Etnomusicologia: il corpo come strumento. Tra esperimento estetico e rivoluzione filologica, la lezione di Barthes nella prassi storicamente informata
Nello studio della musica antica, ogni nota decifrata su un manoscritto nasconde un enigma: come far risuonare oggi quelle intenzioni perdute? Quando confronto le interpretazioni di Graindelavoix con quelle di The Hilliard Ensemble o The Tallis Scholars, non percepisco solo approcci filologici differenti, ma filosofie opposte dell’incarnazione musicale. Da un lato, la perfezione formale, più o meno rigorosa, che sublima il testo in astrazione; dall’altro, una sfida alle convenzioni con una forte componente interpretativa ed espressiva, in cui è il corpo ad irrompere nella voce, trasformando la polifonia in un campo di battaglia di respiri, sudori e denti stretti. E se davvero la musica antica sopravvivesse solo se osiamo sporcarci le mani - o le corde vocali - nella sua ricostruzione? Ognuno ha il suo rispettabile credo nel decidere come interpretare Ockeghem o Josquin, ma una riflessione si rende ora necessaria: nella scelta di cosa storicizzare, è bene ricordare che il passato, come un affresco, va immaginato nei suoi colori sbiaditi, lasciandone la patina, non restaurato a freddo.
Sempre munito di una buona dose di autoironia e disincanto nel comprendere le dinamiche in seno alla musicologia, ho notato, negli ultimi tempi, un filo di sarcasmo e di velato disprezzo, da parte di alcuni attori di settore, nel difendere l’idea di filologia come disciplina neutra e oggettiva, in quanto minacciata da “deviazioni” che porterebbero la musica antica a sfuggire al controllo di certi accademici, diventando di fatto un campo aperto a interpretazioni plurali e politiche.
Una certa sensibilità nell'ascoltare, mi ha fatto giungere alla costruzione di un parallelo tra l’avvento di gruppi come Graindelavoix, e consolidati ensemble quali The Tallis Scholars e The Hilliard Ensemble, entrambi un faro di eleganza intellettuale. E' proprio la visione del gruppo belga - che è quella di reinterpretare il rigore attraverso la lente dell’etnomusicologia - a generare la percezione che l’ensemble, nella sua incarnazione di una tendenza “progressista” o “di nicchia” (all'interno di una nicchia) - scusate il gioco di parole - si presenti come effimera o autocelebrativa; con un approccio alla musica antica più interessato all’estetica della trasgressione che alla sostanza.
Questo paragonare Graindelavoix a The Tallis Scholars o The Hilliard Ensemble (emblemi di perfezione ieratica e devozione al testo) sembra di fatto più un’operazione sarcastica dal sapore di inautenticità. Il messaggio è chiaro: mentre i due ensemble britannici rappresentano una tradizione seria e consolidata, quello belga risulta più un esteta della provocazione, privo di profondità. Ho sentito anche riconoscimenti strategici nei riguardi di Graindelavoix, ma ho da subito subodorato quel tipico linguaggio accademico di quando si deve concedere qualcosa a un avversario ideologico senza legittimarlo. Per loro insomma la filologia dovrebbe concentrarsi sull’oggettività del testo, non sulle interpretazioni soggettive (come quelle “contaminate” da pratiche etnomusicologiche), nascondendo un risentimento verso chi, come Schmelzer, osa sostituire il rigore analitico con l’esperienza sensoriale.
Fondato nel 1999 a Anversa dall'etnomusicologo belga Björn Schmelzer, Graindelavoix si distingue nel panorama della musica antica per un approccio che sfida le convenzioni, pur radicandosi in una ricerca storica meticolosa. Specializzato nella polifonia medievale e rinascimentale - da Machaut a Ockeghem, da Cipriano de Rore ad Alexander Agricola - l'ensemble incarna una filosofia artistica che attinge tanto all’eredità europea quanto a pratiche vocali extracolte. Il nome stesso, ispirato al saggio Le grain de la voix di Roland Barthes, rivela un’ossessione per la materialità della voce, intesa come corpo vibrante più che come strumento astratto.
Schmelzer cita spesso Barthes per sottolineare come la voce sia un evento fisico, non un medium neutro. In progetti come Ockeghem’s Secret (Glossa), le dissonanze del compositore fiammingo diventano tensioni corporee, amplificate da un uso deliberato del vibrato (non lirico) e da microtoni che ricordano pratiche nordafricane o balcaniche. Questa estetica “selvaggia” riflette una convinzione: la musica medievale era parte di un tessuto sociale vivo, legato a rituali, danze e oralità - non un artefatto da museo.
In un certo senso, senza schierarmi per una o l'altra ensemble, quello di Graindelavoix è un concetto affascinante che è poi il concetto chiave nell’estetica di Roland Barthes e nella filosofia artistica dell'ensemble belga. Se partiamo proprio dal saggio che ho citato prima Le grain de la voix, scritto nel 1972, Barthes riflette sulla differenza tra due dimensioni della voce cantata: Il "fenocanto" (phéno-chant), ovvero la voce come veicolo di significati codificati (testo, emozioni, tecniche virtuosistiche) ed il "genocanto" (géno-chant) in cui la voce si presenta come evento fisico, traccia del corpo che la produce, con le sue imperfezioni, vibrazioni e tensioni.
Per Barthes, il "grano", appunto, è ciò che della voce sfugge al controllo razionale, alla perfezione formale. È la qualità che trasforma la voce da "strumento" a presenza carnale: il respiro affannoso, il vibrato irregolare, la gola contratta, la saliva, i suoni gutturali. Questo "grano" ha, per Barthes, una dimensione erotica, perché mette in gioco il corpo nella sua materialità, evocando una fisicità quasi tattile. Non si tratta di erotismo sessuale, ma di un’esperienza sensuale che nasce dall’ascolto del corpo-in-voce, della sua vulnerabilità e unicità.
Se quindi jörn Schmelzer ha fatto del "grano" barthesiano un manifesto artistico, The Hilliard Ensemble ha privilegiato invece un suono levigato, omogeneo, controllato; quello maggiormente allineato al "fenocanto", piuttosto che a quello di Graindelavoix che cerca deliberatamente il "genocanto". Quindi voci non addomesticate, senza l'utilizzo di registri estremi, dinamiche abrupte, glissati, microtoni. Il corpo come strumento: enfatizzano il respiro, la ruvidità, le dissonanze "fisiche", come ad esempio il citato progetto Ockeghem’s Secret che di fatto trasforma le complessità polifoniche in tensioni corporee. Fino ad arrivare a contaminazioni extracolte, come in Muntagna Nera, dove la voce "grezza" dei canti popolari mediterranei dialoga con la polifonia fiamminga, evocando una vocalità pre-moderna, legata a rituali e comunità.
Tornando all'aspetto erotico, Barthes usa questo termine per descrivere il potere sovversivo del "grano": una voce che non si sottomette alle regole estetiche dominanti (armonia, pulizia timbrica) ma rivendica la sua fisicità, diventando oggetto di desiderio proprio per la sua irriducibilità. In Graindelavoix, questo si traduce in un’estetica che sfida per certi versi l’idealizzazione: rifiuta l’immagine della voce medievale come "angelica" o misticamente pura. Evocazione del caos originario: le asperità ricordano che la polifonia nasceva in contesti vivaci (taverne, piazze, rituali pagani), non solo nelle cattedrali. La creazione di intimità: l’imperfezione, se così vogliamo considerarla, avvicina l’ascoltatore all’umanità dei cantori, in contrasto con il distacco ieratico di certa HIP.
In Barthes/Graindelavoix, il "grano" è l’elemento che trasforma la musica da oggetto di contemplazione a esperienza tattile, incarnata. L’erotismo non è seduzione, ma presenza cruda, che Barthes opponeva alla "voce borghese", addomesticata e rassicurante. Graindelavoix riporta la voce alla sua fisicità, che significa restituire alla musica antica il suo potenziale sovversivo, liberandola dall’aura museale.
The Hilliard Ensemble, fondato nel 1974, e diretto da Paul Hillier, rappresenta un paradigma classico della HIP: a proposito l'acronimo sta per Historically Informed Practice, quindi precisione contrappuntistica, purezza timbrica e un’estetica riflessiva, vicina alla sensibilità cameristica moderna. The Hilliard Ensemble incarna una tradizione HIP che privilegia la fedeltà al testo musicale, l’equilibrio strutturale e una vocalità levigata, ereditata dalla cultura corale anglosassone. La loro interpretazione di Ockeghem o Machaut è un esercizio di trasparenza: le linee polifoniche si intrecciano con geometrica chiarezza, in uno spazio acustico controllato. Paul Hillier, influenzato dalla sua formazione nel repertorio contemporaneo, enfatizza la meditazione sonora, come evidente in registrazioni per ECM, etichetta nota per una produzione "ascetica" e iper-articolata. Anche se entrambi i gruppi condividono un impegno filologico, le loro interpretazioni ovviamente divergono radicalmente. Un approccio quello dell'Hilliard che si riflette in una maggiore varietà di timbro e nel senso di esplorazione, che include l'uso di diverse tecniche vocali e talvolta un'interpretazione più "moderna" in termini di ritmo e dinamica. Il gruppo ha anche esplorato diversi repertori, dal Rinascimento alla musica del XX secolo, e questo li ha portati a cercare un equilibrio tra l'accuratezza storica e l'espressività contemporanea. Per comprendere questa differenza quindi, è necessario esplorare due visioni distinte del concetto di “autenticità”.
Graindelavoix, al contrario, reinterpreta il rigore attraverso la lente dell’etnomusicologia. Schmelzer contesta l’idea che l’HIP debba limitarsi a ricostruire strumenti o notazioni, proponendo invece un dialogo con le culture orali e le pratiche improvvisative. In Muntagna Nera (Virgin Classics), ad esempio, la polifonia fiamminga si fonde con canti popolari mediterranei, evocando un medioevo fluido, contaminato da scambi culturali. La voce non è addomesticata: i cantori di Graindelavoix esplorano registri aspri, glissati, dinamiche estreme - un “grano” che Barthes assocerebbe come dicevo all’erotismo della vocalità.
The Hilliard Ensemble, invece, privilegia la dimensione spirituale e intellettuale, allineandosi a una lettura umanistica del repertorio. La loro celebre registrazione dei Mottetti di Machaut (ECM) è un viaggio ipnotico ma introspettivo, dove ogni nota è calibrata per rivelare l’architettura sacra del testo.
I Tallis Scholars, fondati nel 1973 da Peter Phillips, sono conosciuti per il loro approccio rigorosamente filologico alla musica antica, con particolare attenzione alla musica del Rinascimento. La loro esecuzione tende ad essere molto più aderente ai principi di storicità, cercando di ricreare il più possibile l'intenzione musicale dell'epoca in cui la musica è stata scritta. Questo si traduce in un suono più "puro" e "pulito", con un'attenzione minuziosa all'intonazione, alla consonanza e all'accuratezza stilistica. L'approccio del gruppo è stato fortemente influenzato da ricerche musicologiche dettagliate e da un uso rigoroso di fonti storiche. Le loro interpretazioni sono solitamente più sobrie, con un'enfasi sulla chiarezza della polifonia rinascimentale. The Tallis Scholars, rappresentano l’archetipo della perfezione formale nella polifonia rinascimentale. Le loro interpretazioni - come nella Missa Hercules Dux Ferrarie di Josquin - privilegiano un suono levigato, omogeneo e ieratico, con un equilibrio contrappuntistico che riflette una vocazione quasi scultorea della musica.
In Graindelavoix, al contrario, se prendiamo il progetto Ockeghem’s Secret, ci accorgiamo che le dissonanze diventano tensioni fisiche, non mere astrazioni armoniche. I Tallis Scholars interpretano la musica antica come un oggetto sacro, da preservare intatto. Nelle loro registrazioni - ad esempio, la Missa Papæ Marcelli di Palestrina - il testo è trattato con reverenza, enfatizzando la chiarezza delle parole e la spiritualità trascendente. Graindelavoix, invece, decostruisce il testo attraverso pratiche vocali “grezze” (gridi, sussurri, microtoni), come il citato Muntagna Nera, dove la polifonia fiamminga si fonde con canti popolari mediterranei, evocando un medioevo contaminato e terreno.
The Tallis Scholars, predilige tempi meditativi e spazi acustici ampi (ad esempio, chiese gotiche), creando un effetto di sospensione temporale, come nell’Agnus Dei della Missa Prolationum di Ockeghem. Graindelavoix, invece, comprime lo spazio sonoro: le voci si scontrano in ritmi irregolari, come in Josquin the Undead, dove le dissonanze del compositore fiammingo sono amplificate da vibrati “selvaggi”, trasformando la musica in un rito collettivo piuttosto che in una preghiera. Di fatto chi in Graindelavoix cerca il "sacro" tout court, dovrà rivolgersi altrove, anche se ben sappiamo sarà un ardua ricerca.
Per The Tallis Scholars, la filologia è una scienza del documento: ricostruiscono partiture, strumenti e contesti liturgici con rigore analitico. La loro registrazione della Missa Sine Nomine di Christopher Tye, ad esempio, è un esercizio di precisione storica. Schmelzer, vede la filologia come archeologia del gesto: ciò che conta non è solo il manoscritto, ma il corpo che lo esegue, con le sue fatiche e imperfezioni. Questo approccio è evidente in progetti come Cesena (con la coreografa Anne Teresa de Keersmaeker), dove la musica antica diventa performance fisica.
The Tallis Scholars sono spesso considerati un benchmark della musica antica, come dimostrano i premi Gramophone e le recensioni che ne lodano la “purezza senza tempo”, mentre Graindelavoix, come appurato, sono perlopiù oggetto di critica.
Questa mia modesta riflessione, mi porta a concludere che quanto viene affermato, tradisce una visione idealista della musica antica: cercare l’essenza di Josquin nel testo scritto, non nel corpo che lo esegue. Graindelavoix, invece, seguendo la lezione di Barthes, sostiene che la voce sia un testo essa stessa, carico di storia e politica. Per alcuni accademici, questa è pura eresia; per Schmelzer, è invece l’unico modo per far sopravvivere la musica antica. D'altro canto, ben sappiamo che il mondo accademico reagisce spesso, anche a volte contraddicendosi, alle svolte radicali, ridicolizzandole come “mode”, per preservare lo status quo. Ecco che Graindelavoix, in questa lettura, non rappresenta solo un ensemble, ma un sintomo di un conflitto generazionale tra chi vuole la musica antica sotto una campana di vetro e chi la vuole viva, anche a costo di sporcarla.
Se The Hilliard Ensemble e The Tallis Scholars rappresentano due facce della tradizione HIP - il primo più introspettivo, il secondo più monumentale - Graindelavoix incarna una rottura epistemologica. Mentre i primi cercano di preservare il passato, Graindelavoix lo reinventa, trasformando la musica antica in un campo di battaglia dove si scontrano storia, corpo e politica.
I concetti espressi in questo articolo si fondano su fonti come gli scritti di Schmelzer (Rethinking Medieval Music through Ethnomusicology, 2014) e le interviste di Hillier che sottolineano questa dialettica; la recensione dei Tallis Scholars su Josquin (Gramophone); il confronto tra Tallis Scholars e The Sixteen nelle registrazioni di John Browne; l’analisi delle performance di Graindelavoix in Ockeghem’s Secret e Muntagna Nera.
Graindelavoix, con il sostegno di istituzioni come la Fondation Royaumont e la Comunità Fiamminga, continua a sfidare i confini dell’HIP; la prassi storicamente informata non è un monolite, ma un dialogo tra chi cerca la "voce degli angeli" e chi vuole sentire il respiro degli umani.
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