Il mercato globale dell’olio d’oliva sta attraversando una fase di riassetto: i consumi si spostano verso paesi non tradizionali, mentre calano nelle storiche culle produttive mediterranee. L’Italia, pur confermandosi tra i leader dell’export, perde terreno nella produzione ma conserva quote dominanti in mercati strategici. Tra tensioni inflazionistiche, scarsità di materia prima e l’emergere di nuovi importatori, il settore naviga in acque complesse. Sul fronte interno, l'EVO di qualità superiore resiste, mentre si accentua la sfida culturale di valorizzare l’extravergine come elemento cardine della dieta, oltre che come ingrediente.
Negli ultimi vent’anni, il settore dell’olio d’oliva ha vissuto una trasformazione significativa, caratterizzata da dinamiche contrastanti tra aree tradizionali e nuovi attori globali. Sebbene il consumo mondiale sia cresciuto solo moderatamente (da 2,7 a 3 milioni di tonnellate), i dati rivelano un sorpasso dei paesi extra-Ue, con Stati Uniti, Brasile e Francia in testa, a fronte di un calo in Italia, Spagna e Grecia.
Parallelamente, la produzione ha seguito un trend analogo: l’Unione Europea, pur mantenendo il 58% della produzione globale, ha registrato un -6%, mentre i paesi extra-Ue hanno raddoppiato i volumi, grazie soprattutto a Turchia e Tunisia. L’Italia, in controtendenza con la Spagna (+32%), ha visto crollare la propria produzione del 66%, segnando un divario sempre più ampio con il competitor iberico.
Il 2024 ha confermato un’impennata dei valori delle importazioni in tutti i principali mercati, trainata dalla scarsità di prodotto (specie spagnolo) e da rincari dei prezzi. Se Europa e Stati Uniti restano i poli a maggior valore, Sud America e Asia emergono con tassi di crescita superiori al 10% annuo (2013-2023). Cile, Perù, Colombia, Corea del Sud e Indonesia sono tra i protagonisti di questa espansione, sebbene le quantità rimangano inferiori rispetto ai tradizionali importatori.
Nonostante un export pari alla metà di quello spagnolo, l’Italia mantiene posizioni dominanti in mercati chiave come Germania, Svizzera e Svezia (quote oltre il 50%), e un ruolo significativo in Russia, Giappone e Stati Uniti (oltre un terzo del valore). Oggi l’olio EVO italiano raggiunge 160 paesi, ma il 65% del valore si concentra in soli 5 mercati, con gli USA al 32%. Nel 2024, nonostante volumi in lenta ripresa (-10% nel 2023), l’export ha visto una corsa ai valori, guidata da Corea del Sud e Germania, quest’ultima tra i paesi con i prezzi medi più elevati.
In Italia, la distribuzione moderna (GDO) assorbe la maggior parte delle vendite, ma tra il 2022 e il 2024 il settore ha subito un tracollo dei volumi (-10%), compensato da un +64% a valore, frutto dell’inflazione e della ridotta offerta. In questo scenario, gli oli Dop/Igp e il “100% italiano” hanno resistito, crescendo sia a volume che a valore. Il differenziale di prezzo tra EVO comunitario e italiano si è ridotto dal 47% al 20%, rendendo quest’ultimo più competitivo nonostante il prezzo medio più alto.
«Il consumatore italiano deve acquisire consapevolezza sul valore reale dell’extravergine, riconoscendolo non come semplice condimento, ma come alimento cardine della dieta mediterranea», sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma. L’auspicio è che la crisi recente spinga a una maggiore attenzione alla qualità, premiando filiere trasparenti e produzioni d’eccellenza.
Nomisma, con oltre 30 anni di esperienza, rimane un punto di riferimento nell’analisi delle dinamiche agroalimentari, offrendo insights cruciali per navigare in un mercato sempre più globale e competitivo. La trasformazione in atto richiederà non solo adattamento produttivo, ma anche una comunicazione efficace del valore intrinseco dell’olio EVO, vero ambasciatore del Made in Italy.
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