L'Etrusco e il gioco del kottabos
Uno degli intrattenimenti ludici preferiti e molto in voga in Etruria. Lanciare su di un bersaglio, del vino rimasto sul fondo della coppa (la kylix). Il premio al vincitore era una mela, dei dolci, una coppa o il bacio della persona amata, cui era dedicato il lancio. In un sarcofago tarquiniese del sec. IV a.C. due coniugi giocano al cottabo nei campi Elisî
Psykter a figure rosse; 520 a.C. circa
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La donna a sinistra, di nome Smikrà (“la piccola”) è colta nell’atto di giocare al kottabos. Lanciando il vino fa una dedica a Léagros: «tin tande latasso lèagre»: [Leagro, io lancio per te questo (vino)]
A DiVini Etruschi, in quel di Volterra, mentre andavo dodegustando il nettare delle dodici città etrusche, mi ricordai di un gioco, e come in una taverna “mistica”, ho condiviso i segreti spirituali di un popolo ancora avvolto nel mistero. Ecco è il Kottabos: e chissà forse l'enigma è svelato.
Gli Etruschi, furono chiamati dai Romani Etrusci o Tusci, in greco Tyrsenoi o Tyrrenoi (da cui il Mar Tirreno). Vengono tuttora considerati un popolo enigmatico. Cosa certa, però, è che questo popolo fu un grande produttore ed esportatore di vino.
Sappiamo che l’arte della coltivazione della vite migrò verso l’Italia probabilmente verso il secondo millennio a.C. Dapprima in Sicilia dove i Fenici portarono un clone di Vitis Vinifera Sativa, poi in seguito nelle regioni centro-settentrionali ad opera degli Etruschi. La nostra penisola si dimostrò adattissima alla coltivazione di questa pianta, tanto che in poco tempo venne chiamata Enotria, cioè la terra del vino.
I semi di vite trovati nelle tombe del Chianti provano che gli Etruschi portarono questa pianta dall'oriente e l'acclimatarono in Italia. La vite etrusca aveva la forma di un alberello poiché a Populonia, racconta Plinio, era conservata una statua di Giove intagliata in legno di vite. Queste, appoggiate ad una pianta di olmo per crescere più forti, venivano circondate da siepi per essere protette dagli animali alla ricerca del pascolo.
Imbarcazioni cariche di anfore vinarie solcavano il Tirreno dalla Sicilia alla Gallia meridionale. A Cap d'Antibes è stato trovato il relitto di una nave contenente circa 170 anfore di Vulci.
“Salve, magna parensfrugum, Saturnia tellus
magna virum….
At quae pinguis humus dulcique uligine laeta
hic tibi praevalidas olim muiroque fluenris
sufficier Baccho vitis…. " Georg. II, 173
(Salve, grande genitrice di messi, terra Saturnia,
grande madre di eroi.
Ma il suolo grasso e ricco di fecondi umori
e il campo coperto d'erba, fertile e ubertoso…
ti offriranno un giorno viti rigogliose e fluenti
di molto Bacco...).
Al tempo degli Etruschi non esistevano confini tra il vino, la spiritualità e la vita quotidianità, ma tutto si amalgamava, tutto si confondeva. Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza ed al suono dei flauti doppi. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse pratiche religiose in onore di Fufluns (Bacco), il dio del vino. Questi riti segreti e strettamente riservati agli iniziati, grazie all'ebbrezza provocata dalla bevanda, avevano il fine di raggiungere la “possessione” del dio nel mondo terreno, garantendo così in anticipo una sorte felice nell'aldilà.
Negli affreschi delle tombe di Tarquinia, in mezzo a ragazze e giovinetti danzanti tra pianticelle verdi, si ammirano coppie che brindano come se si trovassero davanti ad un mare luminoso nella frescura del paesaggio.
Il vino torna ancora una volta ad essere il vero testimone atto a svelarci aspetti di culture, come quella etrusca, in larga parte ancora indecifrate, e di come e quanto, la funzione di un prodotto della terra appartenga, insieme al pane e all'olio, agli elementi base della nostra cultura gastronomica. Ripercorrere la storia del vino significa scrivere la storia dell'uomo. Sapere e Sapore, Cultura e Coltura, Vita e Vite hanno la stessa radice etimologica.
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