Settima arte, Fratelli Coen: gli alchimisti del cinema moderno. Una retrospettiva tra satira e grottesco a Palazzo Esposizioni
Da oggi 11 aprile al 4 maggio 2025, il Cinema di Palazzo Esposizioni di Roma celebra Joel ed Ethan Coen con una retrospettiva che ne celebra l’immaginario visionario. "Il regista a due teste. Il cinema dei fratelli Coen" è un omaggio ai due registi definiti «alchimisti del cinema moderno». Il loro contributo alla settima arte è quello di aver plasmato in modo intelligente un corpus cinematografico in cui generi classici si ibridano per svelare un’America lacerata, sospesa tra farsa e tragedia. Come sottolinea il curatore Marco Berti, la loro opera è «un mosaico di personaggi inetti e situazioni al limite, specchio di un’umanità disillusa».
Prende il via oggi a Palazzo Esposizioni Roma un ampia retrospettiva su i due geniali registi originari del Minnesota, il cui sguardo personalissimo ha rinnovato e influenzato il cinema degli ultimi decenni. Intelligenti, colti e raffinati cinefili hanno ripercorso e ibridato tutti i generi cinematografici classici, dal noir al western, dalla commedia al thriller, per rintracciare nelle storie del passato le radici del nostro presente problematico e desolato.
Il loro è un ritratto senza speranze dell’America, condotto secondo le corde della satira e dell’incubo. Deformando e raffreddando situazioni al limite, a volte cariche di una violenza inaudita, lanciano una critica feroce ai riti della vita contemporanea, rappresentabili solamente attraverso i codici del grottesco. Film dopo film, pur nella ricchezza delle storie raccontate e delle diverse ambientazioni, il mondo si trasforma lentamente in una landa desolata dove l’umanità consuma la propria esistenza in un’atmosfera claustrofobica e allucinatoria.
Tra rapimenti, ricatti, tradimenti, vendette e violenze prive di senso, un esercito di personaggi idioti e inetti – che hanno i volti irresistibili di John Turturro, George Clooney, Brad Pitt, John Goodman e Jeff Bridges o quello luminoso di Frances McDormand - sembra guardarci dallo schermo e rivolgere alle nostre certezze una risata beffarda, oggi più che mai inquietante.
La retrospettiva, curata da Marco Berti e Francesca Pappalardo, conferma i Coen come «archeologi del lato oscuro del sogno americano». Tra risate beffarde e violenza grottesca, ogni film è un tassello di un mosaico che riflette, senza pietà, le contraddizioni della nostra epoca.
I film in programma:
Non è un paese per vecchi (11 aprile) è un adattamento del romanzo di Cormac McCarthy, il film (2007) incarna l’essenza del cinema coeniano: un western moderno in cui il male, personificato dall’implacabile Anton Chigurh (Javier Bardem), si muove come una forza cosmica. Vincitore di quattro Oscar, è stato definito da David Thomson «una meditazione sulla fatalità, dove persino il silenzio del deserto diventa complice». La regia glaciale e il minimalismo dialogico esaltano un’apocalisse morale senza redenzione.
Blood Simple - Sangue facile (12 aprile). Il suo esordio nel 1984 segna la nascita del loro stile: un noir ipnotico, intriso di suspense e tradimenti. Scrive James Berardinelli: «Una sinfonia di inganni, dove la macchina da presa scandaglia l’oscurità dell’animo umano». Il piano sequenza finale, con la luce rossa che avvolge il sangue, è già un manifesto della loro estetica.
Arizona Junior (13 aprile). La commedia slapstick del 1987 è un inno all’assurdo. Nicholas Cage e Holly Hunter interpretano una coppia disperata che rapisce un bambino. Vincent Canby del New York Times notò: «Una farsa tenera e caotica, dove il sogno americano si trasforma in un cartoon malinconico».
Crocevia della morte (16 aprile). Miller’s Crossing (1990) è un tributo ai romanzi di Dashiell Hammett, immerso nell’ambiguità morale del gangsterismo. Sceneggiatura labirintica e dialoghi taglienti. Secondo Peter Bogdanovich, «i Coen reinventano il noir come una partita a scacchi, dove ogni mossa è un tradimento».
Barton Fink - È successo a Hollywood (17 aprile). Palma d’Oro a Cannes 1991, il film svela l’inferno creativo di uno sceneggiatore (John Turturro). David Lynch, in un’intervista, lo descrisse come «un incubo kafkiano in Technicolor, dove le pareti sudano disperazione».
Mister Hula Hoop (18 aprile). The Hudsucker Proxy (1994) mescola satira sociale e fantasia. Nonostante le critiche iniziali, Janet Maslin riconobbe: «Un’ode grottesca al capitalismo, con una coreografia visiva che omaggia Frank Capra e Fritz Lang».
Fargo (19 aprile). Capolavoro del 1996, intreccia crimine e quotidianità nel gelido Minnesota. Roger Ebert scrisse: «Frances McDormand, con la sua tenacia materna, incarna l’unica scintilla di umanità in un mondo dominato dalla stupidità».
Il grande Lebowski (22 aprile). Culto assoluto, il film (1998) eleva il "Drugo" (Jeff Bridges) a icona dello slacker. J. Hoberman osservò: «Un viaggio psichedelico nel nonsense, dove il bowling diventa filosofia esistenziale».
Fratello, dove sei? (23 aprile) è una rilettura dell’Odissea in chiave country (2000). A.O. Scott notò: «La colonna sonora è un personaggio a sé, eco di un Sud mitico e perduto».
Ladykillers (24 aprile). Remake del 2004, tra i meno amati. Peter Bradshaw lo definì «una farsa esagerata, salvata solo dal carisma di Tom Hanks».
L’uomo che non c’era (26 aprile). Noir in bianco e nero (2001), omaggio a James M. Cain. Roger Ebert: «Billy Bob Thornton incarna l’uomo invisibile, in un mondo dove la verità è un’ombra».
Burn After Reading - A prova di spia (27 aprile). Satira del 2008 sull’intelligenza (e stupidità) americana. Manohla Dargis: «I Coen giocano con lo spionaggio come fosse una commedia degli errori, senza vincitori né senso».
Il Grinta (30 aprile). True Grit (2010) è un western fedele al romanzo di Charles Portis. Kenneth Turan: «Jeff Bridges dona al cowboy Rooster Cogburn una dignità tragica, in un West che non perdona».
A proposito di Davis (2 maggio). Inside Llewyn Davis (2013) è un ritratto malinconico degli anni ’60 folk. David Denby: «Un artista incompiuto in un mondo che non lo ascolta: il suono della sconfitta».
A Serious Man (3 maggio). Film semi-autobiografico (2009), tra Giobbe e la fisica quantistica. A.O. Scott: «Un dilemma esistenziale senza risposte, dove Dio tace e il vento porta solo rumore».
Ave, Cesare! (4 maggio). Hail, Caesar! (2016) celebra e deride Hollywood. Richard Brody: «Una lettera d’amore al cinema, con un sorriso amaro sul sogno che nasconde incubi».
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