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IL COLORE DEL VINO ROSATO

Tutti i colori del rosa
Convegno sui colori dei vini rosa(ti)
Il colore dei rosé prodotti nel mondo va progressivamente attenuandosi per assumere tonalità sempre meno cariche e marcate: non fa eccezione il lago di Garda, dove i Chiaretti, pur in un arco cromatico ancora piuttosto ampio, sono in linea con questa tendenza presentando le tipologie mediamente più chiare dell’intera produzione italiana.

E’ uno dei dati principali emersi dal convegno “Tutti i colori del rosa- Prevedere, estrarre, stabilizzare il colore dei vini rosa(ti)”, che ha tenuto banco a Moniga del Garda in occasione della VI edizione di Italia in Rosa.

Ospite d’onore di questa edizione Gilles Masson, direttore del Centre du Rosé di Vidauban, in Provenza, giunto in Valtènesi per raccontare esperienze, ricerche e studi sulle caratteristiche di quel colore rosa dalle mille sfumature che è in assoluto uno degli aspetti che più sta contribuendo alla grande affermazione su larga scala dei rosati.

“Manifestazioni come Italia in Rosa rappresentano fondamentali occasioni di confronto tra operatori che collaborano insieme per portare i rosé nella corte dei grandi vini del mondo, senza alcun complesso di inferiorità rispetto ai rossi ed ai bianchi – ha spiegato Masson-. In queste occasioni è fondamentale sottolineare che il rosé non è una specie di seconda scelta, ma è un vino che ha piena dignità in quanto nasce ed è pensato con precise caratteristiche: un concetto che va consolidandosi proprio grazie al fiorire di incontri ed occasioni promozionali sempre più frequentemente dedicati a questi vini”.

Creato 14 anni fa su volontà dei produttori della ragione, il Centre du Rosé della Provenza è ormai diventato un punto di riferimento per tutte le aree francesi che producono rosé, la cui competenza è ormai apprezzata in numerose collaborazioni di livello internazionale.

“Dal 2004 analizziamo circa un migliaio di campioni ogni anno provenienti da tutto il mondo, e questo ci ha consentito di costruire una grande banca dati sulla produzione mondiale di rosé. Il primo dato che abbiamo analizzato è quello legato alla gradazione alcoolica, un dato costante negli anni che vede l’Italia sostanzialmente nella media con 12,5%. Anche negli zuccheri residui non c’è spostamento negli ultimi dieci anni”.

Per quanto riguarda il colore, il Centre du Rosé ha costruito una sorta di tavolozza cromatica, detta “Nuancier”, posizionando su una scala cromatica tutti i vini analizzati.

“C’è ancora una grande diversità nei colori, che va considerata come una componente importante perché dimostra che il rosé non è un prodotto standardizzato: si va da vini che assomigliano a rossi ad altri più vicini ai bianchi, ma questo non deve essere considerato un punto di debolezza perché dimostra la personalità dei singoli territori. Con questo sistema abbiamo stabilito una media di colore per paese di provenienza nel quale l’Italia si situa a mezza strada”.

Di certo c’è che il colore dei rosati è evoluto molto negli ultimi dieci anni: la media generale nell’intensità colorante è infatti scesa da 0,8 a 0,51, praticamente dimezzandosi. Questa tendenza allo schiarimento riguarda un po’ tutti i Paesi, Italia compresa. Analogamente la Francia, che partiva da un colore medio molto più chiaro della media, ha ulteriormente alleggerito le tonalità dei suoi vini.

I colori dei rosati variano molto anche all’interno degli stessi stati, ed anche in Italia c’è una grande varietà cromatica: la media deriva infatti da una situazione molto eterogenea, che parte da rosati non molto lontani dai vini rossi ed altri che si possono quasi confondere con i bianchi. In quest’ambito, i rosé della Valtènesi e del Garda in generale sono in assoluto i più chiari e tenui fra le varie tipologie italiane.

Di sicuro, al contrario di quanto molti sono spesso portati a pensare, la produzione di rosé è in assoluto la più difficile per ogni vignaiolo che si rispetti.

“Richiede molto mestiere e molta precisione – ha concluso Masson-. E parte di questa difficoltà deriva proprio dalla capacità di padroneggiare il colore che abbiamo individuato e che ci rappresenta. Una variante influenzata dal terroir, dalla qualità dell’uva, dalla conduzione agronomica e dal livello di maturità delle uve al momento della raccolta. Per questo è necessario lavorare sul terroir per continuare a contribuire alla crescita della produzione, che non può prescindere dalla difesa e dalla valorizzazione del prodotto. Il secondo asse di lavoro prioritario è la buona conservazione del prodotto nella filiera dell’export: i rosati sono vini molto fragili e bisogna fare in modo che mantengano le loro caratteristiche nei lunghi viaggi che devono fare considerato che ormai anche da noi in Francia si punta sempre più sulle esportazioni a fronte di un mercato interno in difficoltà”.

Anche in questo ambito il Belpaese c’è, considerato che, come ricordato dall’enologo consulente Goffredo Agostini nella sua relazione sui rosati di Abruzzo e Puglia, l’Italia è il primo Paese esportatore di rosati nel mondo con una quota del 36%, oltre ad essere il secondo produttore con 5 milioni di ettolitri. Ma come deve essere un moderno rosé di qualità, adatto alle esigenze del mercato contemporaneo?

“Fruttato, elegante, morbido, orientato ad un rosa tenue – ha spiegato Agostini -. Fondamentale per le caratteristiche di longevità è la scelta corretta dell’epoca di vendemmia: importanti fattori sono un ph basso, zuccheri non eccessivi, acidità elevata, sanità delle uve. Anche in Abruzzo e Puglia i colori si stanno scaricando mentre i livelli di residuo zuccherino sono in aumento: le tecniche di produzione si stanno rivolgendo verso questi aspetti proprio perché i rosé sono sempre più ricercato all’estero”.

A Giuliano Boni di Vinidea è toccato l’excursus sulla denominazione ospite di quest’anno ad Italia in Rosa, ovvero il Bandol.

“E’ un vino di nicchia, rappresenta meno del 5% della produzione provenzale, ma ha trovato una sua identità valorizzando territorio e una varietà caratteristica come il Mourvèdre. In questa occasione si è scelta la strada di una tradizione che non vuol dire immobilismo, abbracciando per l’appunto l’idea di un rosato moderno”.
E quali sono invece le carte che la Valtènesi può giocare sullo scacchiere internazionale dei vini rosè?

“La Valtènesi ha tutte le carte in regola, dalla storia al microclima ad una varietà tipica ed autoctona, che possono contribuire a costruire una storia di grande successo – ha detto ancora Masson -. Anche qui si è lavorato del resto ad affermare l’idea che il rosato non è un prodotto artefatto ma un vino da raccontare, con una sua precisa specificità: ma è importante trovare un’unità all’interno dell’identità di questo vino, abbinando terroir e tecnologia. Ci vuole molto lavoro, ci vogliono molte degustazioni tra i produttori per trovare i punti in comune che vi possono unire”.

“La caratteristica fondamentale per i successi futuri del Valtènesi sta nel genius loci – ha sintetizzato il direttore di Riccagioia Alberto Panont, che ha moderato l’incontro, ma anche confrontato i disciplinari di Bandol AOC e Valtènesi DOC -. Un plus facilmente riassumibile nel microclima che caratterizza i 14 comuni inseriti nel disciplinare di produzione del Valtènesi, che rappresenta veramente il valore aggiunto di unicità di questa Doc nata coraggiosamente da poco, ma che ora ha di fronte importanti opportunità di sviluppo”.

“Il lavoro che abbiamo svolto negli ultimi anni con il Valtènesi DOC è stato inconsciamente il recupero di una tradizione che era già presente sul territorio nella prima metà del secolo scorso – ha dichiarato il presidente del Consorzio Valtènesi Sante Bonomo chiudendo i lavori -. Ci siamo semplicemente riappropriati della nostra natura valorizzandone le peculiarità, e vogliamo continuare a crescere confrontandoci con le altre esperienze nazionali ed internazionali, con progetti di ricerca e sperimentazione comuni”.

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