Cipriano de Rore: New Perspectives. Un illuminante riferimento accademico sulla figura "originale" e "inventiva" del compositore fiammingo
Il volume "Cipriano de Rore: New Perspectives on His Life and Music", curato da Jessie Ann Owens e Katelijne Schiltz, si presenta come una pietra miliare negli studi dedicati a questo compositore cinquecentesco. Nonostante la sua straordinaria fama contemporanea e postuma, Rore è stato sorprendentemente trascurato dalla ricerca musicologica, mancando persino di una biografia autorevole, di un catalogo ragionato e di un'edizione critica completa della sua musica. Questa pubblicazione mira a colmare queste lacune, riunendo i maggiori esperti attuali di Rore e incoraggiando nuove esplorazioni della sua vita e delle sue opere.
"Inventif", così nel 1586 il poeta Jean Mégnier descrisse Cipriano de Rore; un compositore che cercava "nouveaux accords". Mégnier elogia Rore con questo termine che lo definiva sia "originale" che "inventivo". La lode del poeta francese sottolinea la grande considerazione che il compositore fiammingo aveva, proprio per essere caratterizzato da originalità e da una grande capacità di inventare e creare nuove idee musicali. Mégnier lo associò ai grandi fiamminghi Josquin, Willaert e Orlando di Lasso. A Rore rimase l’epiteto «il divino Cipriano».
Come dicevo, Cipriano de Rore appartiene al raro (o forse non così raro) gruppo di compositori del XVI secolo la cui straordinaria fama, sia contemporanea che postuma, è accompagnata da un'altrettanto notevole negligenza da parte dei ricercatori. In mancanza di una biografia autorevole, di un catalogo ragionato e persino di un'edizione critica della sua musica (non è fornito alcun apparato critico nell'edizione di Bernhard Meier in Corpus mensurabilis musicae), gli studi su Rore sono stati a lungo destinati a essere dominio esclusivo di pochi individui.
La presente pubblicazione segna un passo decisivo verso il superamento di questi impedimenti. Riunendo la crema degli attuali esperti di Rore e spingendo altri a esplorare la sua vita e le sue opere, Jessie Ann Owens (un nome familiare negli studi su Rore) e Katelijne Schiltz hanno messo insieme un volume pionieristico che è allo stesso tempo informativo e stimolante.
Come promette il titolo, il volume, parte della collana Epitome Musicale (Brepols Publishers), offre "nuove prospettive" sulla biografia di Rore, le sue fonti e il suo repertorio, approcci analitici alla sua musica e il suo posto negli studi di inizio Novecento.
Apro una mia breve e personale parentesi, per consigliarvi l'ascolto di due brani di Rore in cui sono particolarmente evidenti alcune delle caratteristiche principali del suo stile che lo hanno portato ad essere considerato anticipatore del Barocco. In termini di armonia funzionale embrionale, in Ancor che col partire, noterete che le dissonanze non sono solo decorative, ma guidano la direzione armonica (come farà proprio il basso continuo nel Barocco); ed ancora in termini di espressività teatrale, le sue sospensioni cromatiche sono legate al significato del testo, precorrendo la seconda prattica di Monteverdi. Nel madrigale Da le belle contrade, è evidente l'uso della musica ficta estrema con alterazioni non scritte per creare sensibili "artificiali": alterazioni non scritte che modificano i modi ecclesiastici per ottenere cadenze più convincenti, usando dissonanze controllate; un esperimento che nel Rinascimento fu cruciale per la nascita dell’armonia tonale.
La sezione biografica si apre con il contributo di Bonnie Blackburn, celebrata per la sua abilità di ricercatrice. Blackburn ha sapientemente estratto nuove informazioni da fonti primarie note e ha scoperto materiale significativo negli archivi italiani, gettando nuova luce sulla prima carriera italiana di Rore prima del suo impiego a Ferrara nel 1546, a lungo avvolta nel mistero. Con cautela, la musicologa utilizza prove circostanziali per delineare i possibili contorni della rete di mecenati e colleghi musicisti frequentati da Rore a Brescia, tra cui il conte Fortunato Martingengo Cesaresco e i compositori Palazzo del Fano e Nolet.
Laura Stras esplora le relazioni musicali di Rore con due dame della corte estense. Il musicista fu coinvolto nelle complesse trattative matrimoniali per le figlie del duca Ercole II, e il suo mottetto Hesperiae cum laeta potrebbe essere stato inviato al promesso sposo di una delle figlie, il re polacco Sigismondo Augusto. Rore contribuì anche con musica alla tragedia Selene e potrebbe aver scritto alcune sue composizioni su testi di Ariosto per mettere in mostra le abilità canore delle duchesse Anna e Lucrezia. Stras suggerisce che alcuni madrigali nel secondo libro a quattro voci di Rore dimostrino una sua presa di posizione a favore della moglie separata di Ercole, Renée.
Franco Piperno sottolinea il legame di de Rore con un altro importante mecenate italiano, Guidubaldo II della Rovere, duca di Urbino. Discute di diverse opere occasionali, madrigali e mottetti, che furono scritti sia all'inizio degli anni italiani di Cipriano sia verso la fine della sua vita. Piperno sostiene che la musica di de Rore non solo ebbe una profonda influenza sulla vita musicale alla corte di Urbino, ma fu anche determinante nel rafforzare i legami di Guidubaldo con altri sovrani e corti, come Ottavio Farnese a Parma, l'ultimo mecenate di de Rore.
La seconda parte del volume è dedicata a studi sulle fonti e sul repertorio. Kate van Orden analizza l'anomala raccolta di "madregali chromatici" di Rore del 1544, un unicum sia all'interno della sua produzione che nel contesto dei madrigali cosiddetti black-note contemporanei. Contrariamente all'opinione comune che vede opere come Per mezz' i boschi come anticipatrici di sviluppi successivi, van Orden ne rivela invece il debito con le chansons di Janequin.
Massimo Ossi delucida l'ingegnosa disposizione programmatica del primo libro di madrigali a cinque voci di Rore (1542) basata su parametri poetici e letterari, pur riconoscendo le diverse logiche di riorganizzazione adottate dai successivi editori.
Katelijne Schiltz isola un sottogruppo di 23 mottetti a voci pari all'interno della vasta produzione di mottetti di Rore, dimostrando come essi rappresentino un legame tra le antiche tradizioni francesi e i mottetti della Musica nova di Willaert. Alcuni di questi mottetti figuravano in un lussuoso corale del tribunale di Monaco, attraverso il quale il duca Alberto V rese omaggio a Rore.
Andrea Gottdang offre una rivalutazione dell'illuminazione di questo codice da parte di Hans Mielich, sostenendone la rilevanza artistica.
Bernhold Schmid introduce un curioso adattamento tedesco della chanson di Rore Susanne un jour, documentato in fascicoli manoscritti provenienti dalla Slesia, offrendo un panorama delle risposte compositive a questa celebre melodia nel XVI secolo.
La terza sezione affronta la sfida dell'analisi della musica di Rore. John Milsom offre una magistrale esposizione sulla "fuga flessa" di Rore, svelando caratteristiche chiave della sua strategia contrappuntistica. In una serie di casi di studio, Milsom esplora le sue teorie sulla fuga nelle prime opere di de Rore, giungendo alla conclusione che Cipriano spesso fletteva la sua fuga, il che significa che aggiustava intervalli e/o durate mentre il soggetto passava da una voce all'altra. Oltre a sviluppare un vocabolario per discutere il fenomeno della fuga flessa, Milsom cerca di capire come questi pezzi sono stati composti e indaga la progettazione di ogni composizione sullo sfondo di considerazioni modali e testuali.
Il madrigale e la sua ricezione nella camerata fiorentina sono l'argomento del saggio di Hartmut Schick. Egli si interroga sul perché la Camerata potesse considerare Rore un'influenza e un modello, nonostante le apparenti differenze estetiche, analizzando in particolare i tardi madrigali del musicista e le loro licenze contrappuntistiche come precursori della monodia. L'impostazione madrigale a quattro voci di De Rore del sonetto O sonno di Giovanni della Casa circolò ampiamente tra le generazioni successive di compositori: Giovanni de' Bardi la menziona, insieme ad altri madrigali di Cipriano, nel suo Discorso sopra la musica antica e' cantar bene, indirizzato a Giulio Caccini (1578-79). Schick analizza il brano in termini di trattamento del testo e linguaggio armonico e contestualizza l'impostazione di de Rore confrontandola con altri madrigali tardivi del compositore e con il madrigale eponimo di Giaches de Wert. Il fatto che l'impostazione di O sonno di quest'ultimo, pubblicata nel 1558 (solo un anno dopo la versione di de Rore) sia molto più contrappuntistica del pezzo omofonico-declamatorio di de Rore, sembra indicare la conclusione che solo nelle sue raccolte successive Wert avrebbe adottato lo stile successivo di de Rore.
Jessie Ann Owens dimostra l'anticipazione da parte di Rore di sviluppi successivi come la seconda prattica di Monteverdi attraverso un'analisi approfondita di Dissimulare etiam sperasti, una rielaborazione selettiva del lamento di Didone dal quarto libro dell'Eneide di Virgilio, offrendo uno studio dettagliato di quella che è una delle opere laiche di Cipriano in testo latino. In questo discorso, viene mostrata un'ampia gamma di emozioni e Owens analizza le strategie di de Rore per la loro rappresentazione drammatica in musica. Una delle caratteristiche più evidenti di Dissimulare etiam sperasti è che il numero di voci aumenta da cinque a sei a sette, un arrangiamento unico nell'opera di de Rore, creando così una sorta di crescendo. Ma ha anche cercato di sottolineare lo stato emotivo di Didone attraverso un uso intelligente della ripetizione testuale, della scrittura omofonica e delle scelte armoniche, in particolare dei cambiamenti nella gamma tonale. Owens collega questo con l'altrettanto sorprendente ambientazione di Claudio Monteverdi: il famoso Lamento d'Arianna, scoprendo sorprendenti parallelismi espressivi tra le due ambientazioni, che potrebbero non solo suggerire che Monteverdi conoscesse l'ambientazione del discorso di Didone di de Rore, ma anche che l'esplorazione della rappresentazione delle emozioni femminili non inizia con lui, ma risale almeno a Cipriano.
Anthony Newcomb si concentra su tre madrigali, tutti pubblicati postumi e la cui attribuzione è stata messa in dubbio: Che giova dunque e Alme gentili, entrambi stampati nella raccolta Musica di XIII. autori illustri del 1576, e Se com'il biondo crin dal quinto libro di madrigali di de Rore (1566). Le analisi di Newcomb, che tengono conto del trattamento di Cipriano dei momenti cruciali del testo, delle ripetizioni varie, delle cadenze e di altre caratteristiche, sostengono che questi madrigali rappresentano tre lati distinti dell'opera madrigalesca tarda di de Rore.
L'ultimo saggio infine, a cura di Sebastian Bolz, affronta la reputazione del musicista attraverso la lente della storiografia musicale, distaccandosi dalla figura storica di Rore, per esaminare ed analizzare la sua posizione all'interno del Madrigale italiano di Alfred Einstein e le influenze storiografiche e accademiche che hanno plasmato il pensiero del noto musicologo e critico musicale tedesco.
Nonostante alcune omissioni, come l'assenza di studi sulle messe, i magnificat e altre composizioni liturgiche di Rore, o sull'assimilazione delle sue opere in successive messe e magnificat di Palestrina e Lasso, questo volume si configura come una pietra miliare destinata a diventare un compagno indispensabile per i futuri studiosi di Rore e un punto di svolta nella ricerca sulla sua vita e la sua musica. L'uso di carta patinata, la ricchezza di esempi musicali e tavole (in bianco e nero e a colori) e l'elegante design editoriale si addicono a un compositore che dedicava tanta cura alla concezione delle sue opere.
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