Da oggi 30 aprile, le sale dell’Appartamento del Doge a Palazzo Ducale accoglieranno una mostra di rara profondità storica e artistica: L'oro dipinto. El Greco e la pittura tra Creta e Venezia. Curata da Chiara Squarcina, Katerina Dellaporta e Andrea Bellieni, l’esposizione ricostruisce, per la prima volta su scala museale così ampia, la complessa trama di relazioni pittoriche e culturali intessute lungo la rotta Venezia-Candia (l’odierna Heraklion, a Creta) tra il XIII e il XIX secolo.
Non si tratta di un semplice viaggio attraverso i secoli, ma di un racconto in cui l’oro — pigmento e simbolo — diventa il filo conduttore che lega due civiltà visive. A Creta, dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, si rifugiarono molti maestri bizantini, trasformando l’isola in un baluardo della pittura iconica ortodossa. Qui, secondo fonti documentarie (come i catasti veneziani del Cinquecento), operarono oltre cento botteghe di madoneri, artisti specializzati in icone devozionali che venivano esportate in tutto il bacino mediterraneo.
Parallelamente, Venezia — che dominava Creta come Stato da Mar — si nutriva di questa eredità bizantina, già radicata nella basilica di San Marco, ma la contaminava progressivamente con il linguaggio pittorico occidentale: prima quello tardogotico di Gentile da Fabriano e Jacobello del Fiore, poi quello rinascimentale, umanista e naturalistico, incarnato da Giovanni Bellini, Cima da Conegliano e Palma il Vecchio.
Il cuore pulsante della mostra è Dominikos Theotokopoulos, noto al mondo come El Greco (1541-1614), figura-simbolo di questa osmosi artistica. Nato a Candia, formatosi come iconografo nella tradizione postbizantina, El Greco approdò a Venezia attorno al 1567, come attestano le cronache e una lettera dello storico greco Manolis Chatzidakis. Qui subì il fascino di Tiziano, Tintoretto e Veronese, trasfigurando il rigore ieratico delle icone nell’espressività vibrante che segnerà tutta la sua produzione spagnola. Opere come La Purificazione del Tempio (versione di Minneapolis) dimostrano la sua precoce assimilazione della teatralità cromatica veneta.
Le sette sezioni della mostra seguono un rigoroso percorso cronologico, scandendo le tappe salienti di questo dialogo: dalle prime commissioni veneziane di icone cretesi nel Trecento fino alle sperimentazioni settecentesche di pittori come Nikolaos Koutouzis, che portarono l'arte ionica verso forme più laiche e occidentali.
Un focus speciale è dedicato alla tecnica iconografica, con l’indagine sui materiali dorati e sui procedimenti di doratura a missione e a guazzo, resa possibile grazie alla collaborazione con il CHNet — la rete italiana per la diagnostica non invasiva nei beni culturali. Le analisi scientifiche, condotte con fluorescenza X portatile e imaging multispettrale, svelano dettagli inediti sull’uso dell’oro come luce spirituale e architettura cromatica.
La mostra, frutto di una stretta cooperazione internazionale, si avvale di prestiti eccezionali: dal Museo Bizantino e Cristiano di Atene, principale prestatore, alla National Gallery di Atene, fino all’Istituto Ellenico di Studi Bizantini e Postbizantini di Venezia. Decisivo il contributo della città di Heraklion e dell’Arcidiocesi di Creta, custode di un patrimonio iconografico ancora vivo nella liturgia.
Questa rassegna si inserisce nel più ampio contesto di riscoperta della Scuola cretese, di cui studiosi come Nicos Hadjinicolaou e Maria Constantoudaki-Kitromilides hanno evidenziato il ruolo cruciale nella storia dell’arte postbizantina e nel dialogo con l’Occidente.
L'oro dipinto non è solo una mostra: è un atto di memoria culturale, che ricuce le trame sottili ma resistenti di un Mediterraneo che, nonostante le sue fratture, ha sempre saputo creare bellezza dall’incontro tra mondi.
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