Fauxbourdon: dai cori sacri alle voci gospel, l’eredità segreta di Guillaume Du Fay. La musica come DNA culturale nel percorso degli accordi paralleli
Il fauxbourdon, tecnica armonica sviluppata nel XV secolo dal compositore franco-fiammingo Guillaume Du Fay, rappresenta una delle radici più affascinanti della musica occidentale. Sebbene nato per esaltare testi liturgici con un tessuto sonoro dolce e chiaro, il suo uso di accordi paralleli ha trovato un’eco inaspettata nella musica gospel moderna, dove le voci intrecciate creano un effetto ipnotico e commovente. Un breve articolo in cui intendo esplorare come una pratica medievale abbia influenzato, direttamente o indirettamente, uno degli stili vocali più iconici del XX e XXI secolo.
Archibald John Motley Jr. Tongues (Holy Rollers), 1929. © Archibald John Motley Jr. Courtesy of the artist’s estate.
Il fauxbourdon (dal francese "falso bordone") nasce come forma di armonizzazione a tre voci, caratterizzata da un movimento parallelo degli intervalli di sesta e quarta rispetto alla melodia principale. Come evidenziato dalla musicologa Margaret Bent, Du Fay è considerato uno dei principali innovatori di questa tecnica che la utilizzò proprio per creare un tessuto sonoro più fluido e consonante, ideale per sottolineare i testi sacri senza oscurarne il significato.
Evidenziandone la struttura tipica, osserviamo che la melodia principale, spesso derivata da un canto gregoriano, è affidata alla voce superiore (cantus firmus). La voce centrale si muove a una quarta sotto la melodia, completando l’accordo in prima inversione, mentre la voce inferiore (basso) procede a una sesta sotto la melodia, creando un tappeto di terze e seste parallele. Come cita Fallows, esempi emblematici includono il mottetto Supremum est mortalibus e l’inno Ave maris stella, dove Du Fay combina semplicità armonica e espressività devozionale.
In sostanza la struttura del fauxbourdon, è di fatto una successione di accordi (di solito in posizione radice) che cambiano seguendo il testo o la melodia. Questa successione genera un movimento dinamico, con progressioni armoniche che accompagnano il ritmo delle parole. Il termine “falsobordone” scaturì dal fatto di imitare superficialmente l’effetto del bordone, generalmente un suono fisso, ma in realtà lo “inganna”: invece di una nota statica, usa appunto accordi che si muovono in modo controllato, creando un’armonia più ricca.
Tanto per fare un parallelo esemplificativo, la struttura del bordone si basa su una singola nota (o due note fisse, come negli strumenti folk) che non cambia durante l’esecuzione. Il movimento è statico, come una sorta di ronzio continuo. Esempi famosi di bordone sono il suono più grave della cornamusa, il suono costante del didjeridoo, strumento a fiato suonato facendo vibrare le labbra per produrre appunto un bordone, o un organo che tiene una nota fissa, ad esempio un “DO” per tutto un brano, il cui scopo è quello di creare un sostegno armonico semplice, ma anche un’atmosfera alquanto ipnotica.
La differenza tra i due, è che il fauxbourdon risulta essere ovviamente una struttura armonica più articolata, legato al ritmo delle parole, tipica della musica rinascimentale, mentre il bordone è di fatto una nota fissa, slegata dal testo, utilizzata perlopiù in chiave meditativa; un classico esempio è la musica folk. All'ascolto la differenza salta subito all’orecchio: il bordone è monotono, il falsobordone ha un respiro armonico.
Il fauxbourdon nacque in un’epoca di transizione, in cui la musica sacra cercava un equilibrio tra complessità polifonica e chiarezza testuale. A differenza del falsobordone rinascimentale (basato su accordi in posizione fondamentale), il fauxbourdon come ci fa notera Allan W. Atlas, privilegiava le prime inversioni, generando un effetto più "liquido" e meno austero.
Spiega Planchart che Du Fay sfruttò questa tecnica in inni e mottetti, come nel Missa Sancti Jacobi, dove l’armonia parallela avvolgeva il testo sacro senza sacrificarne l’intelligibilità. Questo approccio influenzò compositori successivi, tra cui Gilles Binchois e Johannes Brassart, contribuendo all’evoluzione della polifonia rinascimentale.
Sebbene il fauxbourdon sia associato alla musica medievale, il suo principio di armonia parallela ha attraversato i secoli, riemergendo in forme inaspettate. Nei cori gospel, soprattutto nel repertorio afroamericano del XX secolo, le voci spesso si muovono in terze e seste parallele, creando un effetto di profonda unità emotiva.
Alcuni esempi di gospel sono Oh Happy Day (Edwin Hawkins), dove le voci femminili seguono la melodia principale in terze, evocando un effetto simile al fauxbourdon. In Amazing Grace (arrangiamenti tradizionali), gli accordi paralleli delle sezioni corali ricordano proprio la fluidità delle composizioni di Du Fay. Questo parallelismo non è casuale: entrambi gli stili privilegiano la chiarezza del testo e l’immediatezza emotiva, ottenute attraverso un’armonia accessibile ma espressiva.
Ricercando analogie tecniche, nel movimento parallelo, sia nel fauxbourdon che nel gospel, le voci secondarie seguono la melodia principale a intervalli fissi, creando un tessuto sonoro coerente. Entrambe sono indirizzate ad un focus sul testo, in quanto la semplicità armonica permette alle parole di risaltare, sia in un mottetto sacro del XV secolo sia in un spiritual moderno. L'effetto voluto è comunitario: entrambe le tradizioni nascono in contesti collettivi (liturgie medievali e chiese protestanti), dove la musica unisce i partecipanti in un’esperienza condivisa.
Ovviamente l’influenza del fauxbourdon non si limita al gospel. Tecniche simili appaiono anche nella musica classica romantica (es. cori di Mendelssohn) e persino nel jazz (armonizzazioni di Duke Ellington). Tuttavia, è nel gospel che l’eredità di Du Fay si manifesta con maggiore evidenza, trasformando una pratica medievale in un linguaggio universale di fede e speranza.
Il fauxbourdon di Guillaume Du Fay dimostra come le idee musicali possano sopravvivere ai secoli, adattandosi a nuovi contesti senza perdere la loro essenza. Dai cori monastici alle chiese afroamericane, gli accordi paralleli continuano a unire le voci in un dialogo senza tempo, testimoniando il potere della musica di trascendere confini storici e culturali.
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