O Roma Nobilis: un dialogo tra innovazione e tradizione nel Quattrocento musicale. Riecheggia il suono sistino al concerto di De labyrintho
Il Salone degli Svizzeri di Castel Gandolfo ha ospitato un evento di rara intensità: il concerto "O Roma Nobilis", dedicato alla riscoperta di musiche sacre custodite nei codici corali della Cappella Sistina. Diretto da Walter Testolin e interpretato dal quartetto vocale De labyrintho - Musica della Rinascenza, il programma ha ricreato con rigore filologico il suono che fluiva tra le pareti affrescate della Cappella Papale nel tardo Quattrocento, restituendo al pubblico capolavori di Josquin Desprez, Guillaume Dufay e Marbrianus de Orto, alcuni eseguiti per la prima volta in epoca moderna.
Come evidenziato dagli studi di Richard Sherr (The Papal Choir and the Ceremonial Books, 2012), la Cappella Palatina Vaticana, istituita da Sisto IV nel 1471, fu un crocevia di genialità musicale. Tra i suoi cantori spiccava Josquin Desprez, definito da Lutero "padrone delle note", la cui firma è ancora oggi visibile in un graffito sulla cantoría settentrionale della Sistina. Proprio da quel pulpito sospeso, come ricostruito da Bonnie Blackburn (Music and Ceremony at the Papal Court, 2013), i cantori intonavano mottetti e messe, amplificati dall’acustica unica della Cappella.
Il concerto, nell'ambito della presentazione della mostra “Bellini e Sodoma. Passione di Cristo” ospitata nel suggestivo Polo Museale di Castel Gandolfo, è stato un viaggio nella polifonia sacra del tardo Quattrocento, intrecciando le opere di Josquin des Prez, Marbrianus de Orto, Guillaume Dufay e brani anonimi tratti dai Codici Sistini.
Il filo conduttore che unisce questi compositori risiede nel loro legame con la tradizione liturgica romana e nella capacità di innovare, reinterpretando modelli precedenti. Dufay, figura centrale del primo Rinascimento musicale, influenzò profondamente la generazione successiva con il suo ciclo di inni composti per la Cappella Papale.
Proprio su questo ciclo lavorarono, in un’operazione di revisione e aggiornamento stilistico, De Orto e Des Prez. I due, attivi a Roma negli anni del pontificato di Alessandro VI Borgia, rielaborarono gli inni dufayani adattandoli al gusto polifonico più avanzato del loro tempo, caratterizzato da una maggiore fluidità contrappuntistica e da un’espressività intensamente devozionale.
Il concerto si è aperto con l’Ave Maris Stella (VatS 15), un inno-mosaico che unisce le strofe di Dufay, compositore al servizio di Eugenio IV, a quelle di Josquin. Di particolare rilievo è stata l’esecuzione di due inni anonimi del codice VatS 15, Conditor alme siderum e Lucis Creator optime, probabilmente ascoltati per la prima volta dopo secoli di oblio. Non meno significativo l’Ave Maria di De Orto, estratto dall’Odhecaton (1501) di Ottaviano Petrucci, primo esempio di musica stampata nella storia.
La seconda parte del concerto ha consacrato Josquin come protagonista. Straordinario è risultato il Domine non secundum peccata nostra (Vat 35), un mottetto composto per il Mercoledì delle Ceneri. Come documentato dal cerimoniere papale Paride De Grassis (Diarium, 1513), la struttura del brano coincideva con i movimenti rituali del Pontefice: l’alternanza di tempi binari e ternari segnalava il momento in cui il Papa si alzava, si inginocchiava e tornava al trono. L’esecuzione, precisa nei dinamismi ritmici, ha reso tangibile il dialogo tra musica e liturgia.
Ma è con Missus est Gabriel Angelus (VatS 63) che si è aperta la via per un altra dimensione. La formazione ha mostrato qui tutta la sua capacità di evocare, tra voci e silenzi, un vero e proprio dialogo tra il divino e l'umano, elevando il testo sacro oltre la dimensione terrena; ascoltare il racconto sacro, come già annunciato da Testolin, è stata un'esperienza metafisica: Missus est Gabriel Angelus è un capolavoro di teologia sonora e di astrazione simbolica.
Tecnicamente Josquin usa l'imitazione contrappuntistica per rappresentare il dialogo tra Gabriele e Maria. L'ensemble ne legge l'essenza: le voci si inseguono in un tessuto polifonico proprio a simulare il "colloquio celeste", riflettendo l'idea di un messaggio divino che si irradia attraverso piani sonori sovrapposti. L'effetto è quello di un senso di sospensione temporale simile a una visione mistica. In passaggi come "Ecce ancilla Domini" (Ecco l'ancella del Signore), l'interpretazione di De labyrintho riflette con convinzione il pensiero stilistico di Josquin: le cadenze sospese e le risoluzioni armoniche inaspettate, simbolo dell'accettazione di Maria del mistero divino; tecnica questa che anticipa il madrigalismo barocco, anche se qui assume un carattere meditativo, quasi una preghiera musicale.
Attraverso la polifonia, Josquin non narra semplicemente l'Annunciazione, ma invita l'ascoltatore a partecipare al mistero, seguendo la lezione di San Bernardo: "In pericolis, in angustiis, in rebus dubiis, Mariam cogita" ("Nei pericoli, nelle angosce, nelle incertezze, pensa a Maria"): De labyrintho traduce musicalmente questa visione. Secondo lo studioso Jesse Rodin, il compositore franco fiammingo, usa in questo brano una "retorica della trascendenza", dove la polifonia non è solo tecnica ma appunto strumento di contemplazione estatica.
A chiudere il concerto, l’incredibile Agnus Dei della Missa Fortuna desperata (VatS 41) che ha letteralmente lasciato il pubblico, e non solo, in un silenzio carico di commozione. Come analizzato da Jesse Rodin (Josquin’s Rome, 2012), il brano trasforma la supplica alla Fortuna in una preghiera trascendente, dove le dissonanze e i canoni enigmatici simboleggiano il conflitto tra destino e redenzione. L’interpretazione di De labyrintho ha esaltato l’“inesauribile fiducia” di Josquin, restituendo un lamento tanto straziante quanto sublime. Ma su Missa Fortuna desperata scriverò a breve un articolo approfondito, in quanto rappresenta un momento cruciale nello sviluppo della messa rinascimentale.
Tra gli applausi infiniti, in una sala gremita fino all'inverosimile, nessun bis; prendendo spunto dalle parole cariche di commozione di Testolin, nessun altro brano poteva essere eseguito dopo questo che è da considerare un "monumento" di immensa arte distillata. Una decisione che condivido in pieno.
In conclusione l’evento, oltre a celebrare la più alta polifonia, ha dimostrato quanto la musica antica possa ancora emozionare. L’uso di copie dei codici originali, la scelta della giusta intonazione e l’equilibrio tra le voci di Matteo Pigato superius, Massimo Lombardi altus, Massimo Altieri tenor e Guglielmo Buonsanti bassus, hanno ricreato quel “suono sistino” descritto dalle cronache. Come scrisse Giovanni Andrea Gilio nel 1564: «La musica è divina quando sa farsi preghiera». Sabato scorso, nella cornice del Palazzo Papale, la preghiera di Josquin è risuonata più viva che mai.
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