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La vita è uno stato mentale: l’ingenua purezza di Chance il Giardiniere e il potere della percezione

"Oltre il giardino" diretto Hal Ashby e tratto dal romanzo "Presenze" di Jerzy Kosinski, è un film che scava nelle profondità della percezione e della realtà, sfidando lo spettatore a interrogarsi su cosa significhi davvero comprendere il mondo. Al centro della narrazione c'è Chance, un giardiniere interpretato magistralmente da Peter Sellers, la cui innocenza e semplicità diventano, paradossalmente, la chiave del suo successo nella società. 


Chance vive immerso in una realtà costruita dalla sua limitata esperienza: la cura del giardino e i programmi televisivi sono il suo unico orizzonte. Eppure, quando si ritrova catapultato nella società dell'élite politica e finanziaria, le sue osservazioni banali e letterali sul giardinaggio, vengono interpretate come profonde metafore di saggezza economica e politica. 

La frase che attraversa la pellicola: "la vita è uno stato mentale", è un manifesto filosofico. Di fatto il film solleva una questione centrale: la realtà è oggettiva o è plasmata dalle nostre proiezioni e aspettative? La società vede in Chance ciò che vuole vedere, un saggio filosofo, mentre lui rimane inconsapevolmente fedele alla sua natura ingenua. 

La sua purezza diventa uno specchio che riflette l'ossessione della società per trovare significati nascosti anche dove non ce ne sono: il mondo attorno a lui interpreta la sua semplicità come un segno di profondità. Questo ribalta il concetto tradizionale di intelligenza e successo, suggerendo che, forse, la vera saggezza non risiede nella complessità delle idee, ma nella capacità di osservare la vita con occhi semplici e incontaminati. 

Il finale enigmatico del film, con Chance che cammina sulle acque, è il culmine di questa riflessione filosofica. È un simbolo della leggerezza con cui attraversa la vita, ma anche una provocazione: è davvero un miracolo o è solo la prova definitiva che la vita è uno stato mentale? Forse, come il giardiniere, camminiamo tutti su acque sottili, sostenuti dalle nostre convinzioni e dalle illusioni collettive. 

Il film ovviamente è anche una satira feroce della società moderna, in particolare del ruolo dei media e del potere politico. Chance diventa una figura di rilievo non per meriti reali, ma perché la società dell'informazione e dei mass media costruisce un’immagine di lui basata su malintesi. Le sue frasi semplici vengono riprese e amplificate dai media, trasformandolo in un guru. Questo mette in discussione la superficialità con cui il pubblico e i leader politici accolgono messaggi vuoti, purché appaiano autorevoli. 

La figura di Chance incarna l'archetipo del fool shakespeariano, l'innocente che, proprio grazie alla sua purezza, è in grado di rivelare verità che sfuggono ai "saggi". Tuttavia, questa innocenza è anche una forma di vulnerabilità: Chance è continuamente frainteso e manipolato, anche se non se ne rende conto. 

La domanda implicita è: può un uomo puro sopravvivere in un mondo complesso senza essere corrotto? Chance è un personaggio che sembra privo di un vero sé interiore. Non ha una storia personale significativa, né desideri o ambizioni. In questo senso, il film tocca temi esistenzialisti: chi siamo realmente? Siamo definiti dalle nostre esperienze o da come gli altri ci percepiscono? 

Chance sembra vivere in uno stato di tabula rasa, e la sua identità è un riflesso di ciò che gli altri vogliono vedere in lui. Il giardinaggio è di fatto per Chance, l’unica lente attraverso cui comprende il mondo. Ma il giardino può essere visto anche come una metafora della vita stessa: un ciclo naturale di crescita, decadimento e rinascita. 

Le sue osservazioni sulla necessità di attendere le stagioni giuste per la crescita possono infatti essere lette come una riflessione sulla pazienza e sull’accettazione del flusso naturale della vita. Chance diventa, quasi per caso, una figura di potere e influenza. Questo riflette un paradosso: il potere non è sempre detenuto da chi ha la competenza o la saggezza, ma può finire nelle mani di chi semplicemente incarna le aspettative del momento. È una critica alla vacuità delle dinamiche di leadership e al modo in cui la società costruisce i suoi "eroi". Un film di grande attualità che consiglio vivamente di vedere.

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