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Modalità e emozione, l’alchimia del frigio: pathos e misericordia del Miserere di Josquin

Il Miserere mei, Deus di Josquin Desprez, capolavoro di espressione penitenziale, è uno dei mottetti più straordinari e commoventi del repertorio rinascimentale. Composto tra il 1503 e il 1504 durante il soggiorno del compositore presso la corte di Ferrara, il mottetto rappresenta non solo un esempio di maestria musicale, ma anche un riflesso delle tensioni e delle speranze della corte estense. La sua struttura semplice, arricchita da un uso sapiente del contrappunto e del modo frigio, trasforma il salmo in un'esperienza sonora intensa e coinvolgente.



Parlare di Josquin è come ritrovarsi ogni volta inchinati davanti ad un monumento sacro. E' un compito sempre arduo quello di affrontare di volta in volta, con la scelta di parole semplici ed efficaci, la sua poetica; il suo rivelarsi ad ogni ascolto sempre nuova di ammirevoli contenuti concettuali da esprimere. Scrivere di Josquin non è mai un esercizio di stile, non è dissertare su modi o canoni, come forse il titolo accattivante potrebbe annunciare, ma entrare in un labirinto di domande il più delle volte senza risposta. 

Piuttosto, un analisi concreta potrebbe essere fatta considerando il lavoro che il fiammingo svolgeva, ovvero il suo approccio compositivo in relazione al suo tempo, attraverso i mezzi che egli possedeva per descrivere un momento preciso per poi renderlo universale. Dire frigio, in tal senso, con il suo semitono strozzato e le cadenze che sfuggono alla risoluzione, significa mettere l'accento sulla cifra di un’epoca sospesa tra Medioevo e Umanesimo, dove l’uomo – pur dominando la tecnica – resta in ginocchio, interrogando il cielo. E così, scrivere di Josquin, alla ricerca del suo linguaggio emotivo in grado di dialogare con il testo sacro, significa, in fondo, scrivere di noi: della nostra incapacità di ridurre l’arte a esercizio, quando invece essa è l’unico linguaggio capace di dire l’indicibile. 

Il pathos del frigio, rispecchia di fatto il peso dell’umano, che nel mottetto di Josquin viene a manifestarsi in un canto che è un grido che sfida il silenzio di Dio. Nessun artifizio retorico, ma solo ascolto della ferita spirituale del mondo. Dietro le note, il pathos del frigio è confessione dell’inquietudine della nostra esistenza. E' una geografia dell’anima, quella che Josquin disegna, fornendoci un itinerario quanto mai preciso, alla scoperta di una musica che diventa atto di fede; una musica che non interroga, ma è arricchimento del suo paesaggio sonoro, metafora di una ricerca esistenziale, dove la musica diventa strumento per indagare l’umano, il divino, e il loro conflitto.

In Miserere mei, Deus, Josquin utilizza la musica come feritoia sul mistero, un mistero che si svela  attraverso la sua arte di trasformare un lamento in bellezza. Egli lo compose intorno al 1503; gli fu probabilmente commissionato dal duca Ercole I d’Este durante il soggiorno del compositore presso la corte di Ferrara. Il brano è basato sul Salmo 50 (51), una preghiera penitenziale di Davide. La scelta del testo riflette sia un intento devozionale che politico: il duca, colpito da una grave malattia, cercava intercessione divina, mentre Josquin, trasformò questa richiesta in un’opera di sublime introspezione spirituale.

Miserere mei, Deus è di fatto uno dei mottetti più straordinari e commoventi del repertorio rinascimentale che rappresenta non solo un esempio di maestria musicale, ma anche un riflesso delle tensioni e delle speranze della corte estense. Il periodo in cui Josquin lo compose fu segnato da eventi personali e politici difficili. La morte dell'amata consorte di Ercole, Eleonora d'Aragona, lasciò il duca in uno stato di profondo lutto. Allo stesso tempo, la città di Ferrara si trovava in una situazione politica complessa, con il duca impegnato a difendere l'autonomia del ducato attraverso delicate manovre diplomatiche. In questo clima, il Miserere mei, Deus assume un significato ancora più profondo, diventando non solo una preghiera personale di pentimento, ma anche un simbolo delle sfide e delle incertezze del tempo.

Josquin costruisce il Miserere attorno a una struttura semplice ma estremamente efficace. Il cuore del mottetto è il cantus firmus, che viene affidato al tenore e si ripete ostinatamente tra un versetto e l’altro con le parole "Miserere mei, Deus". Questo motivo ripetuto crea un senso di supplica costante, sottolineando il tema della penitenza e del desiderio di perdono.

Ogni sezione del mottetto si sviluppa intorno a questo nucleo fisso, con le altre voci che intessono contrappunti ricchi e raffinati. Josquin dimostra una delicata sensibilità nell'interpretazione del testo, "illustrando" musicalmente le emozioni e le immagini contenute nel salmo. La musica segue e amplifica il significato delle parole, con cambiamenti dinamici e armonici che riflettono la drammaticità del testo.

Il modo frigio è caratterizzato da una seconda minore tra la tonica e il secondo grado della scala, creando un intervallo che è stato storicamente associato a sentimenti di malinconia e inquietudine andando ad amplificare la drammaticità dolente del testo penitenziale. Le linee melodiche sembrano oscillare tra la speranza e la disperazione, riflettendo il tormento interiore di chi cerca il perdono divino. La scelta di questo modo non è casuale: Josquin utilizza la scala frigia per intensificare l'effetto emotivo del mottetto, rendendo la supplica "Miserere mei, Deus" ancora più toccante e coinvolgente.

Oltre a essere un tributo al duca Ercole d’Este, il mottetto è una testimonianza della capacità di Josquin di "leggere" e interpretare il testo sacro con una sensibilità che ancora oggi riesce a commuovere l'ascoltatore. Come è immaginabile esso divenne un modello per i compositori successivi, da Palestrina a Bach. La capacità di fondere rigore strutturale e espressione umana lo rende un ponte tra Medioevo e Rinascimento. In un periodo di incertezze politiche e dolori personali, il Miserere non è solo un atto di devozione, ma anche un ponte tra la sofferenza umana e la speranza nella misericordia divina, un messaggio universale che continua a risuonare nei secoli. Come scrisse il teorico Heinrich Glareanus nel 1547: "Josquin non serve le regole, le domina, e piega i modi alla sua volontà poetica".

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