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Il manoscritto 1576 della Biblioteca Universitaria di Bologna e il codice Angelica 123: un dialogo tra notazioni neumatiche e contesto culturale

Tra le pubblicazioni della Biblioteca Universitaria di Bologna, troviamo questo interessante contributo a cura della musicologa Milena Basili che si presenta come una avvincente indagine storica sulla notazione neumatica bolognese. Il libro è inserito nel circuito Open Access della biblioteca, allo scopo di valorizzare concretamente il patrimonio accademico e studentesco italiano, promuovendo una circolazione culturale libera e internazionale, grazie alla condivisione di fonti e ricerche rilevanti.


Il manoscritto 1576 della Biblioteca Universitaria di Bologna e il codice Angelica 123 di Roma rappresentano due capitoli fondamentali nello studio della notazione musicale medievale italiana. Entrambi, prodotti nell’XI secolo, custodiscono una grafia neumatica definita "bolognese" per le sue peculiarità agogiche e ritmiche. Sebbene condividano tratti grafici distintivi – come l’uso di neumi inclinati e legature complesse – la loro relazione rimane un enigma. 

BO1576, un passionario-breviario membranaceo in grafia carolina, è composto da 218 carte con notazioni adiastematiche. A123, graduale-tropario, è celebre per l’eleganza del tratto neumatico e il legame con la liturgia romana. Inizialmente attribuiti a Nonantola, studi di Luciano Gherardi ed Edward Garrison hanno collegato entrambi i codici all’ambiente bolognese: Garrison li attribuisce allo scriptorium del monastero di S. Stefano, mentre Gherardi associa A123 alla cattedrale di S. Pietro, sottolineandone la funzione episcopale.

L’indagine della Basili rivela forti affinità tra le due notazioni, come l’impiego di virga, tractulus, e forme liquescenti (es. torculus con attacco leggero). Entrambi i codici utilizzano segni speciali quali lo scandicus all’unisono, indicando una comune sensibilità performativa. Tuttavia, A123 si distingue per un tratto più raffinato e costante, mentre BO1576 mostra occasionali trascuratezze calligrafiche e assenza di elementi come il porrectus praepunctis a doppio occhiello.

La diversa destinazione liturgica – breviario monastico per BO1576, graduale per A123 – impedisce confronti diretti sui repertori, ma il raffronto con altri testimoni (es. il graduale modenese O.I.13 e frammenti di Cesena e Ravenna) evidenzia la diffusione regionale della notazione bolognese, adattata a esigenze locali.

BO1576 include testi agiografici dedicati a San Petronio, riflettendo l’attività dello scriptorium legato all’abbazia di San Salvatore. A123, analizzato da Massimiliano Locanto, privilegia tropi legati alla liturgia romana, strumento di coesione politica e religiosa nell’Italia centrale. Come sottolinea Cesarino Ruini, la notazione medievale non è mai neutra: è veicolo di identità istituzionali e legittimazione del potere ecclesiastico.

La “coevità” dei codici si intreccia con il ruolo delle scrittorie monastiche nell’XI secolo. Secondo Thomas Forrest Kelly, l’Italia fu crocevia di innovazioni grafiche, con centri come Nonantola che fungevano da nodi culturali. BO1576, con la sua precisione ritmica, potrebbe risentire della riforma gregoriana, mentre A123, con i tropi elaborati, riflette pratiche performative romane.

Nonostante le affinità grafiche, le differenze liturgiche e geografiche suggeriscono che i due manoscritti appartengano a tradizioni parallele, sviluppate in contesti distinti ma dialoganti. BO1576, forse espressione di una fase primitiva della notazione bolognese, è testimone fondamentale per ricostruire l’evoluzione di questa grafia, dimostrando come la paleografia musicale sia archeologia della cultura medievale, dove ogni segno racchiude storia vivente.

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