Roma e la via delle spezie. Dal 29 a.C. al 641 d.C. Un viaggio nel cuore pulsante dei commerci antichi, tra cultura, scienza e avventura
Un vecchio libro, non più in ristampa, ma che sicuramente lo meriterebbe. Roma e la via delle spezie. Dal 29 a.C. al 641 d.C. di J. Innes Miller per Einaudi, uscito nel 1974, è un’opera che merita di essere riscoperta. Leggerlo e rileggerlo, significa ogni volta affrontare un viaggio affascinante e articolato, che andò ben oltre i confini del semplice scambio commerciale; la via delle spezie diventò di fatto un punto d’incontro tra civiltà diverse, contribuendo in modo decisivo a plasmare l’identità dell’Impero romano e l’evoluzione della storia umana.
«Come il cinnamòmo e l’aspàlato, ho diffuso profumo di aromi;
come la mirra nobile, ho sparso buon odore;
come il galbano, l’ònice e lo storàce;
come il fumo d’incenso nella tenda.
Come il terebinto ho esteso i miei rami,
e i miei rami sono rami di gloria e di grazia.»
Con questa splendida epigrafe si aprono le pagine del libro, lasciando intravedere lo spirito con cui è stato concepito. Si tratta di un passo tratto dal Siracide 24, in particolare dai versetti 15-16, inseriti all’interno di uno dei più alti inni alla Sapienza: una lode poetica alla sua presenza divina, che nutre, guarisce, profuma e unifica.
«Nella storia del commercio antico delle spezie la verità realmente sorprende più della fantasia romanzesca». Con questa dichiarazione, tanto suggestiva quanto programmatica, si apre Roma e la via delle spezie, opera fondamentale e sorprendentemente attuale di J. Innes Miller, che ci accompagna in un viaggio nel cuore pulsante dei commerci antichi, dove spezie, uomini, rotte e imperi si intrecciano in un mosaico di cultura, scienza e avventura.
Il volume si distingue per la sua capacità di coniugare rigore accademico e divulgazione colta: non è un semplice resoconto storico, ma una vera e propria ricostruzione interdisciplinare, basata su fonti letterarie, archeologiche e storiche, che restituisce vita e concretezza a un mondo lontano ma ancora sorprendentemente attuale. Miller, con la sua esperienza nella pubblica amministrazione coloniale britannica e la passione per gli studi classici, unisce un’attenzione minuziosa per i dettagli a una visione ampia e connessa delle dinamiche economiche e culturali.
La prima parte del libro si presenta come un catalogo analitico delle spezie note al mondo romano al culmine della sua potenza. Pepe, nardo, casia, garofano, timo, loto e molte altre essenze, spesso circondate da un alone di mistero e sacralità, vengono descritte nella loro origine, nei loro usi e nel loro valore simbolico e commerciale. Non si tratta solo di ingredienti da cucina: le spezie erano elementi centrali nella farmacopea, nella cosmesi, nei rituali religiosi, contribuendo a delineare una sensibilità olfattiva e sensoriale sofisticata e onnipresente nella quotidianità dell’élite romana.
Ma è nella seconda parte del testo che il respiro della narrazione si amplia in una vera epopea dei commerci: l’autore ci guida lungo gli snodi cruciali delle vie terrestri e marittime che collegavano l’Impero romano all’Oriente. I lettori percorrono, idealmente, i sentieri polverosi delle carovane tra Dura Europos, Petra e Samarcanda, si imbarcano sulle navi che solcavano l’Oceano Indiano, seguono i venti monsonici tra la costa del Malabar, l’Eritrea e l’Arabia Felix, in un groviglio di scambi che coinvolgeva lingue, culture e popoli in una rete proto-globalizzata.
La narrazione non indulge nella mitologia né nella ricostruzione romanzata, ma ciò non toglie che ogni pagina sprigioni un senso di meraviglia: perché quello che emerge, con forza e chiarezza, è il volto profondamente interconnesso del mondo antico. Miller mostra come dietro le spezie — piccoli semi, polveri profumate, resine e fiori essiccati — si celasse un sistema di relazioni economiche e culturali vastissimo, che anticipa, nei suoi tratti essenziali, la moderna globalizzazione.
Il libro rivela anche un altro aspetto fondamentale: il commercio delle spezie, lungi dall’essere una semplice attività mercantile, fu un potente catalizzatore di conoscenza. Le esigenze di trasporto, conservazione e scambio stimolarono lo sviluppo della geografia, della botanica, della meteorologia e perfino della cartografia, in una sinergia tra scienza e pratica che l’autore ricostruisce con competenza e passione.
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