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The Köln Concert: improvvisazione senza confini. Alla Sapienza Gilda Buttà rilegge il capolavoro di Keith Jarrett

Nell'ambito della stagione Jazz e dintorni, due serate di pura magia. Stasera e domani alle ore 17.30 presso l’Università La Sapienza di Roma, l'Aula Magna ospiterà un evento unico: la pianista Gilda Buttà interpreterà The Köln Concert di Keith Jarrett, capolavoro improvvisativo del 1975. Un concerto che non è solo un omaggio alla storia del jazz, ma un tentativo audace di trasporre un’icona dell’improvvisazione in un linguaggio cameristico, rivolto a un pubblico classico.  



Buttà, pianista siciliana celebre per la sua versatilità tra musica classica, colonne sonore (tra cui la collaborazione trentennale con Ennio Morricone) e sperimentazione , ha definito questo progetto una “follia” necessaria. Commissionatole durante la pandemia, l’idea di reinterpretare il Köln Concert è nata dalla volontà di esplorare “repertori nuovi e amati”, superando i confini tra generi.  

La difficoltà principale risiede nella natura stessa dell’opera: un’improvvisazione di oltre un’ora, registrata da Jarrett in condizioni quasi disperate (un pianoforte scordato, stanchezza estrema). Buttà ha lavorato sulla partitura edita da Schott, trasformando un flusso spontaneo in una struttura scritta, senza tradirne l’essenza. «Ad ogni rilettura mi ritrovo in un pozzo profondo dove ogni certezza viene annullata», ha confessato . Il suo obiettivo? Rendere l’opera accessibile ai musicisti classici, inserendola nel repertorio cameristico, senza perdere il “calore umano” che la rese celebre.  

Vi assicuro che il Köln Concert è un vero e proprio monumento della creatività musicale. Nato da un’improvvisazione totale, fonde jazz, gospel, minimalismo e suggestioni classiche in un flusso ininterrotto. Jarrett costruisce l’opera attorno a ostinati (figure ripetute) nella mano sinistra, su cui innesta melodie sempre nuove con la destra. Questa tecnica, ispirata al fingerpicking chitarristico, crea un dialogo tra ritmo e libertà espressiva.  

L’uso di scale modali (tipiche del jazz) si intreccia ad armonie debussyane e accordi blues, con passaggi che evocano la tradizione classica europea. Lo strumento difettoso costrinse Jarrett a concentrarsi sui registri centrali, evitando le ottave estreme. Questa limitazione divenne invece un’opportunità: l’esecuzione si sviluppò in un registro medio, con dinamiche che vanno dal sussurro all’esplosione ritmica. Pur partendo da schemi preesistenti, Jarrett li supera in tempo reale, creando un’opera “irripetibile” che però, paradossalmente, è diventata un riferimento per generazioni di musicisti.  

Buttà affronterà l’opera con Fabio Venturi, responsabile della regia del suono, per esaltare ogni sfumatura nell’acustica impeccabile dell’Aula Magna . La scelta di inserire il brano nella sezione Jazz e dintorni della IUC riflette una visione aperta della musica, dove l’improvvisazione jazz dialoga con la precisione classica.    

Il Köln Concert resta un enigma: un’improvvisazione diventata “classico”, un jazz che sfugge alle categorie. Sono sicuro che la lettura di Buttà, pur rispettosa, ne svelerà la profondità strutturale, dimostrando che la grande musica può essere riletta senza perdere la sua anima. Come scriveva Jarrett: «Il piano deve suonare come qualcos’altro». Forse, oggi, quel “qualcos’altro” è la sintesi tra due mondi che finalmente si parlano.  

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