Lieviti e "terroir": un rapporto complicato
Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach di
San Michele: calabroni e vespe sono protagonisti della tipicità dei vini
Volevo riproporre alla vostra attenzione un articolo apparso sul periodico Millevigne a firma di Tony Scott circa l’uso dei lieviti in cantina. In questi ultimi tempi diversi studiosi di microbiologia stanno
trattando, nelle loro ricerche e pubblicazioni, il tema dei lieviti vinari
sotto un angolo di visuale poco considerato in passato: ossia il rapporto tra
il patrimonio genetico dei lieviti e le loro conseguenti caratteristiche
fisiologiche legate all’espressione e localizzazione geografica. Le domande
alle quali si è tentato di dare una risposta sono state, tra le altre: esiste
un effettivo legame tra lieviti e aree geografiche? I lieviti sono realmente
una componente del “terroir”?
I lieviti indigeni sono “trendy”
Oggi molti produttori vantano l’utilizzo di lieviti indigeni
o autoctoni in alternativa all’inoculo di lieviti selezionati, presentando
questa scelta come essenziale per la tipicità del vino.
E’ opportuna una prima precisazione: un lievito può essere
indigeno e selezionato allo stesso tempo, nel senso che è possibile, e lo si fa
sempre più spesso, isolare da una fermentazione spontanea ceppi di lievito che
poi vengono testati ed eventualmente riprodotti per uso enologico, superando
così ad i rischi legati alle fermentazioni spontanee. In altre parole posso
produrre Barolo con un ceppo selezionato a Barolo (esempio non casuale: il BRL
97 che è stato uno dei primi in Italia) e non in Canada o in Australia, anche
se non è la stessa cosa rispetto ad una fermentazione spontanea, le cui
caratteristiche sono in genere legate alla presenza di diversi microrganismi,
almeno nelle prime fasi fermentative.
Una “review” pubblicata di recente dalla microbiologa
californiana Linda Bisson (università di Davis) su “American Journal of Enology
and Viticulture” si intitola proprio “origine geografica e diversità dei ceppi
di lieviti vinari”. L’articolo prende in considerazione diverse ricerche realizzate
nell’ultimo decennio in vari istituti di ricerca del mondo e suggerisce alcune
interessanti chiavi di lettura.
L’evoluzione dei lieviti è influenzata dall’uomo? La
risposta è sì e questo da migliaia di anni.
Così come noi parliamo normalmente di vitigni autoctoni senza
avere la certezza sul loro vero luogo di origine (che, lo ricordiamo, è quello
dove nacque la prima vite da seme destinata a generare per via vegetativa tutta
quella popolazione che chiamiamo “vitigno”), così parliamo di lieviti indigeni
o lieviti selvaggi nella convinzione che si tratti di ceppi e popolazioni che
si sono evolute in un certo areale geografico fin dalla notte dei tempi, senza
subire né scambi di materiale genetico, né gli effetti di una qualunque
pressione selettiva.
Ma a quanto pare, le cose non stanno così
Occorre premettere che, come ben sanno i biologi, i lieviti
sono organismi geneticamente reattivi, soggetti a mutazioni, a incroci
spontanei e alla “introgressione” di materiale genetico anche da altri
organismi: in effetti nei lieviti (e nei batteri), avviene in natura qualcosa
di simile a ciò che l’ingegneria genetica fa artificialmente per la creazione
di OGM, cioè la migrazione di “pacchetti di geni” tra specie diverse. Non
approfondiremo questo tema e neppure le condizioni che favoriscono tali
fenomeni, ma ricordiamo invece il ruolo decisivo che svolgono le condizioni
ambientali nel favorire o meno la sopravvivenza e il successo di una certa
linea genetica, indipendentemente dal modo in cui si è creata.
Pur nella loro diversità, il 95% dei lieviti Saccharomyces
isolati da mosti in diverse aree geografiche del mondo sono raggruppabili, per
alcune caratteristiche di base, in un unico sottoinsieme, che comprende anche i
lieviti produttori di sidro, mentre i lieviti del pane sono stati raggruppati
in due gruppi differenti (Legras et al. 2007). A loro volta i lieviti vinari si
possono raggruppare in 5 principali gruppi o cluster, il maggiore dei quali è
stato definito dai ricercatori “centroeuropeo” mentre altri due gruppi
relativamente omogenei sono stati indicati con i nomi “Champagne” e “UCD 522”
(dove UDC sta per University Davis California).
Alcuni caratteri di questi ultimi due gruppi sembrano
attraversare regioni geografiche molto diverse e lontane, suggerendo l’idea che
sia stato l’uomo a introdurre loro progenitori in diverse regioni viticole in
conseguenza dell’attività di produzione del vino. In sostanza parrebbe che nei
lieviti Saccharomyces cerevisiae l’uomo, con le sue attività di trasformazione
guidata, abbia esercitato sulla biodiversità di questi organismi un’influenza
potente, che si sovrappone a quella dell’origine geografica, mentre altre
specie , come ad esempio il Saccharomyces paradoxus, che non hanno interesse
tecnologico, formano cluster molto più omogenei per ambito geografico, cioè
rispetto al luogo dell’isolamento.
E quando si parla di pressione selettiva dell’attività
dell’uomo non ci si riferisce solo alla diffusione dei lieviti industriali in
tempi moderni (sebbene questa abbia sicuramente giocato un ruolo importante),
ma a tempi storici molto anteriori, fino a risalire addirittura alla
domesticazione della vite in medio oriente in epoca neolitica. Riferendosi ad
un confronto tra 70 ceppi di diversa origine geografica per evidenziare
differenze in alcune regioni del genoma (Liti et al. , 2009), Bisson scrive:
“Anche questa analisi portò alla conclusione che i ceppi vinari sono un gruppo
geneticamente molto più compatto di quanto si credesse, indicando che un
singolo evento di “domesticazione” diede origine alle diverse popolazioni oggi
isolate da cantine e vigneti”. Sarebbe stato quindi un interscambio continuo
tra la “cantina” e l’ambiente esterno, il vigneto, mediato per lo più da
insetti, a determinare l’evoluzione dei lieviti nelle zone viticole del mondo.
Con alcuni “colli di bottiglia” (Sicard e Legras, 2011), che
hanno aumentato fortemente la pressione selettiva, a scapito della
biodiversità, soprattutto negli ultimi due secoli: l’uso del rame e quello dei
solfiti, entrambi tossici per molti funghi (i lieviti sono funghi). Il 50% dei
lieviti isolati da mosti nel mondo possiedono un gene chiamato SSU1-R che
conferisce loro un alto livello di resistenza ai solfiti (Perez-Ortin 2002): si
tratta di uno specifico adattamento cromosomico che verosimilmente sarebbe raro
in natura, senza l’intervento umano. Sebbene possa apparire strano che
l’attività umana legata al vino sia stata così pervasiva nel condizionare
l’evoluzione di Saccharomyces in natura, occorre considerare che è proprio in
questa attività, e non in natura, che si verificano condizioni ottimale, di
nicchia, per la proliferazione di questi organismi su vasta scala. I lieviti
Saccharomyces non sopravvivono sulla superficie dei frutti, in vigneto li si
trova soprattutto su acini danneggiati, dove riescono a colonizzare la polpa
superando la barriera dell’epidermide. Di fatto le popolazioni di lieviti sono
sempre assai più abbondanti nelle cantine che non nei vigneti , e questo
confermerebbe il forte ruolo dell’attività umana nel condizionarne l’evoluzione.
Dobbiamo quindi concludere che non c’è legame tra lievito e
territorio? No, perché la realtà è molto più complessa
All’impronta originaria
delle popolazioni “selvagge” si è sovrapposta un’opera di selezione genetica che
l’uomo ha svolto, per lo più inconsapevolmente, per millenni, in una continua
interazione con l’ambiente naturale e sicuramente con risultati diversi nei
diversi ambienti. Piuttosto vale la pena di chiedersi se chi afferma di
produrre il suo vino senza lieviti selezionati, magari senza aver fatto alcun
controllo microbiologico, può davvero essere certo di quello che dice. E
viceversa: i microrganismi spesso tendono all’"indisciplina". Inoltre l’idea
che un lievito indigeno consenta una migliore “espressione del territorio” è
senza dubbio affascinante, in molti casi può essere vero, ma facendone una
specie di “mantra” universale rischiamo di attribuire al lievito un
comportamento un po’ troppo umano. Per memoria, la sua finalità non è fare il
vino che ci piace, ma propagare la sua specie.
I lieviti hanno un residenza invernale: i calabroni
In Europa intanto un gruppo di lavoro formato da Fondazione
Mach di San Michele all’Adige (Cavalieri, De Filippo e Viola), Università di
Firenze (Stefanini et al.) e CNRS di Montpellier (Legras) ha approfondito la
questione già citata del ruolo degli insetti, in particolare imenotteri e tra
essi soprattutto i calabroni, nel ciclo di vita dei lieviti. Un comunicato
della FEM, di cui riprendiamo in seguito alcuni passaggi, titola “Vespe sociali
e calabroni sono protagonisti della tipicità di birra, vino e pane”.
Nell’intestino di questi insetti, infatti, vivono i lieviti responsabili delle
fermentazioni naturali vinarie e panarie caratterizzandone la tipicità. E’
questo, in estrema sintesi, il “cuore” della ricerca pubblicata sulla
prestigiosa rivista statunitense PNAS – Proceedings of the Natural Academy of
Sciences.
La ricerca dimostra che i lieviti “vivono” nell’intestino
dei calabroni e delle vespe sociali, che rappresentano quindi il loro vettore
più importante. “E’ sorprendente – spiega Duccio Cavalieri, coordinatore del
Dipartimento di biologia computazionale – come il “microbiota”, ovvero
l’insieme delle specie fungine dei calabroni, nel mese di settembre contenga le
stesse specie che si trovano sulla superficie delle uve all’inizio della
fermentazione vinaria. Questi lieviti “trascorrono” un periodo del loro ciclo
vitale all’interno dell’intestino di vespe sociali e calabroni, al di fuori
dell’ambiente di fermentazione. Poi – prosegue Cavalieri – quando i frutti
maturano, questi insetti sono attratti dal loro odore, li rompono grazie ai
loro potenti apparati mandibolari e inoculano questi micro-organismi al loro
interno”. Questa indagine si lega ad una ricerca iniziata nel 1998. Per
arrivare a questo risultato è stato anche sequenziato il genoma di questi
lieviti trasportati dai calabroni ed è stato possibile individuare i ceppi dei
lieviti in periodi dell’anno in cui non erano mai stati isolati ovvero da
dicembre a febbraio.
La scoperta più interessante è avvenuta confrontando, a
livello genomico, i ceppi dei calabroni con altri ceppi isolati da uve e
fermentazioni naturali delle aree d’isolamento degli insetti, rispetto a una
collezione di oltre 400 ceppi isolati da ambienti naturali e industriali in Francia,
Stati Uniti, Cile, Nuova Zelanda e Giappone. L’analisi ha indicato come i ceppi
isolati da vespe sociali, calabroni, uve e vini di un determinato areale
fossero maggiormente correlati fra loro rispetto a ceppi di areali diversi,
identificando una biodiversità microbica caratteristica di una vigna o di una
regione.
L'analisi ha indicato come i ceppi isolati da vespe sociali,
calabroni, uve e vini di un determinato areale fossero maggiormente correlati
fra loro rispetto a ceppi di areali diversi, identificando una biodiversità microbica
caratteristica di una vigna o di una regione. Oggi
- dice Cavalieri - l'utilizzo della genomica e della bioinformatica consente di
identificare un lievito o un microorganismo isolato da un ambiente
naturale e di confrontarlo con altri
microorganismi di altre parti del mondo semplicemente confrontando la sequenza di geni marcatori, esattamente come
avviene per l'uomo per analisi di paternità.
E' emerso, dunque, che questi insetti calabroni e vespe sociali sono protagonisti della tipicità dei prodotti. Il calabrone infatti porta con sé le
caratteristiche di un certo areale rispetto ad un altro e questo garantisce il
mantenimento di una ricchezza indispensabile, ovvero la biodiversità dei micro-organismi
che sono fondamentali per la tipicità dei prodotti delle fermentazioni quali il
vino e la birra. Questa
scoperta conclude Roberto Viola, direttore del
Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele - apre
la strada ad altre ricerche che intendano capire come questo microcosmo di
micro-organismi possa essere associato alla tipicità dei prodotti, e di come
sia importante conoscerlo, per proteggerlo, conservarlo e renderlo disponibile
alle attività umane.
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