Viti a "piede franco" verso l’Unesco: un’alleanza internazionale per la biodiversità vitivinicola. La Sardegna in prima linea per un patrimonio da proteggere
Un’iniziativa senza precedenti sta unendo produttori, ricercatori ed esperti del vino da tutto il mondo per candidare all’Unesco le viti coltivate a piede franco – piante non innestate su radici americane, ma cresciute con il proprio apparato radicale. Questo ambizioso progetto, presentato durante un convegno a Napoli, punta a tutelare, certificare e valorizzare un patrimonio enologico unico, simbolo di storia, tradizione e biodiversità.
Per la prima volta in Italia, Napoli ha ospitato un summit internazionale organizzato dal Comitato Italiano per la Tutela del Piede Franco, guidato da Silvano Ceolin e coordinato dalla vicepresidente Adele Munaretto, in collaborazione con l’associazione francese Francs de Pied. All’evento hanno partecipato delegati da Francia, Spagna, Svizzera, Grecia, Turchia, Argentina e da diverse regioni italiane, tra cui Sardegna, Val d’Aosta, Trentino, Lazio, Basilicata e Campania. Scopo dell’incontro: tracciare linee guida comuni per ottenere il riconoscimento Unesco, garantendo così una protezione globale a queste viti rare.
Protagonista del dibattito è stata la Sardegna, definita da Mariano Murru – presidente di Assoenologi Sardegna e delegato del comitato nazionale – una delle regioni più rilevanti in Europa per estensione di viti a piede franco, con oltre 430 ettari coltivati. "Zone come Sant’Antioco, il Sulcis e Badesi custodiscono vigneti secolari", ha spiegato Murru, sottolineando come questi territori abbiano resistito alla fillossera, il parassita che nel XIX secolo distrusse la maggior parte dei vigneti europei. "Terreni sabbiosi, vulcanici o altitudini elevate hanno protetto queste viti, rendendole testimoni viventi di resilienza".
La Regione Sardegna, attraverso l’agenzia Laore e l’Università di Sassari, sta realizzando un censimento dettagliato delle viti autoctone. "Questo lavoro – ha aggiunto Murru – posizionerà la Sardegna tra le prime regioni italiane ad aver mappato sistematicamente questo patrimonio, creando una base scientifica per la sua conservazione". Un impegno che non solo preserva la biodiversità, ma sostiene anche le economie locali, come evidenziato da Erica Verona, rappresentante della comunità del Carignano a piede franco di Sant’Antioco: "Il riconoscimento Unesco potrebbe portare benefici economici, ambientali e culturali, valorizzando paesaggi e tradizioni".
L’obiettivo della candidatura va oltre la tutela agronomica: si tratta di celebrare un legame ancestrale tra uomo, vite e territorio. Le viti a piede franco non sono solo piante, ma archivi viventi di tecniche colturali pre-fillossera, espressioni di microclimi unici e custodi di varietà quasi estinte altrove. "Un’eredità che merita di essere conosciuta a livello globale", ha concluso Adele Munaretto, ricordando l’importanza della collaborazione transnazionale per vincere una sfida così complessa.
Con il censimento in corso e il sostegno di una rete internazionale, la strada verso l’Unesco è tracciata. Un traguardo che, se raggiunto, scriverà un nuovo capitolo nella storia del vino, unendo innovazione e radici in nome della biodiversità.
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