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La musica e i suoi spazi: a Bologna il dialogo multidisciplinare tra passato e futuro

La musica e i suoi spazi è un interessante convegno che si terrà giovedì 13 marzo 2025, presso l'Opificio Golinelli a Bologna. Il rapporto tra la musica e gli ambienti in cui viene diffusa e fruita, è un tema che ultimamente si sta affacciando grazie a una nuova sensibilità di percezione sonora che riporta al centro una domanda antica ma sempre urgente, ovvero come lo spazio fisico e mentale influisce sull’essenza stessa dell’esperienza musicale. 



Il convegno, promosso dal Saggiatore musicale e dalla Fondazione Golinelli - che guarda caso sarà ospitato proprio nella città che fu culla della rivoluzione scientifica e artistica del Seicento - si propone di esplorare il rapporto tra la musica e i suoi spazi, attraverso un dialogo inedito tra discipline umanistiche, scientifiche e artistiche, con un occhio rivolto alle radici storiche e uno al futuro della ricerca. 

La tavola rotonda propone di fatto un indagine sul rapporto tra la musica e gli ambienti in cui viene diffusa e fruita, coinvolgendo studiosi ed esperti di discipline umanistiche, scientifico-tecnologiche e artistiche. Le sessioni includono interventi di musicologi, architetti, ingegneri acustici e manager musicali, affrontando temi come l'acustica degli spazi teatrali, la percezione musicale e la progettazione di sale da concerto. Il programma, si dipana attraverso un approccio multidisciplinare proprio sul ruolo dello spazio nella creazione e nella ricezione della musica, abbracciando una gamma sorprendente di prospettive. 

Paolo Gallarati (Università di Torino) apre il dibattito con un’analisi della “musica dello spazio” nell’opera, nella sinfonia e nel repertorio cameristico, interrogandosi su come la struttura musicale evochi dimensioni spaziali - dalla profondità barocca delle fughe di Bach alle vertigini sinestetiche wagneriane. Un tema che Fiorella Giusberti e Marco Costa (Università di Bologna) rileggono attraverso la lente della embodied cognition, dimostrando come l’ascolto musicale non sia un atto passivo, ma un processo dinamico in cui il corpo costruisce e modella spazi mentali. «La musica non si ascolta solo con le orecchie», suggeriscono i due psicologi, «ma con l’intero sensorio, in un dialogo continuo tra movimento, memoria e immaginazione».

Se la psicologia svela il legame tra suono e percezione, l’architettura ne definisce i confini materiali. Giovanni Leoni (Università di Bologna) traccia una storia delle sale dedicate alla musica, dalle basiliche paleocristiane—dove l’acustica era un fenomeno mistico - agli auditorium contemporanei, dove il controllo tecnologico del suono rischia di appiattire la complessità spaziale. A completare questo quadro, Emanuela Sorbo (IUAV di Venezia) presenta uno studio pionieristico sul Teatro Olimpico di Vicenza, un gioiello rinascimentale progettato da Palladio. Utilizzando laser scanning e fotogrammetria, il suo team ricostruisce l’“impronta acustica” del teatro, rivelando come le sue curvature rispondano non solo a esigenze estetiche, ma a una sapienza matematica antica, oggi decifrabile grazie alla tecnologia.

Il convegno non trascura le implicazioni filosofiche e sociali dello spazio musicale. Alberto Triola (Parma) propone una rilettura del modello trialettico di Henri Lefebvre - spazio percepito, progettato e vissuto - applicato alla musica. Per Triola, l’acustica non è una semplice variabile fisica, ma una categoria culturale: pensiamo alle cattedrali gotiche, dove la riverberazione era simbolo della voce divina, o ai club jazz, dove il suono “sporco” diventa espressione di identità. Una visione che Paolo Gozza (Università di Bologna) radicalizza, collegando la costruzione dello spazio musicale alla costruzione dell’umano stesso, da Vitruvio - che vedeva nel corpo la misura dell’armonia - alle neuroscienze contemporanee.

Il Novecento offre esempi emblematici di come gli spazi storici possano essere riletti in chiave musicale. Paolo Pinamonti (Granada) analizza festival come quello di Bayreuth o il Proms di Londra, sottolineando come luoghi non nati per la musica - piazze, rovine, fabbriche - diventino catalizzatori di nuove esperienze acustiche ed emotive. D’altra parte, Lamberto Tronchin (Università di Bologna) invita a pensare al teatro come una “macchina sonica”, il cui funzionamento richiede l’integrazione di matematica, acustica e arte - un approccio che ricorda gli esperimenti di Monteverdi a Mantova o i calcoli di Galileo sulla vibrazione delle corde.

Il convegno si chiude con una riflessione condivisa: lo spazio non è un contenitore neutro, ma un attore fondamentale nella creazione e ricezione della musica. Se le tecnologie digitali permettono oggi di simulare qualsiasi ambiente acustico, la sfida è preservare - o reinventare - quell’interazione tra suono, architettura e corpo che per secoli ha definito l’essenza dell’ascolto. Come suggerisce Triola, forse è tempo di riconoscere che ogni spazio musicale è, prima di tutto, uno spazio politico: progettarlo significa negoziare valori, memorie e visioni del mondo.  

In un’epoca di suoni “liquidi” e confini sempre più sfumati, La musica e i suoi spazi ci ricorda che, per comprendere davvero la musica, non basta studiare le note: occorre esplorare i luoghi - reali e mentali - in cui essa prende vita. Insomma un invito a riappropriarsi della dimensione fisica dell’ascolto, e cosa forse non facile ma auspicatamene raggiungibile, con la curiosità degli umanisti e il rigore degli scienziati.

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