemporaneo e storicamente informato.
Il lavoro interpretativo contemporaneo che mira ad avvicinarsi a Josquin non è né uniforme né dogmatico, ma si fonda su una sperimentazione controllata, su un costante confronto con le fonti e su una pratica che integri timbro, mensura e frasatura. L’ensemble Cut Circle rappresenta quindi un modello significativo di questo orientamento, con cinque voci che mantengono individualità timbrica e caratteriale pur condividendo un approccio comune alla vocalità e alla formazione delle vocali. In questa prospettiva, le scelte mensurali diventano parte integrante dell’intenzionalità drammatico-musicale, mentre la combinazione di presenza vocale, precisione ritmica e sensibilità timbrica restituisce la piena versatilità espressiva di Josquin e la sua attitudine a giocare con le strutture metriche e accentuali.
Alle considerazioni timbriche si accompagnano questioni di mensura e di tempo che toccano il cuore della pratica polifonica rinascimentale. Le fonti mensurali e gli scritti teorici del periodo indicano relazioni proporzionali tra tempi che non sempre coincidono con le abitudini esecutive moderne: per esempio, le transizioni tra «tempus» ternario e «C tagliato» binario potevano implicare accelerazioni o modifiche proporzionali che influiscono profondamente sulla percezione delle frasi e sulla loro tensione interna. Errori sistematici nella lettura delle relazioni mensurali, come l’equiparazione impropria di valori che dovrebbero invece mantenere rapporti 3:2, portano a tempi in C tagliato troppo lenti o a segnature ternarie eseguite a velocità eccessive, con conseguenze sulla dinamica interna delle frasi e sulla scorrevolezza formale della musica. Il riavvicinamento alle fonti mensurali, con una pratica che rispetti le proporzioni scritte e la natura semantica dei cambi mensurali, restituisce a Josquin la capacità di modellare l’architettura ritmica e di lasciare emergere gli scarti espressivi insiti nelle strutture contrappuntistiche.
Il De modo bene cantandi, scritto nel 1471 da Conrad von Zabern, è un trattato che offre preziose indicazioni sulla prassi vocale del tardo Quattrocento. Destinato ai cantori monastici tedeschi, fornisce istruzioni sul modo corretto di cantare nel contesto liturgico, ponendo l’accento su chiarezza dell’articolazione, rispetto del testo latino e decoro nell’esecuzione. Pur con intento normativo e morale, il trattato testimonia indirettamente la diffusione di stili vocali più energici e proiettivi, talvolta criticati dagli autori ecclesiastici per l’eccessiva forza o teatralità dell’emissione, segno di una varietà espressiva ben più ampia di quanto la prassi corale moderna lasci immaginare.
Zabern fa riferimento a rimproveri al canto «negligente» e immagini che denunciano una pratica vocale «eccessiva» e teatrale, tali da suggerire che erano noti e praticati stili forti, proiettivi e a effetto, talvolta criticati dalle autorità ecclesiastiche. Il passo citato, che paragona il canto sciatto al muggire dei buoi nei prati, mostra come la questione non fosse l’assenza di forza o presenza ma piuttosto l’uso giudicato inappropriato di tali risorse; da questo emerge l’idea che una resa vigorosa e ben articolata non fosse estranea all’epoca. Un confronto attento con questi testi consente di costruire modelli esecutivi che non cadano né nella sterilità «neutra» né in esibizioni anacronistiche.
Per i musicologi e per gli interpreti le conseguenze pratiche sono chiare: è necessario sperimentare con tecniche vocali alternative, studiare a fondo le fonti mensurali e non accettare acriticamente le convenzioni ereditate dalla tradizione corale recente. Questo non significa rifiutare la disciplina del canto corale o la chiarezza che essa garantisce, ma piuttosto integrare quella disciplina con variabili timbriche e proporzionali che rendano più aderente la resa musicale al contesto storico e estetico di riferimento. Un tale orientamento richiede inoltre un dialogo con i colleghi di campo, ascolto attento delle registrazioni che esplorano nuove possibilità e una critica fondata su prove musicali e documentarie.
Guardare a Josquin oggi, significa, come sempre più spesso emerge nel dibattitto musicologico, coniugare rigore filologico e coraggio espressivo. Questa strada non è un ritorno nostalgico a modelli immaginari, ma di avanzamento metodico verso una pratica che ponga al centro la materia sonora come documento performativo, rispettosa delle fonti e aperta a nuove scoperte interpretative. Solo così la polifonia rinascimentale potrà parlare con la sua pluralità originale, rivelando tanto la nitidezza delle linee quanto la fisicità della presenza vocale che probabilmente caratterizzava le esecuzioni dei suoi primi ascoltatori.
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