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Percorsi epistemologici nella musicologia: dalla scienza medievale alla new musicology. Metodologie a confronto e prospettive future

La musicologia, disciplina strutturata metodologicamente e affermatasi come campo professionale nel Novecento, rappresenta un crocevia tra scienza, arte e cultura. Questa breve indagine ne vuole ripercorrere l’evoluzione attraverso snodi storici, dibattiti metodologici e prospettive future, con particolare attenzione al contributo di studiosi come Margaret Bent nel ridefinirne i confini epistemologici, dalla riscoperta delle pratiche analitiche medievali alle contaminazioni interdisciplinari del XX secolo.


Unica tra le belle arti a adottare il suffisso “-logia”, la musicologia incarna un’aspirazione alla sistematicità accademica. Il termine, derivato dal tedesco Musikwissenschaft (scienza della musica), riflette una vocazione analitica distinta dalla mera speculazione estetica. Sebbene riflessioni sulla musica affondino nell’antichità, la sua emancipazione come disciplina autonoma dalla filosofia e dalla storia dell’arte si consolida solo nel XX secolo, con il riconoscimento della musica come fenomeno culturale poliedrico.

Nel Medioevo, la musica occupava un ruolo centrale nelle artes liberales, studiata come scientia mathematica legata alle proporzioni cosmiche. La figura del musicus (teorico) godeva di prestigio superiore al cantor (esecutore), riflettendo una dicotomia platonica tra astrazione teorica e concretezza sonora. Margaret Bent, musicologa ed esperta di teoria medievale dell'Università di Oxford, evidenzia come questa separazione non costituisse una frattura, bensì un ponte concettuale verso sviluppi futuri.

Opere fondamentali come i trattati di Guido d’Arezzo (XI secolo) sulla notazione musicale o quelli di Marchetto da Padova (XIV secolo) sui modi, univano astrazione matematica a esigenze pratiche, definendo regole per la composizione liturgica. Allo stesso modo, il De musica di Boezio (VI secolo) fondeva principi acustici con conoscenze tecniche, anticipando l’organologia moderna. Questi testi, Come osserva ancora Margaret Bent, non erano mere speculazioni: classificavano modi e intervalli per guidare compositori e costruttori di strumenti, creando un lessico tecnico (es. “contrappunto”, “modo”) ancora oggi vitale.

L’Ottocento segna l’emergere di un interesse storico per la musica, con istituzioni come la Royal Musical Association (1874), che coniugava arte e scienza, e la pubblicazione di opere enciclopediche come la Biographie universelle des musiciens di Fétis. Tuttavia, come nota Carl Dahlhaus, l’assenza di un equivalente delle Vite vasariane rifletteva la marginalità della musica nel pantheon delle arti “maggiori”.

Il XX secolo vide la musicologia affermarsi accademicamente, con specializzazioni come l’organologia e l’iconografia musicale. In Italia, spiccarono contributi filologici e archivistici (Lorenzo Bianconi), mentre in Germania prevaleva un approccio integrato tra teoria ed esecuzione. L’orizzonte si ampliò includendo tradizioni popolari e world music, influenzato dall’etnomusicologia e da dinamiche politiche, come la costruzione identitaria nel dopoguerra (Philip Bohlman).

Negli anni ’80, Joseph Kerman denunciò nella Contemplating Music una musicologia ridotta a catalogazione di “fatti”, trascurando la dimensione estetica. La sua critica aprì la strada alla new musicology degli anni ’90, che incorporò femminismo, teoria queer e studi di genere, come nei lavori di Susan McClary sull’eros nel linguaggio musicale.

Oggi i musicologi operano in contesti ibridi: dalla collaborazione con paleografi alla consulenza per musei digitali. La sfida, come nota Nicholas Cook, è conciliare rigore e accessibilità, evitando tanto l’elitarismo quanto la banalizzazione. L’eredità medievale—l’intreccio tra teoria e pratica—rimane un modello: la disciplina, radicata in una tradizione secolare, continua a ridefinirsi in dialogo con le complessità globali.

Da scienza marginale a laboratorio interdisciplinare, la musicologia riflette di fatto le trasformazioni culturali del mondo contemporaneo. Come dimostra il percorso dalla scientia mathematica medievale alla critica femminista, la sua forza risiede proprio nella capacità di reinterpretare il passato per interrogare il presente, mantenendo vivo un dialogo tra rigore e creatività.

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