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Nymphes des bois: il lutto sublime di Josquin. Il ruolo del cantus firmus come 'colonna sonora sacra' nell’omaggio contrappuntistico a Ockeghem

Nymphes des bois, composto da Josquin des Prez in memoria di Johannes Ockeghem, rappresenta uno dei capolavori più alti del Rinascimento. Il mottetto a cinque voci, basato su un testo poetico di Jean Molinet, unisce l’elegia profana al sacro attraverso l’inserimento del Requiem aeternam come cantus firmus.

Analizzando fonti storiche e studi accademici, ho voluto esplorare, unendo studio e pratica, il ruolo così tanto centrale del cantus firmus; tecnica compositiva, nello specifico, utilizzata da Josquin in memoria del suo predecessore e probabile maestro.

Inizierei col dire che Johannes Ockeghem, maestro indiscusso della polifonia del XV secolo, fu sicuramente una figura seminale per Josquin e la sua morte nel 1497 ispirò numerosi omaggi, tra cui come dicevo il testo di Molinet: un'invocazione alle ninfe e alle divinità classiche, per piangere il compositore scomparso. Josquin trasforma queste parole in musica, integrando il canto liturgico del Requiem come elemento strutturale, simbolo di eternità.  

Il cantus firmus, letteralmente "canto fermo", è una melodia preesistente, spesso tratta dal repertorio liturgico gregoriano, utilizzata come base strutturale per composizioni polifoniche. Questa pratica, radicata nel Medioevo, raggiunse il suo apice nel Rinascimento, specialmente nelle messe e nei mottetti. 

Il cantus firmus era tipicamente collocato nella voce di tenor, sostenuto da valori ritmici lunghi, mentre le altre voci sviluppavano contrappunti complessi attorno a esso. 

Durante il XV e XVI secolo, i compositori franco-fiamminghi, tra cui Johannes Ockeghem, Jacob Obrecht, Heinrich Isaac e Josquin des Prez, elevarono questa tecnica anche come strumento espressivo. Questa scelta non era casuale in quanto poteva riflettere intenti devozionali, omaggi personali, o simbolismi politici. Ockeghem, predecessore di Josquin, la utilizzò in modo del tutto innovativo, spesso nascondendola attraverso procedimenti canonici o trasformazioni ritmiche. Nella Missa Prolationum, ad esempio, il cantus firmus è elaborato in canoni proporzionali, dimostrando anche una certa maestria in termini matematici. 

Obrecht, lo impiegò basandolo sia da testi tratti da fonti sacre (es. Missa Fortuna desperata) sia profane (es. Missa Rosa playsante), spesso segmentando la melodia in brevi motivi ripetuti. Questa frammentazione permetteva un’integrazione dinamica con le altre voci, anticipando lo sviluppo dell’imitazione rinascimentale. Isaac invece, nei suoi Choralis Constantinus, intrecciò più cantus firmus gregoriani in cicli di mottetti, adattando la polifonia alle esigenze liturgiche. La sua opera riflette il suo uso come elemento unificatore in composizioni su larga scala.  

Tra tutti, rimane evidente che Josquin, considerato il pioniere dello stile "classico" rinascimentale, utilizzò il cantus firmus con una libertà senza precedenti, combinando rigore strutturale e espressività. In Messe come la Missa Hercules Dux Ferrariae, ad esempio, il cantus firmus è chiaramente derivato dalle vocali del nome del dedicatario (Ercole I d’Este), trasformate in note attraverso la solmisazione (DO-RE-UT-RE-UT-RE-FA-MI-RE). Questa tecnica, detta soggetto cavato, mostra come il cantus firmus potesse diventare un cifrato musicale. 

Tornando a Nymphes des bois, il cantus firmus del Requiem aeternam, non solo struttura il brano, ma trasforma il lamento profano in una preghiera, creando un dialogo tra antico e moderno. Senza entrare in ulteriori tecnicismi elaborativi del cantus firmus, arrivando al XVI secolo, osserviamo che questa pratica perse centralità, a favore della parodia, tecnica questa che fa uso di intere sezioni polifoniche preesistenti, e dello stile imitativo libero. Il Concilio di Trento, presenza costante nello "sviluppo" della polifonia rinascimentale, nel promuovere una maggiore chiarezza testuale, ridusse altresì l’uso di cantus firmus troppo elaborati. Tuttavia, la sua eredità sopravvisse nel corale luterano e nei corali di Bach.    

Il cantus firmus per i compositori rinascimentali, fu uno strumento polivalente: scheletro compositivo, tributo personale e collegamento tra innovazione e tradizione. Josquin, sintetizzando le lezioni di Ockeghem e anticipando il linguaggio palestriniano, ne incarnò le potenzialità espressive, trasformando una tecnica medievale in un linguaggio universale.  

In Nymphes des bois, il cantus firmus, estratto dall’Introito della Messa dei defunti, viene collocato, come accennavo, nella voce di tenor ed eseguito in valori lunghi e note sostenute. Questa scelta, tipica della pratica rinascimentale, crea un contrasto tra la staticità del canto gregoriano e la fluidità contrappuntistica delle altre voci. Come evidenzia Jessie Ann Owens, professoressa emerita di musicologia presso l'Università Davis in California, il cantus firmus agisce da “colonna sonora sacra”, ancorando il lamento profano a una dimensione spirituale.  

Nei primi due segmenti del mottetto, Josquin imita lo stile complesso di Ockeghem, caratterizzato da imitazioni canoniche e sovrapposizioni ritmiche. Patrick Macey, professore emerito di musicologia presso la Eastman School of Music dell'Università di Rochester, osserva che l’uso di un contrappunto denso e cromatico nelle voci superiori riflette direttamente l’eredità ockeghemiana, mentre il cantus firmus funge da ponte tra tradizione e innovazione. 

La fusione del testo di Molinet con il Requiem sottolinea una dialettica tra morte e speranza. Le ninfe, figure mitologiche, evocano un lutto universale, mentre il cantus firmus introduce una preghiera per la pace eterna. Secondo Macey, questa dualità rispecchia la capacità di Josquin di coniugare elementi umanistici con la devozione religiosa, tipica dell’estetica rinascimentale.   

Josquin scrisse Nymphes des Bois nel 1497. L’opera, conosciuta anche come La Déploration sur la mort de Ockeghem, è strutturata in due parti e scritto per cinque voci. La prima parte, come dicevo, basata sul poemetto Déploration di Molinet, mentre la seconda incorpora il testo liturgico Requiem Aeternam nel tenor come cantus firmus. Questa fusione di elementi profani e sacri riflette la duplice natura del lamento: personale e universale. Come sottolinea Richard Taruskin in The Oxford History of Western Music, la scelta di Josquin di integrare il Requiem "eleva il dolore individuale a una preghiera collettiva per la salvezza eterna". 

Nella prima parte, le voci si intrecciano in un tessuto polifonico denso, con un uso minimo di pause e un ritmo continuo, tipico dello stile "fiammingo" di Ockeghem. Jesse Rodin nel suo Josquin's Rome, osserva che Josquin "riverbera la maestria tecnica del maestro, ma con una chiarezza testurale che anticipa il suo stile maturo". La seconda parte, invece, introduce maggiore omofonia e un fraseggio più declamatorio, segnando un distacco stilistico e accentuando l’aspetto emotivo. Ovviamente la parte centrale è affidata al tenor che si dipana nel discorso, attraverso un movimento lento e solenne che funge da pilastro armonico. Questa scelta, come nota di nuovo Macey, "àncora il lamento nel sacro, trasformando il compianto poetico in una preghiera per l’eterno riposo". La sovrapposizione del testo latino alle parole francesi di Molinet crea un dialogo tra il dolore umano e la speranza divina, enfatizzato dalla scrittura polifonica.

La partitura trasuda pathos attraverso l’uso di modalità minori, dissonanze risolte con sospensioni e discendenze melodiche (es. su "plorer" o "larmes"). La tessitura a cinque voci permette una ricchezza sonora che amplifica il tono elegiaco. Il musicologo Gustave Reese in Music in the Renaissance, descrive l’opera come "un capolavoro di intensità emotiva, dove ogni linea vocale contribuisce a un lamento collettivo". La combinazione di tecnica rigorosa e espressività libera ne fa uno dei memoriali musicali più commoventi del Rinascimento.

Il musicologo Jaap van Benthem evidenzia il particolare equilibrio di Nymphes des bois, tra omaggio e innovazione: mentre la prima parte celebra Ockeghem, la seconda rivela la voce unica di Josquin, più attenta alla chiarezza testuale e all’armonia verticale. 

Concluderei dicendo che Nymphes des bois rimane in assoluto un monumento musicale in cui il cantus firmus svolge un ruolo fondamentale sia in termini di struttura sia simbolici. Attraverso di esso, Josquin onora il maestro Ockeghem, bilanciando in quello che è, e che rimarrà per sempre, un eccelso omaggio per stile e sperimentazione. Un opera in cui, come sintetizza Taruskin, "in nessun altro lavoro il lutto diventa così universalmente sublime", non può che incarnare, in maniera sostanziale, la cifra distintiva del genio josquiniano. 

Fonti: Bent, M. (2008). The Grammar of Early Music: Preconditions for Analysis. Cambridge University Press. Higgins, P. (1995). Antoine Busnoys: Method, Meaning, and Context in Late Medieval Music. Oxford University Press. Lockwood, L. (2009). Music in Renaissance Ferrara 1400–1505. Harvard University Press. Macey, P. (1998). Bonfire Songs: Savonarola’s Musical Legacy. Oxford University Press. Sparks, E.H. (1963). Cantus Firmus in Mass and Motet 1420–1520. University of California Press. Wegman, R.C. (1994). Born for the Muses: The Life and Masses of Jacob Obrecht. Oxford University Press. Macey, P. (1998). Owens, J.A. (1997). Composers at Work: The Craft of Musical Composition 1450–1600. Oxford University Press. Sherr, R. (2000). The Josquin Companion. Oxford University Press.

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