Lunedì 5 maggio 2025, la Galleria Borghese ospita un evento straordinario che intreccia arte, musica e storia: il concerto conclusivo del progetto di ricerca “I Borghese e la Musica”, un’iniziativa che dal 2021 ha restituito voce alle committenze musicali della famiglia Borghese nei secoli XVII e XVIII. Il protagonista della serata è Georg Friedrich Haendel, celebrato con un programma che ne illumina la stagione romana e i suoi successivi sviluppi stilistici: il Concerto grosso op. 6 n. 9, il Concerto in si bemolle maggiore per arpa e orchestra e il celebre Dixit Dominus, composto proprio nella Città Eterna.
Lionello Spada, Concerto, 1615 presso Galleria Borghese
Il concerto, diretto dal Maestro Riccardo Martinini e ospitato nella sontuosa Sala degli Imperatori, è preceduto da un’apertura straordinaria della Galleria alle ore 19.30. L’ensemble orchestrale e la Cappella musicale di Villa Medici — la cui partecipazione testimonia il legame culturale tra la Galleria Borghese e l’Accademia di Francia a Roma — eseguiranno musiche che incarnano il profondo legame tra il giovane compositore tedesco e il milieu artistico romano.
Il Dixit Dominus (HWV 232), composto da Haendel a soli 22 anni durante il soggiorno romano del 1707, è una delle sue più brillanti e ardite opere corali. L’autografo è conservato presso la British Library e riporta la data precisa del 11 aprile 1707. Come ha scritto Winton Dean, il Dixit «non è affatto un esercizio giovanile, ma una prova di maturità sorprendente». Diviso in nove sezioni, fonde la tradizione policorale italiana con una scrittura armonica audace e vigorosa. Il coro a cinque voci, l’uso drammatico delle dissonanze, i passaggi fugati e la tensione declamatoria rivelano l’influenza di Carissimi e Corelli, ma già con un timbro inconfondibilmente personale.
Il secondo brano in programma, il Concerto grosso in fa maggiore op. 6 n. 9 (HWV 327), fa parte di una raccolta pubblicata a Londra nel 1740 dall’editore John Walsh, con il titolo Twelve Grand Concertos in Seven Parts. Si tratta di un omaggio evidente al modello corelliano, come sottolineano musicologi come Anthony Hicks e Donald Burrows. La struttura dialogica tra concertino (quattro violini, viola, violoncello) e ripieno, impreziosita dal basso continuo e dal clavicembalo, richiama la lezione del Concerto op. 6 di Corelli (pubblicato postumo nel 1714), ma la scrittura haendeliana è più libera, drammatica, spesso teatrale.
È noto che Haendel fu introdotto ai salotti musicali romani grazie a mecenati come il cardinale Ottoboni e che proprio Arcangelo Corelli diresse due suoi oratori, Il trionfo del tempo e del disinganno (1707) e La resurrezione (1708). Alcune fonti — come Charles Burney e John Mainwaring — riferiscono di attriti tra i due musicisti, ma è innegabile che Haendel assimilò e rielaborò profondamente lo stile corelliano.
La terza composizione in programma, il Concerto in si bemolle maggiore op. 4 n. 6 (HWV 294), scritto nel 1736 e pubblicato nel 1738, si distingue per essere uno dei rari concerti barocchi concepiti per arpa solista. Originariamente inserito come intermezzo nell’oratorio La festa d’Alessandro, fu eseguito da una giovane arpista nota come “Miss Powell”. Come dimostra il manoscritto della King’s Library al British Museum, l’opera fu inizialmente pensata proprio per arpa, e non per organo, come la stampa successiva potrebbe far supporre.
Grazie agli studi di Chiara Granata e Riccardo Pisani, oggi sappiamo che l’arpa a Roma godeva di grande considerazione e innovazione meccanica, specie durante il pontificato di Paolo V Borghese, periodo in cui fiorirono costruttori e arpisti di altissimo livello.
Il concerto del 5 maggio conclude simbolicamente un lungo percorso multidisciplinare. Il progetto “I Borghese e la Musica”, ideato da Geraldine Leardi sotto la direzione di Francesca Cappelletti, ha generato non solo due pubblicazioni scientifiche — I Borghese e la musica (2022) e La Galleria e la musica (in corso) — ma anche oltre 200 performance, video, conferenze e una rassegna originale, Amorosi Affetti, che ha accompagnato i visitatori della Galleria tra arte e suono.
Le ricerche, ispirate dagli studi pionieristici del musicologo Jean Lionnet sull’Archivio Borghese, hanno messo in luce la Scuola pre-corelliana, le sperimentazioni sulla liuteria, le missioni gesuite in Cina, il ruolo mecenatizio di Livia Spinola, e persino una mappatura iconografica degli strumenti musicali presenti nelle opere della Galleria.
Tra i progetti più originali figura anche il Coro Borghese, composto dal personale stesso del museo, che ha debuttato con musiche di Haendel, Carissimi e Purcell, incarnando pienamente l’idea di una fruizione culturale condivisa.
Haendel a Roma non è solo un evento musicale: è la sintesi di un metodo che unisce rigore musicologico e spirito divulgativo, restituendo vita e contesto a un patrimonio immateriale che rischiava l’oblio. Attraverso la musica di Haendel, la Galleria Borghese torna a essere non solo un tempio dell’arte visiva, ma un luogo vibrante di suono, ricerca e memoria.
Commenti
Posta un commento