Il Miserere di Allegri, quel Do acuto sbagliato che genera bellezza. Il curioso equivoco musicologico figlio del falsobordone
Tra i capolavori della musica sacra, il Miserere di Gregorio Allegri (1582-1652) occupa un posto speciale. Eseguito per secoli nella Cappella Sistina, questo salmo barocco è celebre per il suo struggente do acuto, un momento di pura magia vocale. Eppure, pochi sanno che questa versione iconica non è originale, ma frutto di un curioso equivoco musicologico. Il suo grande successo tra errori ed estetica del tardo Romanticismo. Una storia intricata e affascinante che si intreccia con una pratica antica: il falsobordone.
Composto nel 1638, il Miserere di Allegri sopravvisse all’oblio grazie alla Cappella Sistina, che lo eseguiva durante la Settimana Santa. La versione originale prevedeva due cori (a 5 e 4 voci) in alternanza, con un verso finale a 9 voci.
La sua fama crebbe nel Settecento, alimentata da due leggende. La prima riguarda il divieto di trascrizione: si narrava che copiare lo spartito fosse proibito, mito rafforzato dall’aneddoto (probabilmente falso) di Mozart che lo avrebbe memorizzato a 14 anni durante un viaggio a Roma. La seconda coinvolge gli abbellimenti segreti: l’esecuzione dipendeva da ornamentazioni tramandate oralmente dai cantori, irriproducibili su carta.
Quando nel 1771 il brano fu finalmente pubblicato, mancava degli abbellimenti che lo rendevano unico. Fu solo nell’Ottocento che William Rockstro, redattore del Grove Dictionary of Music and Musicians, tentò di ricostruirne la “versione autentica”, combinando fonti disparate.
Il tentativo di Rockstro si trasformò però in un pasticcio musicologico. Per integrare gli abbellimenti, attinse a una trascrizione di Mendelssohn, il quale nel 1831 aveva annotato un’esecuzione nella Cappella Sistina, ma con un passaggio trascritto male. Rockstro non comprese che Mendelssohn aveva annotato una cadenza della prima parte del brano, trasposta in una tonalità diversa a causa del diapason più alto usato nella Cappella Sistina. Inserendo erroneamente il passaggio di Mendelssohn nella seconda parte e senza correggere la tonalità, Rockstro creò un improvviso do acuto, dando così vita a un contrasto armonico drammatico e commovente, del tutto assente nella versione originale di Allegri. Nonostante l’errore, questa versione divenne la più diffusa nel Novecento, amata per il suo pathos drammatico.
Tecnicamente, nella trascrizione Rockstro commise due errori legati proprio alla struttura del falsobordone, che nella sua forma specificamente italiana, nasce nel XV secolo come evoluzione di pratiche musicali legate alla salmodia (la recitazione cantata dei salmi) ed utilizzato appunto per armonizzare i toni salmodici (formule musicali usate per recitare i salmi). Nel Miserere di Allegri questa tecnica si traduce in due cori alternati: un coro a 5 voci e uno a 4 voci, che si rispondono in alternatim (alternanza di versetti).
Allegri compose il Misere con cadenze elaborate: ogni sezione termina con accordi complessi, tipici del falsobordone rinascimentale. Prassi normale poi, il fatto che i cantori della Cappella Sistina aggiungevano abbellimenti non scritti in partitura, seguendo una tradizione orale. Il brano era strutturato quindi in due parti distinte (primo e secondo coro), con cadenze specifiche.
Tornando a Mendelssohn, quando ascoltò l’esecuzione, trascrisse una cadenza della prima parte, ma in una tonalità una quarta più alta, a ragione del fatto che la Cappella Sistina usava un diapason più acuto. Quindi Rockstro in sostanza commise ben due errori legati proprio alla struttura del falsobordone: il primo collocando la cadenza trascritta da Mendelssohn (appartenente alla prima parte) nella seconda parte del brano, stravolgendo la progressione armonica originale. Il secondo errore fu la mancata trasposizione, ovvero non corresse la tonalità dell’estratto di Mendelssohn, lasciandolo una quarta più alto. Il risultato fu la nascita di un improvviso do acuto e un accordo di la bemolle, estranei alla versione di Allegri ma di grande effetto drammatico.
La centralità del falsobordone in questi errori è evidente in quanto questo esso divide il salmo in sezioni autonome (coro 1, coro 2, versetto solista). Questa modularità permise a Rockstro di “ritagliare” e incollare parti come se fossero intercambiabili, ignorando la logica interna del brano. Il falsobordone era un ibrido tra canto fermo e polifonia, con spazio per abbellimenti liberi. Rockstro, non comprendendo questa fluidità, trattò gli abbellimenti come “testo sacro” da fissare nello spartito. Infine l’alternatim tra i due gruppi vocali creò confusione nelle trascrizioni successive, dove era difficile distinguere quale parte appartenesse a quale coro. Potremmo quindi, in conclusione affermare che fu un errore figlio del falsobordone.
Il successo del Misere si fonda in definitiva proprio nel contesto culturale di quell'epoca. Quel salto verso l’acuto va di fatto a creare un climax emotivo rispecchiando pienamente l’idea romantica dell’Ottocento di spiritualità intensa e teatrale; l’aura di segretezza legata alla Cappella Sistina e agli abbellimenti "proibiti" fece sì che il pubblico accettasse qualsiasi versione come "autentica", purché carica di dramma. L’errore di Rockstro, involontariamente, rese così il brano più consonante con l’estetica del tardo Romanticismo, garantendogli popolarità nel Novecento.
Certo è anche vero che qualche filologo musicale avrebbe da ridire sul lavoro svolto da Rockstro in termini di ricerca dell'autenticità di un brano. Di fatto in una intervista Peter Phillips, ha citato una recente registrazione del Miserere di Allegri che in tutte e cinque le strofe aveva eliminato il do acuto che tutti si aspettano di sentire. Prevedibilmente non ha avuto un grosso successo commerciale e questo a ragione del fatto che a volte è difficile creare nel pubblico lo stesso interesse di chi invece persegue una prassi esecutiva storicamente informata.
In questo contesto non voglio prendere posizioni in merito, per ora meglio tacere e prendere magari una posizione più concreta al momento giusto. Insomma che si voglia o no, il brano ne uscì arricchito di una dimensione nuova. D'altro canto, come scriveva Georges Braque: «L’arte fa emergere ciò che non esiste, ma ha sempre avuto diritto di esistere».
Quel do acuto "sbagliato" oggi di fatto esiste, e ha conquistato il suo diritto di appartenere alla storia; sebbene storicamente inaccurato, è oggi un momento irrinunciabile, simbolo di un brano che ha superato i confini del tempo. La vicenda dimostra come la musica sia un organismo vivo, plasmato non solo dai compositori, ma anche dagli errori, dalle interpretazioni e dal mito.
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