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Giovanni Pierluigi da Palestrina, le Litanie: ricerca e interpretazione musicale. Alla riscoperta della voce eterna della bellezza

Giovanni Pierluigi da Palestrina viene ricordato quale massimo esponente della polifonia rinascimentale e simbolo della musica sacra del Cinquecento, lasciandoci un patrimonio artistico di inestimabile valore. Tra le sue opere meno celebrate ma ugualmente significative spiccano le Litanie della Beata Vergine, composizioni liturgiche che incarnano la profondità spirituale e il rigore contrappuntistico tipici del suo stile. Recenti studi insieme a sporadiche registrazioni discografiche hanno riportato l’attenzione su queste pagine, rivelando nuove prospettive interpretative.


Nell'ambito del convegno al Pontificio Istituto di Musica Sacra, Palestrina500 - Music, notation, and architecture: un dialogo interdisciplinare sulla prassi esecutiva del grande compositore rinascimentale, il Prof. Giancarlo Rostirolla, eminente musicologo e presidente della Fondazione Giovanni Pierluigi da Palestrina, ci ha parlato delle Litanie del Palestrina, considerate a torto opere minori del compositore prenestino. Il suo intervento è stato fondamentale nel  sottolineare l’obiettivo del convegno.

Giancarlo Rostirolla ha dedicato decenni alla riscoperta critica dell’opera palestriniana. Quale storico della musica e accademico romano, tra i massimi conoscitori del patrimonio musicale ecclesiastico italiano, nonché curatore di edizioni critiche e autore di studi fondamentali su Palestrina, ha intrapreso un meticoloso lavoro di analisi delle fonti manoscritte e delle edizioni storiche. Rostirolla ha ricostruito in tal senso, il contesto liturgico e culturale in cui nacquero le litanie, sottolineandone il ruolo nel repertorio mariano della Controriforma. 

Le sue ricerche, pubblicate in saggi e conferenze come questa, hanno chiarito aspetti fondamentali: dalla struttura formale delle litanie (suddivise in invocazioni e risposte corali) alla loro funzione devozionale, molto spesso legata a processioni o festività dedicate alla Vergine. 

Come evidenziato da Rostirolla, le litanie rappresentano un esempio di come la polifonia possa essere al contempo complessa e accessibile. Gli studi di Rostirolla hanno sottolineato l’uso sapiente di cantus firmus e imitazioni nelle litanie, tecniche che Palestrina impiega per esaltare il testo sacro senza tradirne il significato. Lo studioso ha evidenziato come Palestrina adattasse il linguaggio polifonico alle esigenze di chiarezza testuale richieste dal Concilio di Trento, bilanciando complessità armonica e accessibilità emotiva. Questo approccio ha reso le litanie non solo preghiere musicali, ma anche modelli di equilibrio tra innovazione e tradizione.

Un elemento cruciale per comprendere le Litaniae de Beata Virgine Maria di Palestrina è il loro legame con le confraternite mariane attive nella Roma del Cinquecento; tra queste spicca in particolare la Compagnia del Santissimo Rosario, istituita presso la Basilica di Santa Maria Sopra Minerva. Questa congregazione, legata all’Ordine Domenicano e dedita alla devozione del Rosario, commissionò numerose opere musicali per le sue processioni e celebrazioni liturgiche, trasformandosi in un importante committente per compositori dell’epoca.  

Le litanie palestriniane, nello specifico quelle composte per sei voci, erano concepite per accompagnare processioni solenni o riti mariani, come quelli del mese di maggio o della festa del Rosario (istituita nel 1573 dopo la battaglia di Lepanto). La struttura stessa delle litanie – una successione di invocazioni ripetute (Sancta Maria, Ora pro nobis) - si adattava perfettamente al movimento processionale, creando un ritmo cadenzato che guidava i fedeli nella preghiera collettiva.  

Pur nella complessità polifonica, Palestrina mantiene una chiarezza testuale essenziale, affinché le parole potessero essere intese dai partecipanti. Questo equilibrio tra arte e funzione, come dicevo, riflette le esigenze della Controriforma, che promuoveva una musica sacra coinvolgente ma non distraente. La scelta di testi come Regina Sacratissimi Rosarii o l’insistenza su titoli come Mater purissima potrebbe collegarsi alla spiritualità domenicana, che enfatizzava la purezza della Vergine e il ruolo mediatore del Rosario.  

La confraternita della Minerva, formata da ecclesiastici, nobili e borghesi romani, era una delle più influenti della città. Commissionare musica a Palestrina – all’apice della sua fama – serviva di fatto a celebrare il prestigio della congregazione, associandola al massimo genio musicale del tempo e a rafforzare l’identità mariana in risposta alla Riforma protestante, che contestava il culto dei santi. Non ultimo a creare un ponte tra liturgia e popolo: le litanie, eseguite durante processioni pubbliche, univano arte colta e partecipazione popolare, diventando strumento di evangelizzazione.  

Importante sottolineare che è proprio la destinazione processionale delle litanie a spiegare alcune scelte compositive di Palestrina, come ad esempio la struttura antifonale, ovvero l’alternanza tra semicori (soprani/contralti vs. tenori/bassi) nelle invocazioni Agnus Dei o Mater Christi qui è finalizzata a creare un effetto di movimento sonoro, come se i gruppi vocali si passassero la preghiera durante l’avanzare del corteo. L'uso del registro grave con le linee dei bassi, salde e ipnotiche, potrebbero evocare il passo lento dei fedeli, mentre i soprani echeggiano come voci angeliche dall’alto. La ripetizione ritmica con il motivo Ora pro nobis, ricorrente dopo ogni invocazione, agisce da ritornello meditativo, facilitando la memorizzazione e la partecipazione interiore.  

Da quanto si può evincere, la musica rappresentava un atto devozionale collettivo. Ed in questo contesto le litaniae di Palestrina non sono solo capolavori d’arte, ma testimonianze di un dialogo tra fede, potere e cultura. Le diverse compagnie religiose della Roma di quel tempo, attraverso queste composizioni, trasformavano le strade di Roma in un teatro sacro, uno spazio sonoro dove la polifonia si faceva strumento di unità comunitaria. 

Esemplificativa una registrazione consigliata da Rostolla proprio per comprendere fattivamente  l’essenza devozionale delle litanie. Ascoltando la mirabile esecuzione del Choir Of King's College e del Choir Of St. John's College, diretti da David Willcocks e Geroge Guest, si può notare un andamento non troppo lento che permette di immaginare un corteo in movimento, evitando un’eccessiva monumentalità. I crescendo nelle acclamazioni (Regina virginum) e i diminuendo nelle suppliche (miserere nobis) simulano l’avvicinarsi e allontanarsi del coro durante la processione in una dinamica ad onde. La pronuncia è chiara; il latino è articolato con una dizione impeccabile, rispettando l’esigenza di comprensione voluta dalla confraternita. La precisione nell’intonazione, l’attenzione alla retorica musicale e la coesione tra le voci in questo CD sono encomiabili. Willcocks e Guest, direttori e musicologi, dimostrano una profonda comprensione dello stile retorico del Cinquecento, bilanciando espressività e rispetto filologico.

Un aspetto interessante evidenziato da Rostirolla nel convegno, e spesso trascurato nelle litanie mariane di Palestrina, è il loro legame con la policoralità,  tecnica tipica della scuola veneziana del Cinquecento (esemplificata da Willaert e i Gabrieli), basata sul dialogo tra gruppi corali distinti. Sebbene Palestrina sia associato principalmente allo stile polifonico "romano" - caratterizzato da equilibrio, omogeneità e linearità contrappuntistica - nelle litaniae emerge un approccio innovativo che rivela influenze transregionali.

Nelle litanie, Palestrina non adotta la policoralità "spaziale" veneziana (con cori fisicamente separati, come in San Marco), ma sperimenta una stratificazione di gruppi vocali all’interno di un unico ensemble. Nello specifico le sei voci (SSATTB) sono organizzate in un tessuto che alterna sezioni omoritmiche, dove tutte le voci si muovono in blocchi accordali, evocando un effetto quasi corale "a doppio coro" (es. nelle invocazioni Sancta Maria o Mater Christi). I passaggi imitativi sono divisi in sottogruppi, come negli Agnus Dei finali, dove i soprani e i contralti dialogano con tenori e bassi, creando un’illusione di profondità spaziale. Climax a pieno organico, come nell’acclamazione Regina virginum, dove le voci convergono in una scrittura densa, anticipando la maestà del Barocco sacro.

Questa struttura, pur mantenendo la fluidità tipica del linguaggio palestriniano, suggerisce un adattamento creativo della policoralità veneziana, filtrata attraverso l’estetica romana della chiarezza testuale e della moderazione espressiva.

Questa lettura è importante in quanto dimostra come Palestrina, pur rimanendo fedele ai dettami tridentini, abbia assorbito stimoli esterni. Le litanie, composte negli ultimi anni della sua vita (1580-1590), riflettono un maturo interesse per la sperimentazione, anticipando tendenze che fioriranno nel primo Barocco. 

Le Litaniae de Beata Virgine Maria rivelano un Palestrina inedito, lontano da quel "salvatore della polifonia" idealizzato erroneamente dalla leggenda post-tridentina, ma un compositore capace di assimilare linguaggi diversi. Pur non esplicitando la policoralità in modo teatrale (come farebbe un ensemble veneziano), Palestrina ne coglie l’essenza attraverso una scrittura colta e raffinata, confermando che la sua grandezza risiede proprio nella sua capacità di unire tradizione e audacia.

Da quanto esposto, non dobbiamo dimenticare che le litanie di Palestrina rappresentano un tassello fondamentale per comprendere l’evoluzione della musica sacra europea. Attraverso l’impegno di istituzioni come la Fondazione Palestrina e del presidente Giancarlo Rostirolla, questo patrimonio viene preservato e valorizzato. In un’epoca di rapidi cambiamenti, riscoprire tali capolavori è un invito ad ascoltare, con orecchie nuove, la voce eterna della bellezza.

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